Kriminal Bank: storia di un istituto tentacolare giunto anche in Italia

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La voce delle vociUn asettico annuncio: «Data ultima per richieste di risarcimento: 31 marzo 2010». E da allora più nessun aggiornamento sul sito della Bank of Credit and Commerce International (Bcci), posta in liquidazione dopo i blitz che tra il 1991 e il 1992 vennero condotti, sulla scia di quanto già accaduto negli Stati Uniti, in diversi Paesi europei e che portarono alla chiusura di numerose filiali sparse nel Vecchio Continente.

Per quanto poco conosciuta, la storia di questa banca (bollata dai media come “Kriminal Bank”) è interessante perché tocca, spaziando per mezzo mondo, alcuni dei principali business criminali. E finisce per comprendere anche l’Italia, dove venne tentata la scalata alla Montedison. Fu fondata dal banchiere originario del sub-continente indiano Agha Hassan Abedi: era il 1971 e gli accordi definitivi vennero presi in un hotel di Beirut. Da allora l’ascesa fu vertiginosa: sedi che vengono inaugurate un po’ ovunque per arrivare a una presenza in una settantina di nazioni, 417 filiali (molte delle quali in Gran Bretagna), un milione e trecentomila clienti, oltre a un attivo di quasi 21 miliardi di dollari. Nel frattempo, in un’ottica di “ottimizzazione” delle attività, si diede vita a una serie di controllate distribuite tra il Lussemburgo, Dubai e le Cayman mentre i manager venivano “gratificati” con costosissime convention scandite dalla presenza di decine di ragazze non tutte maggiorenni. Inoltre l’estrema disinvoltura nella scelta dei partner in affari fu un fattore determinante per l’espansione della banca d’ispirazione islamica.

Tra questi, Pablo Escobar, il colombiano a capo di uno dei più potenti cartelli della droga, e il generale panamense Manuel Noriega. Ma Abedi, diventato celebre per una serie di attività filantropiche (sostegno alla minoranza linguistica urdu in Europa e alle relative attività letterarie, creazione di facoltà tecnologiche e scientifiche in Medio Oriente – soprattutto in Pakistan – quando non di intere università, mecenatismo nei settori più vari che vanno dall’arte allo sport), coltivò però contatti ben più particolari.
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Fiorini, corsaro della finanza: dalla Metro Goldwyn Mayer alla Parmalat

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Domani di Maurizio ChiericiLa Metro Goldwyn Mayer è un’istituzione del cinema non solo statunitense. Creata nel 1924 attraverso la fusione di due preesistenti case di produzione, nel corso dei decenni ha prodotto film passati alla storia come Via col vento, Il mago di Oz, Cantando sotto la pioggia, 2001: odissea nello spazio e alcune delle pellicole dedicate allo 007 per eccellenza, James Bond. Ma la sua è stata anche una vicenda che ha segnato i decenni per le traversie societarie, iniziate negli anni Settanta e arrivate, nel giro di un ventennio, alla soglia di fallimento. Erano i tempi in cui la Mgm aveva in gestione la United Artists e si era ancora ben lontani dall’arrivo di Sony, con cui oggi produce anche fiction per il piccolo schermo, e della Comcast Corporation.

Per il colosso del cinema americano sembrano però tornati i tempi duri. Tanto che alla fine dello scorso anno è stata annunciata la vendita dei propri studios, valutati un paio di miliardi di dollari. E un mese più tardi s’è fatto avanti un imprenditore indiano, Anil Ambani, che già aveva investito nella DreamWorks di Steven Spielberg. Ma questa è una vicenda in essere, non ancora conclusa, e che non fa parte del pezzo della storia che si vuole raccontare.

Una storia che ha uno scenario italiano e che vede comparire un personaggio il cui nome torna ancora oggi, quando si parla del crack della Parmalat e delle traversie giudiziarie di Callisto Tanzi. Si chiama Florio Fiorini e, sul finire degli anni Ottanta, si faceva chiamare il «corsaro della finanza» e il «lavandaio». Sopravvissuto agli anni della P2 e della bancarotta del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi – erano anni in cui ricopriva la carica di direttore finanziario dell’Eni –, passò in seguito ad altra occupazione e ad altri interessi e per lui i guai economici e giudiziari videro anche come oggetto proprio la Metro Goldwin Mayer.
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