L’annuncio di morte arriva in diretta televisiva. E conferma l’esistenza di tre mostri: un primo mostro – presunto, al momento – in famiglia, che sembra darsi da fare per ritrovare la nipote scomparsa mentre custodirebbe la chiave della sua sparizione; come in una riedizione del Videodrome di David Cronenberg, il secondo mostro rende permeabile la realtà televisiva e la realtà “reale”, facendo in modo che si fagocitino a vicenda. L’ultimo mostro, forse figlio (o genitore) del secondo, viviseziona la vita di un’adolescente facendone carne in scatola per rivelazioni televisive e doppie pagine sparate a raffica.
Camminano tra noi
La vicenda di cui parliamo è quella di Sarah Scazzi, la quindicenne di Avetrana, provincia di Taranto, scomparsa lo scorso 26 agosto. Nelle varie dirette che la trasmissione di Rai3 Chi l’ha visto ha dedicato a questa storia, un’affermazione corretta era stata portata nelle case dei suoi telespettatori. A pronunciarla era stata una madre, Filomena Iemma: per diciassette anni ha cercato la figlia, Elisa Claps, venendo infine a sapere che il corpo della giovane era rimasto per tutto il tempo nel sottotetto della chiesa cittadina, a Potenza. Aveva detto la donna: «Le ragazzine non spariscono nel nulla».
Ed è vero. Scappano di casa, le adolescenti, ma difficilmente sfuggono per troppo tempo alle ricerche delle forze dell’ordine. Se poi ci si mette la tivvù a cercarle, prima o poi saltano fuori. E possono anche essere portate via, in senso letterale o figurato, ma non cercate il mostro sconosciuto perché la maggior parte delle volte sbaglierete. Il “cacciatore” senza nome, appostato di fronte alle scuole, in un bar, in auto, esiste talvolta, ma statisticamente non è lui il responsabile, ci dicono le analisi sulla violenza sessuale che può condurre anche all’omicidio. Il responsabile va cercato nella sfera affettiva della vittima: nell’ordine, nella prima cerchia parentale (i conviventi), nella seconda (i parenti più prossimi non conviventi) e in quella amicale e nelle frequentazioni quotidiane o quasi.
È ciò che è accaduto a Elisa Claps, per quanto le indagini continuino a essere difficoltose e contraddittorie, anche dopo il ritrovamento del corpo. Ma è accaduto anche a Lorena Cutraro, 14 anni, di Niscemi, punita dal branco di sedicenti amici perché incinta di uno di loro. O a Carmela, 13 anni, di Taranto, che sopravvisse allo stupro, ma venne giudicata psichicamente instabile e finì per togliersi la vita mentre gli aggressori, anche in questo caso amici” al tempo minorenni, furono affidati a un programma di rieducazione. Con questo genere di esempi si potrebbe procedere a ritroso in decine, centinaia di casi, compreso il massacro del Circeo del 1975 e, l’anno successivo, il delitto con occultamento di cadavere di Olga Julia Calzoni, storia dimenticata di violenza nella violenza.
Il primo mostro – l’esecutore materiale, colui che brama, vuole e può anche uccidere, pur di avere o se si sente rifiutato – è conosciuto dalle vittime di violenza. E per quanto sia socialmente più tranquillizzante pensare allo sconosciuto che arriva da fuori e fuori se ne va dopo il delitto, è un pensiero troppo spesso fuorviante.
Affermazioni e smentite in diretta tivvù
Mercoledì 6 ottobre. La trasmissione Chi l’ha visto è ormai entrata nella seconda parte. Si parla di un caso, una famiglia che, come tante in tanti anni, chiede aiuto per ritrovare un familiare di cui non ha più notizie. Ma il dialogo si interrompe, arrivano informazioni da Avetrana e la linea passa all’inviata che, insieme ad alcuni componenti della famiglia Scazzi, è a casa degli zii della ragazzina scomparsa. A questo punto la confusione: è stato trovato un corpo, non è vero, lo si cerca, è arrivata una segnalazione, c’è ancora un parente sotto interrogatorio.
