Escono Permesso d’Autore e Libero come il software

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Pubblicato da Libera Cultura di Stampa Alternativa, esce con licenza Creative Commons il libro elettronico Permesso d’Autore, un viaggio tra gruppi informali, associazioni e aziende che fanno della propria professionalità strumenti per veicolare informazioni. Specificamente dedicato alla scena italiana, il libro si articola in capitoli-schede dedicati ad alcune di queste realtà sottolineando motivazioni di partenza, risultati raggiunti, consolidamento di network, strumenti software. E lo fa dando voce ai diretti protagonisti di questo genere di produzione culturale. Protagonisti accomunati dalla scelta delle licenze Creative Commons o della nota del copyleft letterario in modo che i contenuti siano quanto meno liberamente riproducibili.
A presentarsi, nelle pagine di Permesso d’Autore, sono Wu Ming, iQuindici, PeaceLink, il progetto F1rst, IlariaAlpi.it, Libera Cultura, Politica Online, Vita.it e l’Associazione Nazionale Infermieri di Area Critica. Inoltre un bookmark finale traccia una linea di partenza per chi voglia intraprendere un viaggio autonomo nel mondo della libertà di cultura che parla italiano. Il libro vuole inoltre aprire la strada per un cantiere in costruzione, attraverso il relativo sito permessodautore.it, dove altri produttori di cultura libera potranno proseguire ed estendere la linea tracciata dall’autrice.
Contemporaneamente, sempre su Libera Cultura, è uscito anche il libro elettronico Libero come il software – Usare Internet con gli strumenti liberi e/o open source per comunicare, lavorare, imparare di Nicola Furini. Rilasciato sempre sotto licenza Creative Commons, il testo – si legge nella scheda – è un «saggio su una una forma di consumo critico e responsabile nell’utilizzo del software. Usare software libero significa dunque rifiutare i monopoli e la sudditanza nei confronti delle grandi multinazionali, ma anche per promuovere l’alfabetizzazione informatica, per una più equa distribuzione delle risorse (in termini di sapere, informazione, competenze, strumenti), contro un accesso riservato alla tecnologia, non alla portata di tutti». Nicola Furini, l’autore, è un giornalista e si occupa di comunicazione sociale e di nuove tecnologie applicate al mondo dell’informazione. Fondatore di un’associazione che promuove la pratica del consumo critico, Graces.it, dirige la rivista telematica Criticamente e ha curato lo sviluppo di webzine di informazione indipendente Grillonews.it.
Antonella Beccaria, Permesso d’Autore: percorsi per la produzione di cultura libera, 2006
Il testo integrale viene diffuso in tre formati: HTML, SXW (OpenOffice.org) e PDF:

  • File PDF (1010KB)
  • File HTML (290KB)
  • File SXW (81KB)

Nicola Furini, Libero come il software – Usare Internet con gli strumenti liberi e/o open source per comunicare, lavorare, imparare, 2006
Il testo integrale viene diffuso in due formati: PDF e RTF:

  • File PDF (980KB)
  • File RTF (2MB)

RevolutionOS atto secondo

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Esce a cura di Arturo di Corinto il cofanetto Revolutions OS II (Apogeo) che contiene DVD e libro. Il primo propone un film-documentario sul panorama tecnologico e culturale legato a software libero in Europa e in America Latina, mercato, pubblica amministrazione, attività sociali e formazione. Il volume invece raccoglie saggi di diversi autori: Angelo Raffaele Meo, Richard Stallman, Lawrence Lessig, Eric Kluytens e diversi altri. È in programma anche una prima dell’opera: si terrà alle 20 del prossimo 2 marzo a Roma, presso il centro congressi dell’università La Sapienza (via Salaria 113). Organizzata dal Lslug (Linux User Group della Sapienza), la serata avrà come tema il software libero in Italia e parteciperanno, oltre al curatore del libro e DVD, Vittorio Pagani (osservatorio open source del CNIPA), Roberto Galoppini (consorzio CIRS), Andrea Sterbini, dipartimento di informatica e seguirà un dibattito con il pubblico. Nel 2003 era uscito, sempre per i tipi di Apogeo, Revolutions OS curato da Alberto Mari e Salvatore Romagnolo, girato nella Silicon Valley.

