Due casi diversi per un discorso: chiarezza e non pretesti

Standard

E dire che non mi dispiaceva, ciò che diceva. Ma gli ultimi due post, quello in cui spiega perché votare contro una commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti del G8 di Genova e quell’altro in cui chiede che si blocchi l’ingresso in Italia dei cittadini romeni dopo l’aggressione a Roma, sono davvero poco condivisibili.

Sul primo punto – le violenze del luglio 2001 nel capoluogo ligure – Antonio Di Pietro fa un’unica affermazione sulla quale si può concordare: il più grave dei fatti accaduti in quei giorni è il comportamento delle forze dell’ordine. E se gli iter giudiziari sono già stati avviati per verificare reati commessi da entrambe le parti in campo (peraltro potendo consultare atti giudiziari), i rappresentanti dei cittadini hanno in primis il compito di verificare se e quali condotte illegali sono state adottate dagli uomini dello Stato. E soprattutto per quale ragione e per volontà di chi quelle condotte hanno potuto verificarsi perché quei cittadini – col cui voto a quei rappresentanti hanno dato mandato di governo – dalle forze dell’ordine si devono sentire tutelati, non minacciati. Per i manifestanti accusati, ci penserà la magistratura a raggiungere un verdetto.

In merito invece alla questione della “minaccia romena”, mi riesce difficile pensare a uno sbarramento per una specifica nazionalità che appartiene – elemento non da poco – all’Unione europea. Se l’aggressione avvenuta a Roma non trova alcuna giustificazione (e comunque lo stato di diritto impone che sia un processo a condannare il presunto aggressore, oltre al fatto che – a leggere le cronache – sarebbe stata una connazionale a chiamare aiuto e indirizzare le forze dell’ordine verso chi si ritiene aver aggredito), la chiusura delle frontiere creerebbe un gravissimo precedente probabilmente replicabile in base a future emergenze, vere o pretestuose che siano, generando mostri non in base ad atrocità commesse ma fondandosi sulla nazionalità indicata su un passaporto. Semplicemente inaccettabile e di certo di nessun supporto al consolidamento della – tanto sospirata – legalità percepita dai cittadini (sempre loro).

Discorsi disgiunti, i due? Mica tanto dato che fondamentalmente si fondano su motivazioni simili: chiarezza nei metodi, certezza della pena per tutti, non discriminazione e collaborazione nella conquista e nel mantenimento della fiducia nelle istituzioni.

Aggiornamento del 2 novembre: Il coraggio di dire “ho sbagliato” via L’Unità.

Supporto Legale: a Genova il 17 novembre

Standard

Supporto LegaleCaparossa, che a Genova nel luglio 2001 c’è stato, mi segnala via mail l’appello La storia siamo noi lanciato da Supporto Legale, progetto nato dopo il G8 di sei anni fa a tutela di chi aveva subito violenze durante le manifestazioni nel capoluogo ligure. Scopo del comunicato è quello di diffondere una chiamata a partecipare il prossimo 17 novembre a una manifestazione ancora a Genova dopo la richiesta di risarcimento di due milioni e mezzo di euro contro venticinque persone accusate di devastazione e saccheggio. La motivazione? Danno d’immagine. E a questa situazione rispondono i volontari e gli avvocati di Supporto Legale:

Pensiamo che sia arrivato il momento di prendere di nuovo la parola, di gridare con forza che gli eventi del luglio 2001 appartengono a tutti noi, di mobilitarsi in massa e con intelligenza per fare sì che 25 persone non paghino per qualcosa di cui siamo stati protagonisti tutt*, nessuno escluso. Vogliamo rilanciare con forza la mobilitazione di massa del 17 novembre a Genova, e tutte le iniziative tese a riappropriarci della nostra memoria e del senso di quei giorni lontani sei anni ma ancora vivi in quello che hanno rappresentato.

Ecco, se mai ci fosse bisogno di testimoniare ancora una volta che gli eventi andarono in modo preciso (e probabilmente preordinato), si può vedere la puntata di Blu Notte (pubblicata a spezzoni su YouTube) che Carlo Lucarelli ha dedicato alla ricostruzione dei fatti.

Graffiti: nella fregola di pulire, via quello dedicato a Carlo Giuliani

Standard

No Justice No Peace 2007 - Foto di zibe_tsoVia mail giunge un appello per una petizione. Fenomeno, questo, che si sta facendo sempre più frequente. Ma nel caso specifico, credo che abbia una certa importanza. Per due ragioni. La prima è perché la via alla “legalità”, come accade a Bologna o a Milano, che passa attraverso la pulitura dei muri delle città non è che una campagna pretestuosa. Almeno condotta con le modalità attuali. La seconda – e più bruciante – è che uno dei graffiti che si vuole cancellare è quello realizzato per ricordare nel capoluogo lombardo Carlo Giuliani.

