Pougala: “L’odio del governo verso gli stranieri non ha limiti”

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Lettera aperta a Silvio BerlusconiIl testo che segue è stato scritto da Jean Paul Pougala, autore del libro uscito per Einaudi con il titolo In Fuga dalle tenebre, una denuncia sia delle condizioni sociali in Africa che di quelle di immigrato in Italia (lo scrittore di origine camerunense ha infine acquisito la cittadinanza l’estate scorsa). È una lettera aperta che, datata 2 aprile 2009, Pougala indirizza da Moncalieri al presidente del consiglio e che viene pubblicata il giorno successivo sul sito di Peacelink per affermare che “passano i giorni e l’odio del Suo governo verso gli stranieri dimostra di non avere limiti”. Non si può che riportarla integralmente.

Presidente Berlusconi,

Una settimana dopo l’insediamento del Suo governo, il ministro dell’Interno dichiarava ad una trasmissione televisiva, con una ingenuità sconcertante, che tutti potevano constatare che da quando il Suo governo era ritornato al potere, non c’erano più sbarchi dei migranti sulle coste meridionali del Paese. Egli contrapponeva il presunto lassismo del precedente governo della sinistra al nuovo pugno duro della destra al potere. Soltanto che non aveva consultato la meteorologia per accorgersi che in quei giorni il mare era mosso e impediva a quei morti di fame di mettersi in viaggio.

Qualcuno è veramente convinto che esista uno solo dei migranti che prima di mettersi in viaggio si preoccupa di una qualche legge restrittiva fatta in Italia o altrove? Lei pensa che il famoso “Libretto Rosso”, che bollava i migranti italiani in America negli anni 20 come “analfabeti” e li costringeva alla “quarantena”, li scoraggiasse veramente a sbarcare nel “nuovo mondo”?

Presidente, da che mondo è mondo, i poveri che vivacchiano qui è là alla ricerca di una vita felice non hanno mai goduto di alcuna libertà.

Hanno sempre subìto. Oggi i paesi poveri si vantano del fatto che i soldi loro mandati a casa dai loro emigrati nei paesi ricchi sono il doppio dei soldi dei vari prestiti che ricevono dal sistema finanziario internazionale, anche se nel paese di arrivo sono trattati peggio dei topi da schiacciare.

Passa il tempo, ma la storia è la stessa.

Il 19 Ottobre 1945 è il governo Italiano che firmava un accordo per mandare i suoi figli a lavorare come schiavi nelle miniere del Belgio per avere in cambio 24 quintali di carbone all’anno per ogni Italiano. Un altro accordo, l’anno dopo, e cioè il 23 giugno 1946, offriva al Belgio 50.000 nuovi schiavi Italiani per quei pozzi della morte dentro i quali i belgi non volevano più scendere. Quando gli indigeni non vogliono fare un mestiere o è da schiavi o è da morte sicura.

Dieci anni dopo, a Marcinelle morirono 262 persone su 274 minatori, più della metà dei quali italiani, l’8 agosto del 1956. Ma quanti di quei 136 poveracci nostri connazionali che sono morti dentro quei pozzi sapevano che sulla loro testa era stato convenuto il “pizzo” del governo Italiano? La stessa cosa è successa nella tragedia della miniera di Monongah, nei pressi di Pittsburgh negli USA il 6 dicembre 1907. Furono dichiarati 171 morti ufficiali italiani; gli altri 135 erano senza documenti, i cosidetti “clandestini”, e furono sepolti in una fossa comune, perché anche allora, i clandestini erano trasparenti e nemmeno la morte poteva suscitare per loro la pietà umana dei beati americani, dei beati “cittadini”. Ancora la stessa cosa il 22 Ottobre 1913 con la sciagura di Dawson nel Nuovo Messico, sempre negli USA, in cui morirono 265 minatori immigrati tedeschi, finlandesi, greci, cinesi, britannici, polacchi, svedesi e italiani, di cui 146 Italiani, cioè più della metà nostri connazionali. Erano talmente inutili e trasparenti agli occhi dei nostri governanti, quei poveracci emigrati, che bisognerà aspettare 90 anni per avere un riconoscimento ufficiale da parte del nostro Paese, quando il 3 settembre 2003, nell’occasione della festa americana del lavoro (labour day) il Console Generale d’Italia a Los-Angeles, Diego Brasioli, depose una targa commemorativa nel cimitero di Dawson, diventato dal 1992 cimitero nazionale d’importanza storica, con tutte quelle croci bianche con nomi e cognomi italiani.

Oggi, gli schiavi si chiamano “badanti”.

Lavorano 20 ore su 24 per 600 Euro al mese.

Nessun italiano vuole fare quel lavoro da schiavi. Le miniere di allora sono diventate i cantieri pericolosi di oggi, le acciaierie pericolose, le concerie pericolose. Gli “Italiani” di allora, sono diventati gli “extra-comunitari” di oggi. Cambia il tempo e la scena del delitto ma le tecniche e le forti voglie dello sfruttamento rimangono uguali. Cambiano gli attori e lo spazio, ma la ruota gira nello stesso senso, nel quale tutti ci trovano il loro tornaconto, tranne che il migrante. In Italia, gli immigrati dai paesi poveri rappresentano meno del 5% della popolazione, ma sono il 50% dei morti sul lavoro e come risulta dalle statistiche ufficiali, il 70% di quei morti era al primo giorno di lavoro (che sfortuna !).

