Il dubbio che ha portato all’assoluzione di Totò Riina ai sensi, come si dice in termini tecnici, dell’articolo 530 comma secondo (la vecchia insufficienza di prove), permane: non c’è la prova provata che il boss dei corleonesi sia il mandante della strage di Natale, quella che fece 16 morti e 260 feriti con la bomba esplosa il 23 dicembre 1984 sul Rapido 904 Napoli-Milano. La procura della Repubblica di Firenze, rappresentata dal pm Angela Pietroiusti e che in requisitoria aveva chiesto l’ergastolo, non concorda con la sentenza pronunciata lo scorso 15 aprile, e annuncia ricorso in appello. Ma dalle motivazioni della corte presieduta dal giudice Ettore Nicotra e rese note oggi emerge che “l’attentato al Rapido 904 indubbiamente giovava alla mafia” e che “tramite [Pippo Calò, il cosiddetto cassiere di Cosa nostra, ndr] abbia trovato coagulo in coacervo di interessi convergenti di diversa natura”.