Non fu un caso che proprio nel capoluogo emiliano, alla vigilia della primavera del 1977, si fosse usato un pugno durissimo. “Bologna era uno dei centri più importanti dell’Autonomia operaia che, per mia scelta, proprio a Bologna fu sconfitta”. Queste furono le parole che Francesco Cossiga, nel 2005, pronunciò nel corso di un’intervista concessa a Quotidiano Nazionale aggiungendo che i fatti di quell’11 marzo e la morte dello studente di medicina Francesco Lorusso si consumarono volutamente per le strette vie della zona universitaria.
E aggiunge l’ex presidente della Repubblica: “Scaraventai contro i manifestanti una massa di forze impressionante. Non l’ho mai detto prima, ma predisposi anche l’intervento del reggimento dei paracadutisti del Tuscania, cui diedi l’ordine di indossare il basco rosso cremisi […]. Ricordo bene che in quel periodo il servizio d’ordine del sindacato collaborava strettamente con la questura e agiva secondo uno schema ben preciso […]: avevano il compito di isolare gli autonomi dai cortei, di picchiarli a sangue per poi farli arrestare dalle forze dell’ordine”.
A morire, quel giorno, fu Lorusso, militante di Lotta Continua. Aveva 26 anni quando venne ucciso da un colpo d’arma da fuoco e quel fatto segnò il culmine della repressione contro l’Autonomia e i movimenti extraparlamentari a Bologna. Per l’omicidio Lorusso venne accusato e arrestato un carabiniere, ma fu poi prosciolto perché non emersero sufficienti elementi per proseguire con l’incriminazione. In merito ai funerali, invece, venne vietato che si svolgessero in centro, per motivi di ordine pubblico, e si fu costretti a svolgerli fuori porta, dalle parti dello stadio comunale.