L’assurdo giuridico: la tradizione dello yoga difesa a colpi di brevetti

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Old School YogaNegli Stati Uniti da tempo ci si stava provando, ma gli indiani devono aver pensato che, se qualcuno deve detenere brevetti (sì, proprio quel titolo che conferisce un monopolio temporaneo sulle invenzioni) sulle posizioni dello yoga, quelli devono essere loro. Così, riferisce il britannico Telegraph:

l’India ha creato un team di diversi guru hindu e di 200 scienziati per individuare tutte le antiche posizioni yoga o asanas. Lo scopo è quello di registrarle per fermare i “pirati dei brevetti” che rubano la “conoscenza tradizionale”.

Il giro d’affari, del resto, non è indifferente. Ancora dalle colonne del giornale inglese si legge che a partire dagli anni sessanta, con l’introduzione dello yoga in Gran Bretagna e negli Stati Uniti a opera di George Harrison dei Beatles, si è creato un circuito che a oggi vale 225 milioni di dollari. Dunque, con il tempo, nei soli USA, sono stati concessi 130 brevetti e sono stati registrati 2300 marchi in tema mentre in oriente le stesse pratiche vengono ancora esercitate come disciplina pubblica che i maestri insegnano nei parchi e in luoghi aperti. E l’obiettivo che si è data la Traditional Knowledge Digital Library indiana è quella di arrivare entro il 2009 ad almeno 1500 brevetti.

Lo sfruttamento delle conoscenze e delle culture tradizionali a scapito di chi questo patrimonio lo possiede non è argomento nuovo. Ne ha approfonditamente parlato Philippe Aigrain per esempio nel suo Causa Comune (qui il link per scaricare il pdf del libro, che è rilasciato con licenza Creative Commons), rilevando come, nel mondo del biologico e dell’agroalimentare, sia guerra aperta in fatto di brevetti e modalità di coltivazione popolare. Nel libro di Philippe si legge per esempio a proposito delle guerre del riso:

A partire dal 1990 la compagnia transnazionale RiceTec acquisisce, attraverso la sua filiale statunitense, alcuni marchi (tra cui Kasmati) relativi a varietà ibride del riso basmati, 27 delle quali coltivate da secoli in India. Nel 1994, la stessa società deposita una domanda di brevetto, che sarà concesso dall’Ufficio brevetti e marchi statunitense nel 1997, su alcune di queste varietà. Sembra che all’inizio i brevetti di RiceTec fossero destinati principalmente a bloccare le esportazioni indiane e thailandesi verso gli Stati Uniti, dove i consumatori apprezzavano sempre più le qualità delle varietà asiatiche. A seguito di un’azione intrapresa da diverse ONG (tra cui RFSTE) con il sostegno del governo indiano, un certo numero di rivendicazioni brevettuali fu invalidato, ma tre varietà di riso basmati restarono tutelate. Tutti gridarono vittoria mentre RiceTec brevettò anche varietà di riso jasmine (varietà tradizionale in Thailandia). Le varietà di cui l’azienda si era semplicemente appropriata (senza alcuna reale modifica) e che presentava come innovative erano state realizzate a partire da varietà ottenute da una delle banche mondiali e finanziate dai paesi in via di sviluppo […]. Per iniziativa di diverse ONG indiane e dei paesi sviluppati, i contadini indiani manifestarono o intrapresero tour informativi nel mondo intero. L’acquisizione di brevetti sulle varietà tradizionali o su varietà modificate in modo minore fece scoppiare nel mondo intero il problema della biopirateria. Un precedente scandalo aveva riguardato un’altra pianta, il neem, ma il dossier era meno chiaro e l’impatto meno estremo dell’appropriazione di un prodotto che assicura una parte significativa della sussistenza e delle esportazioni di una gran parte dell’Asia. L’appropriazione di varietà tradizionali diventerà visibile in moltissimi altri ambiti (piante medicinali, cosmetiche), dando vita al termine “biopirateria”. Eppure non si tratta che di una battaglia del riso fra tante altre, dopo quelle che avevano già riguardato la promozione delle varietà ibride e quelle che si svilupperanno come OGM.

Ma il brevetto difensivo nel mondo che non appartiene all’informatica è una novità. Infatti finora si era sempre risposto alla biopirateria con il copyleft. Infatti (sempre Aigrain):

Questi modelli riconoscono a quelle varietà o saperi la natura di beni comuni e li pongono sotto un regime che ne impedisce ogni appropriazione futura. Si tratta di una costruzione molto delicata perché occorre arrivare a impedire che modifiche minori permettano di appropriarsi del bene comune, tramite la brevettazione delle modifiche e la relativa imposizione tramite varie forme di potere di mercato. In pratica, una vera soluzione a lungo termine del problema presupporrà di tornare a discutere della brevettabilità di ogni forma di varietà vegetale o entità informazionale. Quanto ai benefici che i paesi poveri potrebbero ricevere da un libero sfruttamento mondiale dei loro saperi o delle pratiche tradizionali, è un problema molto reale, che richiede un aiuto significativo applicato localmente. Il loro riconoscimento in quanto beni comuni non può dunque essere che un primo passo.

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