Documentario sulla cultura libera e Open Source 2.0

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Un documentario di nove minuti sulla cultura libera. Ad averlo girato in gennaio durante il NYC Free Culture Summit sono Maggie Hennefeld e Thessaly La Force e il file è disponibile per il download su Internet Archive con licenza Creative Commons Attribution 2.5. Nel documentario si vede inizialmente la presentazione a consumatori di forme di distribuzione di musica alternative e prosegue con interviste allo scrittore di fantascienza Cory Doctorow, a esponenti di Creative Commons e ad attivisti.
Inoltre una segnalazione editoriale. Per O’Reilly è uscito il libro Open Sources 2.0 – The Continuing Evolution scritto da Chris DiBona, Mark Stone e Danese Cooper. Il volume segue a sei anni di distanza Open Sources: Voices from the Open Source Revolution (disponibile anche nella versione italiana), ma rispetto al lavoro del 1999, non è (ancora?) disponibile la versione elettronica completa. Dal punto di vista dei temi affrontati, si focalizza sull’industria dell’informatica e affronta tematiche legate al business, alle pratiche e alle metodologie di sviluppo e alle analisi economiche. In attesa che venga tradotto anche in italiano, se ne può leggere una recensione di Bernardo Parrella, L’incessante galoppo dell’open source.

Millelire liberati

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Una buona notizia da Lettera 22, editoriale di Stampa Alternativa scritto dal suo direttore, Marcello Baraghini. Con l’avvio – anzi, l’evoluzione – del progetto Libera Cultura, parte la riedizione dei celebri libri Millelire, disponibili per il download sul sito della casa editrice e rilasciati con licenza Creative Commons. L’iniziativa si inquadra in un ambito più ampio che prevede il lancio di un nuovo filone editoriale per Stampa Alternativa e che comprende anche titoli nuovi.

Virus, video e peer to peer

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Un elenco di filmati e interviste a giornalisti, politici, scrittori sulla situazione politica in Italia. Il progetto si chiama Viral Video e contiene interventi di Marco Travaglio, Peter Gomez, Gianni Barbacetto, Massimo Fini, Gianni Vattimo e diversi altri. Un buon training per la presentazione del libro Inciucio. I materiali originali prodotti dal progetto sono rilasciati secondo la clausola di copyleft: «Chiunque può copiare o diffondere i materiali del Viral video project gratuitamente a condizione che non ne venga fatto un uso commerciale o che vengano manipolati e/o trasmessi in modo non integrale».

Operazione verità: un contributo

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Operazione verità è il payoff della campagna elettorale di Forza Italia che, affidandosi al sorriso del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, presenta, a botte di slogan populisti, quanto questo governo avrebbe fatto su pensioni, occupazione, lotta alla criminalità e così via. Tralasciando per un attimo le considerazioni relative al contratto con gli italiani e al (mancato) rispetto dei punti programmatici da parte della maggioranza, ricordiamo invece la campagna di comunicazione contro la pirateria multimediale che Palazzo Chigi ha avviato per combattere il fenomeno della duplicazione illegale di strumenti e contenuti telematici.

Che c’entra Operazione verità con la lotta alla pirateria? C’entra eccome perché i manifesti elettorali, scaricabili dal sito GovernoBerlusconi.it, sono stati realizzati con software crackato. Il software crackato, ci teniamo a rammentarlo, è software proprietario per il quale non è stata acquistata regolare licenza e le cui protezioni sono state forzate in modo che funzioni anche senza una legittima procedura di installazione e/o registrazione.

A darne notizia è il blog SocialDesignZine che, nell’intervento L’illecito programma di Berlusconi, spiega come sia stato possibile effettuare una semplice verifica sui file pdf scaricabili dal sito del capo del governo. Si legge infatti:

    Facciamo così. Collegatevi al sito web di Forza Italia, scaricate sul vostro computer il pdf di uno dei nuovi poster della campagna di Berlusconi e aprite la finestra “informazioni” (su Mac premete “mela-i”) del file pdf appena scaricato e… sorpresa!

    Ecco che sotto l’etichetta “creatore” appare il nome del programma QuarkXPress, con cui l’esecutivo della campagna è stato realizzato, seguito dalla lettera “[k]” che sta, notoriamente, ad indicare che il programma è stato abusivamente “crackato”.
    Sì, avete capito bene. La campagna di Forza Italia che va sotto il titolo di Operazione verità, è stata realizzata con software illegalmente duplicato e quindi senza averne acquisita la regolare licenza d’uso!

Del resto, si sa che questo esecutivo verrà ricordato come quello che, in quanto a leggi ad personam, ha saputo dare una discreta prova di sé. Forse la ex-Cirielli serviva anche a condonare questo reatuccio e non avevano così torto gli americani a essere innervositi, se si ragiona con la loro ottica.

