Palombarini: “La catastrofe della giustizia. È dall’inizio degli anni Ottanta che non si propongono riforme serie”

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Era stato invitato a parlare del suo libro, La costituzione e i diritti. Una storia italiana, un testo che abbraccia la storia di Magistratura Democratica (Md) dal primo governo di centro sinistra al quarto esecutivo Berlusconi. Ma Giovanni Palombarini, 74 anni, goriziano, entrato in magistratura nel 1963 e investito di inchieste sul terrorismo negli anni di piombo, ha concentrato parte del suo discorso a Politicamente Scorretto sullo stato attuale della giustizia, che definisce una “catastrofe”. È un campo che conosce bene, quello della magistratura, e che gli è capito di aver subito anche, essendo stato rimosso dalla carica procuratore generale aggiunto della corte di Cassazione per “carenza di motivazione”.

Sta di fatto che Palombarini non è mai piaciuto molto a certi ambienti fin dai tempi in cui contribuì a fondare Md per arrivare, nel corso degli anni, all’esplicito sostegno a battaglie civili, come per le unioni di fatto anche tra persone dello stesso sesso. E dialogando con Pasquale Liccardo, giudice del tribunale di Bologna, e con Carlo Lucarelli, non esprime giudizio positivo.

“Se guardiamo alla crisi della giustizia”, dice appunto, “siamo di fronte a una situazione nella quale non credo sarebbe esagerato utilizzare la parola catastrofe”. Per dare una misura di quanto sia profonda, il magistrato cita un esempio. È quello di un avvocato civilista veneto che sta seguendo un caso che deve giungere a sentenza d’appello. Ma c’è un problema: l’udienza per quel processo è stata fissata per il 2018.

“Così facendo”, spiega, “la giustizia civile è come se non esistesse. Per il penale la situazione non va meglio e occorrerebbe porsi una domanda: di fronte a una catastrofe cosa si fa? Occorre sapere che sono numeri da record mondiale, non europeo, le decine di migliaia di processi civili e penali che arrivano in Cassazione. Dal punto di vista concettuale, la Corte Suprema dovrebbe essere l’istituzione che dà l’interpretazione corretta della legge e che specifica un orientamento con cui i giudici di merito si rapporteranno. Invece in realtà è diventata un ufficio di smaltimento di massa per un’infinità di fascicoli”.

Per Palombarini, “non bisognerebbe nemmeno inventarli i provvedimenti che ovvino a quest’altra catastrofe perché ci sono persone che già in passato hanno fatto proposte operative”. Si riferisce per esempio al magistrato in pensione Claudio Nunziata, che ha lavorato a Bologna e che 15 anni fa aveva studiato con altri giudici emiliani interventi necessari per far diventare “corto il processo penale senza per chiuderlo con prescrizioni, ma giungendo a sentenze”.

“Dunque, volendo, la catastrofe la si potrebbe affrontare. Nella mia memoria ho visto in azione tanti ministri di giustizia e in pratica me ne ricordo solo uno che in testa avesse il problema della qualità e dell’efficienza della giustizia. Era il democristiano Mino Martinazzoli ed eravamo negli anni Ottanta. A quel tempo il potere di cattura era del pubblico ministero mentre oggi chiede a un giudice di catturare un uomo. Con Martinazzoli il pm perde quel potere, viene istituito il tribunale della libertà e sono drasticamente ridotti i tempi della carcerazione preventiva. All’inizio degli anni Ottanta, nel nostro Paese, per certi reati molti gravi si poteva ancora restare in carcere fino a un massimo di 12 anni, in attesa della sentenza definitiva”.

“Dopo di allora”, prosegue Palombarini, “altri ministri che abbiano proseguito in questo lavoro non li più visti. Anche di recente ne ho sentiti alcuni parlare di riforma della giustizia, ma volevano ‘tagliare le unghie alla magistratura’ per togliere indipendenza al pubblico ministero e ridurre la capacità di controllo rispetto all’esercizio del potere politico, amministrativo ed economico”.

Per il futuro, conclude Palombarini, dice di essere “normalmente ottimista” e di “sperare che la fase cambi. Ma oggi come oggi sul tappeto progetti di riforma effettiva – intesi come tutela di diritti e garanzie da un lato e dall’altro all’efficienza e alla rapidità delle decisioni – non ce ne sono. Ci si deve solo augurare che si lasci spazio a soggetti nuovi, prodotti in qualche misura da quegli stessi movimenti della società civile che hanno prodotto risultati concreti con i referendum di primavera e con le elezioni a Milano e a Napoli”.