Senza più una direzione, senza poter contattare gli inquirenti, senza riferimenti nella ricerca di conferme alle voci che si infittiscono, inizia una diretta che si consuma di fronte alla madre della ragazzina, Concetta Serrano. Si intuisce che siamo alla fine del mistero di Avetrana, ma per una manciata di minuti potrebbe ancora darsi che sia arrivata una telefonata con una segnalazione, l’ennesima pista – e l’ennesima speranza – a cui aggrapparsi. Ma nella concitazione crescente, senza che siano state ancora pronunciate le parole “corpo”, “ritrovamento”, “omicidio”, una frase della conduttrice gela gli spettatori. Dice più o meno che i giornalisti non dovrebbero dare certe notizie e che le famiglie non possono essere informate dalla stampa. Manca un complemento, a questa frase, ma il sottinteso è chiarissimo.
E seppur emergesse, nel corso di quella diretta (o almeno all’inizio di quell’ultima parte), la volontà di evitare il diffondersi di informazioni tragiche e infondate, a un certo punto è stato un pullulare di schermate di Repubblica.it e di agenzie i cui titoli e testi, al pari dell’incertezza ancora strisciante, cambiavano di momento in momento. A un certo punto – probabilmente più per mancato governo della trasmissione che per spettacolarizzazione – va in scena il dramma: una madre pietrificata, un avvocato che convulsamente dà le spalle alla telecamera mentre cerca di raggiungere numeri di cellulare irraggiungibili o che squillano a vuoto, i singhiozzi fuori campo della cugina che da settimane aspetta di riabbracciare Sarah e adesso viene a sapere, con una certezza che cresce da un minuto all’altro, che il padre amato ne è coinvolto. Una specie di Natural Born Killers, nel frammento che Oliver Stone strappa alla violenta attitudine a uccidere dei protagonisti per ricostruirne vite pregresse: una specie di sit-com con tanto di risate artefatte che serve allo spettatore (ma in quel caso si è al cinema e quella è una finzione) una storia di abusi sessuali e psicologici tra assi da stiro e dispense con scatole di corn flakes. Applausi.
Se la notizia diventa il diario di un’adolescente
Ma, si diceva, c’è un terzo mostro, figlio o padre del precedente. Nei giorni che seguono la scomparsa di Sarah Scazzi, la storia viene “adottata” dai media. Che, forse a corto del classico giallo dell’estate (ricordate i casi della skipper Annarita Curina, di Simonetta Cesaroni, di Alberica Filo della Torre fino a Chiara Poggi?), si gettano sulla ragazzina, ne frugano la vita cannibalizzandone ogni aspetto.
Ecco allora che le pagine dei suoi diari diventavano foto 15 per 20 centimetri con cui aprire doppie pagine. Ecco che i vari account di Facebook diventavano fonte per ricostruire il dark side di un’adolescente che si dibatte nel più complesso passaggio della vita. Ecco che le chattate con gli amici virtuali devono costituire il retroscena per una saga allusiva che molto concede alla morbosità. Chi ha tenuto un diario – cartaceo o elettronico poco importa – in quegli anni, sa che amore e odio sono due sentimenti portati all’estremo. Così come l’amore per un coetaneo assume connotati da neverending story con cui bruciare qualsiasi tappa dell’età, altrettanto l’odio diventa verbalmente violento verso l’autorità o quanto meno verso gli insegnamenti rappresentati dai genitori. E spesso dalle madri.
Sbandierare quelle passioni adolescenziali, usarle per voler a tutti i costi vedere dietro il sorriso infantile di una ragazzina bionda ed esile, non è affatto diverso dall’esibire la biancheria usata che determinato feticismo dell’estremo oriente porta le giovanissime giapponesi a mercimoni quanto meno strani. Con la differenza che Sarah Scazzi, dopo essere stata assassinata per ormai innegabili motivi sessuali, ha subito lo stupro della sua memoria. Stupro perpetrato da gente conosciuta chissà come: invece di limitarsi a riportare all’autorità giudiziaria gli elementi di cui era in possesso, si è concessa alle telecamere e ai registratori di non importa chi.
È vero, allora non si sapeva della sua morte, per quanto chi ha un minimo di perizia con questo genere di vicende poteva dare come altamente probabile la tragedia. Ma non importa: se anche fosse stata viva, è stata comunque trasformata nella ragazzina con troppa voglia di crescere, che ammiccava per via telematica a uomini con il doppio dei suoi anni; ragazzina che voleva scappare di casa e che aveva un’unica fonte di odio, la madre. C’è da scommetterci che, nel giro di qualche anno, se fosse vissuta, avrebbe ricordato le pagine del suo diario con imbarazzo, pagine superate dal riassorbirsi delle violente pulsioni frutto di quel rito di passaggio verso la vita adulta che è l’adolescenza.
(Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Domani diretta da Maurizio Chierici)
Cara Antonella, come sempre la tua analisi è correttissima. Sono una seguace di Chi l’ha visto? televisiva, nn seguo quella su FB, e nn te ne sto qui a spiegare le ragioni, ma conoscendomi le puoi immaginare, e voglio dirti che la tua analisi è la più corretta, vera, approfondita. Bravissima. Cercherò di pubblicizzare il più possibile il tuo scritto perchè mi sembra di una lungimiranza eccezionale. Ti abbraccio e ancora complimenti. Bravissima. Grazia Negrini
In questo momento sono troppo commossa per commentare, sia perchè davvero colpita dalla terribile notizia, anzi..dalle terribili notizie, sia perchè..colpita allo stomaco dal tuo impareggiabile articolo, cara Antonella!
Io sono su Facebook, ma lì non avevo visto e seguito nulla, però ho voluto pubblicare il tuo articolo sulla mia bacheca per condividerlo con più amici (e parlo di amici “veri e reali”) possibile.
Grazie sia a Grazia che a Mida. Sinceramente avrei preferito non scrivere di una storia cosi’ terribile, ma vedere come e’ stata trattata l’intera vicenda…
Mi sono chiesto ieri sera, durante la trasmissione, che cosa avrei fatto se fossi un giornalista televisivo.
Avrei fatto esattamente quello che ha fatto la Sciarelli, perchè una cosa analoga era successa nel 1998 a “Chi l’ha visto” nel 1998 e perchè un giornalista non aspetta altro che uno scoop del genre in diretta televisiva.
Mi chiedo se tra i 3 mostri citati da Antonalla, ci sia una gradualità di gravità o se siano tutti sullo stesso piano e se non ce ne siano stati tanti altri, che hanno usato l’arma pericolosissima del pressapochismo e del luogocomunismo.
Il dogma della Televisione afferma che tutto deve andare in onda, senza discriminazioni di valore, perché tanto tutto cade negli stomaci famelici degli spettatori. La pubblicizzazione dell’intimo deve radere al suolo ogni forma di rispetto del dolore altrui, che non è mai il fine da proteggere ma sempre il mezzo da spremere e cucinare per aumentare il numero dei contatti. Aldo Busi non può andare in televisione a dire quello che pensa, la faccia della madre cui viene data la notizia della morte della figlia sì. I film non possono mostrare le scene d’amore tra omosessuali, ma possiamo vedere tutti i giorni le descrizioni dettagliate di delitti efferati e bestiali. Sui canali nazionali non si può pronunciare la parola “clitoride”, si può pronunciare la parola “sterminio”.
Non l’arte, non la filosofia, non la teologia, non la letteratura, ma libero accesso televisivo si può concedere alla merda ed ai suoi derivati: sangue, sterminio, violenza, arroganza, potere. Il male deve andare in onda, non la verità e le sue vie tortuose e ardue. Mandarlo in onda e dirlo male, esprimerlo con rozzezza e banalità, questo è il primo prolungamento del delitto; usando stereotipi e superficiali generalizzazioni, dichiarandoci fratelli e sorelle e madri e padri affettuosi del defunto o della defunta, sempre chiamata per nome come se la conoscessimo da una vita, rintanandoci nelle mostrificazioni e nei richiami alla follia, inneggiando alla pena di morte e scatenando goduriose descrizioni delle vendette sull’infame non-umano. Che questo mare di schifo sia un vaccino.
Grande pezzo, Antonella: cosa non farebbero per “distrarre” milioni di “taliani”, nevvero? :-(
niente di meglio del dolore in diretta per elettrizzare lo spettatore. meglio se con vittima innocente, omicidio efferato e relativo mostro. a suo modo una trasmissione in perfetta sintonia con i tempi e quadro chiarissimo dell’animo umano. dietro le ipocrite prese di distanza, qualcuno si sfregava le mani. meno male che mi rifiuto di seguire certe cose.
Un plauso alla minuziosa e perfetta analisi di LucaT, cui mi associo!
In accordo totale con LucaT…. altro che giornalisti, articoli e TV!! Che sia fatta finita con la pubblicazione di tutto e di tutti e, nel caso questo avvenga: discrezione, poca notizia e nessun “vediamo come è stato effettuato il delitto e perchè”; a che serve, a chi seve? Se nella TV si tornasse a fare Studio1 ed Alberto Manzi potesse tornare ad “insegnare” a scrivere e parlare correttamente la nostra lingua, sarebbe molto, ma molto, ma molto meglio!