Trusted computing movie

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Fiducia, mutualità, autonomia di decisione e, come conseguenza, libertà di espressione. Tutto ciò che viene negato nel trusted computing per come viene implementato o per come lo si vorrebbe implementare. Il gruppo di Lafkon ha così realizzato un filmato, Trusted Computing Movie, che è stato tradotto in italiano dal team di No1984.org. Semplice e immediato nell’illustrare i concetti di base che, se tecnicamente possono assumere gradi di complessità notevole, sull’utente hanno l’effetto di limitare l’utilizzo del computer e impedire la fruizione di contenuti ritenuti non consoni. Il filmato, infine, è stato rilasciato con licenza Creative Commons Sampling Plus 1.0.

Economia in chiave libera

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Come riportato nel weblog di CreativeCommons.org, Introduction to Economic Analysis è uno studio (disponibile anche in formato PDF) curato da Preston McAfee, docente di economia al California Institute of Technology. Si tratta al contempo di un manuale di microeconomia in chiave open source che, oltre a essere rilasciato con licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike, può essere studiato dagli studenti universitari che si avvicinano per la prima volta – o quasi – alla materia. Nei presupposti dell’autore, è un trattato scientifico e non politico né militante. Anche se qualche cartuccia contro l’establishment delle università e dell’editoria la fa esplodere. Fin dalle righe iniziali, infatti, sottolinea il differente approccio all’economia del suo libro perché in esso “si trovano modelli ed equazioni, non fotografie di economisti” che riempirebbero molti altri manuali di “fuffa” e non di “strumenti concettuali”. Ma non finisce qui: McAfee spiega le ragioni della virata verso la libertà di utilizzo del libro.

    Perché open source? Gli accademici producono una notevole quantità di lavoro editoriale e ora gli editori hanno rescisso un contratto implicito con gli accademici in cui noi mettevamo il nostro tempo e loro non si dimostravano troppo avidi. Alcuni articoli da scaricare costano 20 dollari e i libri vengono venduti a oltre 100. Fanno uscire frequenti nuove edizioni per uccidere il mercato dell’usato e la rapidità con cui escono le nuove edizione contribuisce a errori e grossolanità. Inoltre i libri di testo sono stato “snelliti” e qualche scattante editore cerca di soddisfare quegli studenti che preferiscono non imparare nulla. Molti manuali sono stati “snelliti” (semplificati) al punto da essere semplicemente scorretti. E vogliono anche 100 dollari? Questo è un tentativo di presentare agli studenti l’economia e come funziona oggi? Perché non proviamo a spiegare agli studenti di più invece che di meno?

In merito poi alla scelta di una licenza Creative Commons, si legge:

    Il copyright conferisce un monopolio per un periodo presumibilmente limitato di tempo. Dunque la Disney Corporation detiene i diritti su Mickey Mouse. Diritti che, per legge, dovrebbero scadere, ma che sono stati estesi dal Congresso ogni volta che stavano per esaurirsi. Il copyright crea monopoli sulla musica così come sui personaggi dei cartoni animati e Paul McCartney detiene i diritti sulla canzone “Happy Birthday to You” ricevendo royalty ogni volta che viene passata in radio o utilizzata in qualsiasi altro ambito commerciale. Questo libro è rilasciato in termini che vietano espresamente un uso commerciale, ma che permette molte altre forme di utilizzo.

Infine una (buona) notizia italiana. Il 16 dicembre verrà infatti presentato a Roma il progetto LiberMusica durante il convegno Liberiamo la musica. Ideata da LiberLiber, che da anni diffonde versioni digitali di opere i cui diritti sono scaduti, l’iniziativa ha lo scopo di «distribuire gratuitamente l’immenso patrimonio di musica classica, jazz, popolare libera da copyright» riunendo incisioni precedenti al 1954.

Mamma li pirati

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Ma che c’entrano l’una con l’altra la legge per la prescrizione dei reati in Italia (conosciuta come ex Cirielli o anche salva-Previti) e l’industria cinematografica hollywoodiana? Lo chiarisce un titolo di Repubblica, A rischio i processi sulla pirateria, per parlare di una lettera della Motion Picture Association of America (MPAA) datata 22 novembre (di cui non si trova traccia in rete) e inviata all’ambasciatore italiano negli Stati Uniti, Giovanni Castellaneta. La missiva, che sarebbe stata firmata anche da produttori di software ed editori, rappresenta – in base agli stralci riportati dal quotidiano – una minaccia per i procedimenti pendenti contro i pirati a cui sarebbe garantita l’immunità totale incoraggiando così la delinquenza singola e l’associazione a delinquere. Calcando poi la mano sulla situazione italiana, vengono riportati numeri relativi ai danni che la pirateria provocherebbe all’economia tricolore: meno un miliardo e mezzo di profitti per il software, 180 milioni per l’audiovisivo e 150 per la musica. A titolo di fonte per questi dati, viene citata una ricerca del 2003 di Kpmg.

