Pirata a chi? Almeno non via FTP

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diritto d'autoreQuando venne approvata la legge 248/2000, che introduceva sostanziali modifiche alla legge sul diritto d’autore, la 633/1941 (fine di lucro, obbligo dell’apposizione del bollino Siae per quei supporti che contengono contenuti digitali e che entrano nel circuito pubblico, passaggio dal illecito civile a reato penale per la duplicazione “abusiva”), ci fu di che preoccuparsi anche per chi rispettava le disposizioni vigenti utilizzando licenze d’uso che consentivano la copia legale e la condivizione di software e materiale multimediale. Ora, invece, con la sentenza 149/2007 pronunciata dalla III sezione penale della Corte di Cassazione, si arriva a un passo ulteriore, non chiarito ai tempi nemmeno dal regolamento attuativo. Come riportato dal Sole24Ore:

Per «fine di lucro […] deve intendersi un fine di guadagno economicamente apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell’autore del fatto, che non può identificarsi con un qualsiasi vantaggio di genere; né l’incremento patrimoniale può identificarsi con il mero risparmio di spesa derivante dall’uso di copie non autorizzate di programmi o altre opere dell’ingegno, al di fuori dello svolgimento di un’attività economica da parte dell’autore del fatto, anche se di diversa natura, che connoti l’abuso». Anche con riferimento alla detenzione di un programma destinato a rimuovere o ad aggirare dispositivi di protezione «non emerge – avvertono i giudici – dall’accertamento di merito la finalità lucrativa cui sarebbe stata destinata la detenzione e, tanto meno, un eventuale fine di commercio della stessa». E adesso alle lobby anti-pirateria la contromossa. C’è da scommettere che questa sentenza farà la felicità dei migliori studi legali.

Da non sottovalutare un elemento che viene sottolineato negli ambienti Creative Commons Italia: la sentenza prende in considerazione solo la posizione di chi ha allestito servizi di condivisione via FTP. Dunque ulteriori elementi che vanno a nutrire il fenomeno tendenziosamente definito come pirateria sono ancora da approfondire.

Un tipo di accordo tra autori

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Promiscuous Materials ProjectNon esclusività della storia: filmmaker e sceneggiatori in primis – senza tuttavia porre limitazioni – possono prenderla e trasformarla. La proposta arriva dal Promiscuous Materials Project ed è stato lanciato dallo scrittore newyorkese Jonathan Lethem che al momento ha riunito una quindicina di storie e più o meno altrettanti testi di canzoni.

Pur non rispecchiandone esattamente le modalità operative, il progetto di Lethem trae ispirazione diretta dalle istanze del software libero e di Creative Commons e dall’interpretazione di proprietà data dal libro The Gift di Lewis Hyde. E di lo scrittore dice:

I’m strongly influenced, in this effort, by Lawrence Lessig’s writings. But my own plan had some specific contours which didn’t fit any of the Creative Commons licenses. So I invented my own type of agreement with other artists.

USA: il registro di quelli “grassroots”

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Da una dichiarazione di Richard A. Viguerie, presidente di GrassrootsFreedom.com, a proposito della linea del Congresso USA in base alla quale regolamentare le comunicazioni dal basso:

Section 220 of S. 1, the lobbying reform bill currently before the Senate, would require grassroots causes, even bloggers, who communicate to 500 or more members of the public on policy matters, to register and report quarterly to Congress the same as the big K Street lobbyists. Section 220 would amend existing lobbying reporting law by creating the most expansive intrusion on First Amendment rights ever. For the first time in history, critics of Congress will need to register and report with Congress itself.

The bill would require reporting of “paid efforts to stimulate grassroots lobbying,” but defines “paid” merely as communications to 500 or more members of the public, with no other qualifiers.

On January 9, the Senate passed Amendment 7 to S. 1, to create criminal penalties, including up to one year in jail, if someone “knowingly and willingly fails to file or report.”

Nuovo strumento per cercare in Wikipedia

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WikiseekDa non confondere con Wikiasari, il motore di ricerca annunciato da Jimmi Wales lo scorso 23 dicembre, si aggiunge un altro strumento per reperire informazioni da Wikipedia. Si chiama Wikiseek, è ancora in versione beta, può diventare un plug-in per diversi browser e viene offerta anche un’estensione per Firefox che integra il nuovo motore di ricerca nalla pagina della stessa Wikipedia.

Recensioni sono comparse su Monkey Bites di Wired e su TechCrunch.