Nel testo della sottoscrizione, che si intitola Petizione per salvare il graffito dedicato a Carlo Giuliani sito a Milano, Italia e che è stata lanciata da Urban Vision Crew, si legge infatti:

Il 29 Settembre 2007 il vicesindaco di Milano Riccardo De Corato ha dichiarato che questo graffito deve essere eliminato, dopo aver provveduto già nei giorni precedenti alla cancellazione di numerosi altri graffiti tra i quali due storici graffiti dedicati a Dax-Davide Cesare e Mumia Abu Jamal. È inaccettabile che con tanta leggerezza si pensi di poter eliminare un pezzo di memoria storica, è vergognoso che il Comune di Milano attraverso la campagna antigraffiti, utilizzata per ristabilire un finto ordine e decoro, vada invece ad attaccare quello che è stato e tutt’ora è un prezioso patrimonio artistico e di memoria per l’intera città e per molte persone in tutto il mondo.

Per quanto riguarda la street art, è vero che non tutto ciò che si trova sui muri è artistico, ma i capolavori esistono e per rendersene conto basta farsi un giro su Wooster Collective.

La scuola dell’integrazione cinquant’anni dopo

Standard

The Integration of Little Rock Central
Cinquant’anni sono trascorsi da quando l’allora quindicenne Elizabeth Eckford, insieme ad altri otto ragazzi di colore, varcò per la prima volta la soglia della Little Rock Central High School, fino a quel momento frequentata solo da studenti bianchi. I giovani, soprannominati Little Rock Nine, assestarono così una batosta alla segregazione razziale che imponeva rigide divisioni fin dai banchi di scuola e quel gesto non fu indolore: una storica fotografia ritrae una coetanea che urla contro Elizabeth tutto il suo disprezzo all’inizio dell’anno scolastico.

In questi giorni, l’edizione inglese di Vanity Fair pubblica l’articolo Through a Lens, Darkly scritto da David Margolick che è tornato a vedere che accadde nei mesi successivi e che ne è stato dopo dei nove e della ragazza che urlava. Fino a oggi. Il tutto accompagnato da una galleria fotografica: The Integration of Little Rock Central.

Detto a chiare lettere: voglio scendere

Standard

Voglio scendere - Chiare LettereLa casa editrice Chiare Lettere, pur essendo nata da poco (il primo libro è uscito lo scorso 10 maggio), in questi mesi ha dato alle stampe una serie di libri interessanti e sta puntando molto sul dialogo con i lettori attraverso i blog: ne sono esempi l’osservatorio sull’informazione Tiro Libero e Italiopoli tenuto da Oliviero Beha. Ora, sulla scia delle ultime pubblicazioni, come Toghe rotte a cura di Bruno Tinti con prefazione di Marco Travaglio, e del dibattito emerso dopo il V-Day fuori e dentro la politica, rilancia con Voglio scendere, nuovo spazio in cui troveranno posto interventi, oltre che dello stesso Travaglio, anche Pino Corrias, Peter Gomez e Curzio Maltese:

Provate a immaginare le prime dieci cose da cui vorreste scendere all’istante per non farvi male, per esempio i tacchi della Brambilla, o i cactus di Berlusconi. Oppure provate a immaginare le dieci cose su cui vorreste salire almeno una volta per non sentirvi esclusi, per esempio l’aereo di Mastella, o la Beauty Farm di Fausto Bertinotti.

Noi non lo faremo per voi, ma lo faremo con voi. In forma di inchiostro, si capisce. Provando per quindici minuti al giorno, o dieci, o tre, a misurare l’esistente, dare un’occhiata all’ovvio, mettere in dubbio un alfabeto, smontare un conformismo, magari persino dare una notizia o semplificare una cosa complicata. Esplorare il contrario del contrario.

Purché non sia qualcosa di qualunque

Standard

Murales en el Darío Salas I - Foto di JI StarkSulla questione V-Day ne lo letto parecchio in questi giorni e ripropongo qui un commento a un post di Lele sull’argomento. Qualche riflessione partendo comunque dal fatto che Lele, così come altri, ha ragione nel sostenere che Grillo non vive la rete, ma la usa (il che di per sé non è una grave accusa, a mio avviso). Ad ogni modo, a Bologna non c’ero sabato scorso, ho visto alcuni video che sono circolati in rete. E una cosa mi ha colpito: sentire termini come “Creative Commons, copyleft, software libero e open source” usati correttamente (mica frequente) e contestualizzati altrettanto correttamente all’interno di discorsi su propulsione della creatività, sostegno alla crescita dell’economia dell’immateriale e risparmio sulle licenze sul software a titolo di reinvestimento in loco. Ecco, questo non è un discorso qualunque (né qualunquista). E non lo è nemmeno citare nome per nome per esempio i parlamentari con sentenze passate in giudicato: lo sarebbe dire “sono tutti ladri” senza distinzione (cosa che peraltro, se non ricordo male, Grillo faceva appena prima di iniziare a fare la lista della spesa a Craxi alla fine degli Anni Ottanta).