Storie già sentite

Tra i firmatari della lettera, Dan Glickman, presidente della MPAA che riunisce produttori e distributori come Walt Disney-Buena Vista, Sony, Metro-Goldwyn-Mayer, Paramount, Twentieth Century Fox di Murdoch e Warner Bros. Inoltre sigla anche David Israelite, a capo di NMPA, che rappresenta 800 case discografiche e che fa proprio vanto il risultato della guerra contro Napster, Mitch Bainwol (RIAA) e BSA, AAP, IFTA ed ESA. Acronimi di per sé poco significativi che stanno però a indicare le associazioni di categoria di major musicali, del software, dell’editoria e dello spettacolo.

Insomma, sempre il solito e ritrito discorso tecno-belligerante alla Jack Valenti e alla Janet Reno. Malgrado le rassicurazioni di John Malcom, vicepresidente di MPAA, torna il leit motif secondo cui la rete è un covo di potenziali nemici pubblici contro cui va condotta una «personale guerra al terrorismo» perché «alcune organizzazioni criminali sembrano utilizzare i profitti realizzati con il commercio di prodotti contraffatti per favorire diverse attività, come il traffico d’armi, di droga e la pornografia». E questa cancrena sarebbe imputabile a «internet [che] rende più facile rubare, produrre e distribuire merci come software, musica, film, libri e videogiochi» (The threat of digital theft, incluso in The Industry Standard, dicembre 2000.)

Sempre Repubblica informa anche di due casi che hanno avuto per protagonisti Madonna e gli U2. La prima «per contrastare la diffusione di musica pirata, disseminò il web di files con i titoli delle proprie canzoni. Ma era una trappola: una volta aperti si ascoltava l’insulto della cantante rivolto all’ascoltatore: “Ma che c… credi di fare?”». I componenti della band irlandese, invece, «dopo essersi visti trafugare il master con i brani del loro disco How to dismantle an atomic bomb, firmarono un accordo con la Apple per mettere in vendita degli iPod (una speciale versione nera) contenente le canzoni dell’album».

Tutti colpevoli

Se il secondo caso è un ricorso a strumenti che possano ovviare a un danno pre-esistente, nel primo invece la colpa al solito viene addossata alle nuove tecnologie. Esattamente come accadde quando vent’anni e rotti fa vennero messi in commercio i primi videoregistratori. Al tempo uno studio di Cap Gemini Ernst & Young dimostrò come «la ‘crisi’ […] non era causata da chi registrava le cassette – la cui attività non si fermò [dopo l’arrivo di MTV, che mise in ulteriore allarme le major, NdR] – ma in larga parte derivava dalla stagnazione nell’innovazione musicale delle maggiori etichette discografiche». E poi forse i grandi produttori hollywoodiani dimenticano di essere stati proprio loro i primi pirati: a partire dal 1909, infatti, furono molte le nascenti realtà cinematografiche (tra cui la Fox) che fuggirono dalla East Coast e si rifugiarono sul litorale pacifico per sfuggire ai brevetti di Thomas Edison, fondatore della Motion Pictures Patents Company (MPPC). In California, infatti, avrebbero avuto modo di scansare più agevolmente i controlli del trust di Edison senza dovere nulla a nessuno.

E poi chi è un pirata? Per i colossali difensori della proprietà intellettuale, chiunque utilizzi Internet o le reti P2P per scaricare contenuti digitali di qualsiasi genere. E questi utenti sono così invisi da assumere ormai anche in Europa la fisionomia del malfattore tout cour. Senza mai distinguere tra categorie di “scaricatori”. Lawrence Lessig, in Free Culture, ne distingue invece quattro: 1) chi usa la rete per sostituire l’acquisto, cioè l’utente potenzialmente più dannoso; 2) chi ascolta e poi effettua scelte prima dell’acquisto un po’ come avviene con le cuffiette messe a disposizione da Ricordi MediaStore; 3) chi condivide materiale ancora coperto da diritto d’autore ma non più in commercio perché l’editore non lo ritiene più economicamente redditizio (e in questo caso chi è il danneggiato?); e 4) chi condivide unicamente materiale che si può liberamente distribuire. Di fatto, l’unica categoria veramente dannosa per gli introiti di chi fa profitto con i contenuti è solo la prima. Dunque, perché continuare a colpire tutti? Meglio continuare a terrorizzare invece di educare a un uso consapevole del diritto d’autore e alle distinzioni contenute nelle licenze d’uso?