Chiarezza d’intenti e voglia di crescere

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Il Web 2.0 e lo scenario italianoIl testo che segue è l’introduzione alle interviste realizzate per il convegno Il Web 2.0 e lo scenario italiano: a che punto siamo? e per il relativo dossier. Il file completo delle interviste è online sul blog di Giornalismi Possibili, insieme alla relazione di Bernardo Parrella, Web 2.0 e informazione: dalla ridondanza alla “next big thing. Altro materiale si aggiungerà nei prossimi giorni e tutto viene rilasciato con licenza Creative Commons.

Chiarezza d’intenti e voglia di crescere

La socialità è la base e la collaborazione è lo strumento. Il fine sono la condivisione e l’accrescimento del patrimonio di informazioni. Se i concetti fondamentali si contano sulle dita di una mano (del resto si chiama chiarezza d’intenti), le idee sono limpide e i contenuti proposti eterogenei. Questo viaggio nel mondo di alcuni progetti italiani che oggi vengono etichettati web 2.0 dimostra una serie di asserzioni: intanto che la creatività non manca così come non mancano le competenze che portano, nel giro di poco tempo, a lanciare progetti attraverso cui raccogliere nel giro di poco tempo centinaia di utenti. Continue reading

Science Commons: aprire l’accesso alla ricerca

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diritto d'autoreAnother reason for opening access to research è il titolo di un articolo pubblicato a fine dicembre sul British Medical Journal. A scriverlo è John Wilbanks, direttore esecutivo di Science Commons, progetto di Creative Commons per la rimozione delle barriere tecniche e legali alla collaborazione e innovazione scientifica, e l’autore fa il punto sul movimento open access in diversi ambiti. Affermando tra l’altro che:

Evidence shows that open access has substantially increased the amount of scholarly works available to all, regardless of economic status or institutional affiliation.

Open access journals are entering the mainstream of scholarly publishing. The Directory of Open Access Journals, a listing of “free, full text, quality controlled scientific and scholarly journals,” includes 2478 journals, with on average more than one journal a day added in 2006 (121 999 articles are tracked). Open access journals have earned top impact factors in fields such as biology and bioinformatics, as well as high immediacy factors.

[…] Self archiving by authors is also growing rapidly. Between March 2005 and October 2006, the number of institutional archives tracked at the Registry of Open Access Repositories has grown by nearly one every other day, and the number of records in those archives has grown by nearly 600%, to 1.2 million papers. Open access is here to stay, in one form or another.

Rai, l’editoria, la rete e il loro futuro

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Editoria e futuroDa Giornalismi Possibili. Permangono le incertezze in merito al nuovo contratto di servizio della Rai diffuso lo scorso 4 dicembre: prima era stata annunciata una riforma piuttosto radicale tanto da arrivare anche a includere le licenze Creative Commons per i contenuti prodotti dal servizio pubblico. Tuttavia un’analisi di Diego Galli sul testo giunto alla commissione di vigilanza, scaricabile da qui, fa notare che, in tema diritti, non ci sono riferimenti diretti a licenze d’uso più o meno libere e si parla semmai dell'”impiego delle più opportune tecnologie”.

Una questione in qualche modo collegata è poi quella della riforma della legge sull’editoria di cui si era parlato qualche giorno fa: il testo da presentare in parlamento dovrebbe derivare alla consultazione diretta dei cittadini attraverso un questionario da scaricare dalla rete. Solo che… c’e’ un solo che: sorvolando sul fatto che il questionario e’ in .doc (in alternativa ne esiste una versione in .pdf, ma per i cittadini – o addetti ai lavori – poco avvezzi all’uso di strumenti di editing per questo genere di file diventa complesso compilare il documento per poi rispedirlo per posta elettronica), le domande sono eccessivamente tecnicistiche e poco intelleggibili. Continue reading

DRM e il futuro degli MP3

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No DRMMentre la EMI ha annunciato di non applicare più sistemi anti-copia e DRM ai propri CD (la notizia in italiano qui), Wired pubblica l’articolo Who’s Killing MP3 and ITunes? del giornalista musicale Eliot Van Buskirk su formati digitali, condivisione della musica e protezioni. Tra le diverse ragioni che vengono riportate nel testo, probabilmente le ultime due sono le più importanti perché riferite agli utenti e al futuro della tecnica. In merito ai primi, si legge:

6. People love AllofMP3.com

There’s already a case study of what an MP3 store could look like: the Russian site AllofMP3.com, which people are still reporting access to, despite attempts to starve it of U.S. credit cards. Its popularity also indicates that digital music pricing should drop (a 10-cent to 25-cent per unprotected MP3 sounds about right to me). Since increased sales of a digital good can’t affect inventory, the labels would more than make up for the price drop by selling far more songs — especially considering the endless targeting capabilities online music stores could eventually offer. (For instance, what if something like Pandora were used as a front end to an AllofMP3-type service?)

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