Di certo, questi punti non renderebbero minore il biasimo per eventuali notizie distorte – se così sono state davvero – dal comico genovese a proposito dei residui di metalli pesanti su alimenti a causa delle emissioni degli inceneritori. O eventuali altri usi strumentali di informazioni specifiche che possono essere stati fatti [1]. Probabilmente chi la rete la vive, può avere qualche strumento in più per raccapezzarsi meglio. Detto questo, mi fanno specie poi prese di posizione come “non devono esistere i partiti”, che ricorda molto il Ventennio. O come il latrato contro il blog di Mastella che sarà pure un blog poverino e gestito male e senza troppa cognizione di causa, ma mi sembra gratuito come attacco. O ancora lo turpiloquio infiammante e la scontata parodia di Prodi e di Sircana quando Grillo racconta del loro incontro a Palazzo Chigi.

Continue reading

Dalla rete: booktrailer, libri e fenomeni

Standard
  • Giulio Mozzi, Tutta la verità sui booktrailer, ecc.:

    I booktrailer, più o meno come ogni oggetto vivente o inanimato al mondo, possono essere classificati: ci sono booktrailer rispettosi, traducenti, sguaiati… Eccetera.

  • Booksblog.it, Cyberpunk: l’antologia di Raf Valvola è ora tascabile:

    Ribadisce l’importanza di un genere che ci ha dato la visione di un futuro, di una realtà possibile – descritta spesso a tinte apocalittiche […] – che giorno dopo giorno si avvicina sempre di più a quello che oggi stiamo vivendo.

  • John Pilger, The old Iran-Contra death squad gang is desperate to discredit Chavez:

    The similarities in the campaign against the phenomenal rise of popular democratic movements today are striking. Aimed principally at Venezuela, especially Chávez, the virulence of the attacks suggests that something exciting is taking place; and it is.

Dalla rete: festival, libri elettronici e pre-emboli eterogenei

Standard
  • InProspettiva, Copyleft festival – Be right, copyleft

    La programmazione del festival verrà strutturata in pomeriggi dedicati a presentazioni, tavole rotonde e workshop e serate caratterizzate da spettacoli di vario genere: dalla musica al teatro passando per reading sonorizzati.

  • Cory Doctorow, Free(konomic) E-books

    I started giving away e-books after I witnessed the early days of the “bookwarez” scene, wherein fans cut the binding off their favorite books, scanned them, ran them through optical character recognition software, and manually proofread them to eliminate the digitization errors.

  • Wu Ming, Pre-embolo

    I lavavetri come emergenza nazionale, si scomodano i ministri, che la farsa sia con noi. Ipocrita idolatria della “legalità”, Legalità con la Maiuscola, legalità placebo di ogni male, in un paese dove si iper-legifera per accontentare ogni lobby e cordata e non vi è norma che non sia in contrasto con mille altre. Questa ex-sinistra ormai sub-destra. Questa cofferateria diffusa. Fa male constatarle ma fa bene dirle, queste cose.

  • Luca Barbieri, I giornali a processo: il caso 7 aprile – Terza parte

    Ma se il movimento nasce a sinistra, se il più grande Partito comunista d’Occidente è costretto a guardare al centro, senza poter al tempo stesso essere scavalcato a sinistra, come sarà il suo rapporto con esso?

I loghi del terrore e un’antologia

Standard

Glorifying TerrorismDavid Friedman, Terrorist organization logos:

I did some research and rounded up as many logos as I could find from terrorist groups past and present. While I hate to give terrorists any more attention, I still think it’s interesting to see the various approaches they took in their logos, and wonder what considerations went into designing them. Does the logo successfully convey the organization’s message? Is it confusingly similar to another group’s logo? Does it exhibit excessive drop shadows, gradients, or use of whatever font is the Arabic equivalent of Papyrus?

Glorifying Terrorism (via BoingBoing.net):

Welcome to Rackstraw Press, created in response to the Terrorism Act of 2006 – the controversial ban on the glorification of terrorism in the UK. This Act is opposed by people from many political parties as an attack on free speech. Government protests that it will only be used if someone directly incites terrorism have been regarded as implausible by lawyers who point to the many other laws which currently cover this action.

Science fiction is a political genre. There are many science fiction writers who have already written novels and stories which could be considered in contravention of the law. In February 2007 Rackstraw Press published Glorifying Terrorism, an anthology of sf short stories written in protest of the Terrorism Act.

“This is a bad book. The people who have written it are bad folk. The editor is a bad person. If you buy it, you are bad too. There is only good and bad in the world.” – Ian MacDonald