Quanti di quei poveracci che muoiono tutti i giorni nei cantieri italiani sanno che il loro destino è stato deciso da altri? Quanti di quegli ingenui sognatori della felicità che spariscono nel cimitero del Mediterraneo nel loro tentativo di arrivare sulle coste italiane sanno che sono spinti a lasciare il loro Paese proprio dai loro governanti che vogliono sbarazzarsene a poco costo e spedirli all’Estero per aspettare da loro i proventi della loro sofferenza nei paesi di arrivo? Come i migranti Italiani nei vari paesi nel secolo scorso, quei migranti sono delle vittime del sistema dello sfruttamento mondiale, vittime delle dittature che fingiamo di non vedere in quei paesi, vittime del sistema sociale italiano, l’unico dell’Unione Europea che ha lasciato scoperto l’accompagnamento della terza età con strutture adeguate statali, perché sapeva di poter avere a disposizione nuovi schiavi per ovviare a quella mancanza. E la finzione di non volerli, tramite lo stratagemma del permesso di soggiorno a pagamento, non è altro che l’ennesima trovata per indebolire al massimo la loro capacità di ribellione e il rifiuto del loro stato di schiavi moderni.

Presidente, il popolo Italiano dà l’otto per mille a dei missionari per mandarli nella nostra foresta in Africa per portare la Civiltà e insegnarci come Bianche e Neri, siano tutti fratelli e che dobbiamo amarci tutti quanti; ma quando prendiamo gusto a questa lezione di amore disinteressato e veniamo qui per completare il nostro percorso per diventare dei veri civilizzati, ci volete mettere in prigione perché non abbiamo bussato alla porta prima di entrare? Quando non basta l’8 per mille, avete introdotto il 5 per mille sempre per aiutarci, perché siete buoni, tanto buoni per noi poveretti d’Africa.

Allora c’è qualcosa che non va. Come minimo, visto la vostra bontà infinità perfino di assisterci nella nostra foresta anche quando non ci conoscete personalmente, ci saremmo aspettati che all’arrivo ci fossero tutti i nostri fratelli Bianchi ad accoglierci nel paradiso Europa, come vi sforzate a dipingere mentre siamo nella foresta.

Presidente, Lei che ha modo di incontrare il Papa, potrebbe chiedergli come si sente lui quando si autoproclama difensore dei poveri e parla anche a nome mio e poi quando arriviamo nel suo paese siamo trattati come rifiuti? E già che ci siamo, Presidente, perché non suggerisce a qualcuno dei suoi ministri di dare coerenza al suo odio per i poveri del mondo e gli Africani rinunciando ad ospitare la casa dei poveri del mondo, dei morti di fame di tutto il mondo che è la FAO? Non Le sembra contraddittorio che l’Italia, che ospita la FAO, sia proprio il Paese più cattivo con i poveri? Il più attivo a mettere in carcere i poveri del mondo perché fuggiti dalla fame e giunti fino a qui solo perché non hanno bussato?

Passano i giorni e l’odio del Suo governo verso gli stranieri dimostra di non avere limiti.

Ho deciso di scriverLe questa lettera come Africano, ora cittadino italiano, residente in Italia e come scrittore. Anche se lo scempio di discriminazione al quale stiamo assistendo gode di un silenzio assordante da parte degli intellettuali di questo paese. Martin Luther King diceva: Mi fa più paura il silenzio degli Onesti della cattiveria dei disonesti.

Presidente,

Vorrei fare una scommessa con Lei a proposito della Sua legge per i medici che dovrebbero denunciare i cosiddetti “clandestini”.

Se questa politica dura e viene applicata, conosceremo in Italia virus non noti come quello di “Ebola”.

Noi emigrati d’Africa abbiamo conosciuto il nostro primo medico in Italia nel 1992, con la famosa Legge Martelli che ci permetteva semplicemente di incontrare un “dottore”. E non era per magnanimità, ma perché c’era il riaccendersi di vecchie malattie scomparse nelle popolazioni indigene, come la tubercolosi. Questa legge ha permesso di salvare persone stranere che ignoravano di essere malati, abituati come eravamo alla semplice medicina da banco in vendita libera, per qualsiasi male.

Presidente, Lei si ricorda come è morto il ciclista Fausto Coppi? Semplice malaria. Ma i medici non lo hanno capito subito. Se i nostri medici non possono beneficiare della possibilità di confrontarsi in modo conoscitivo con le malattie tropicali che gli Africani portano con sé, come faranno a diagnosticare e salvare il malato italiano che si presenta con sintomi sconosciuti?

Presidente Berlusconi,

L’odio contro gli immigrati dai paesi poveri in tutta Europa è diventato uno sport di massa al livello governativo.

Presidente, si ricordi che il popolo Europeo nei confronti di questi morti di fame che arrivano è come nella situazione di uno che vive nella stessa casa con la suocera che non sopporta. Ma se questa, per ragioni economiche, non può vivere altrove, è lui che deve cambiare atteggiamento, costretto com’è a condividere quella casa con la insopportabile suocera.

Se qualcuno spiega al popolo italiano di non essere perfetto, essendo il paese più indebitato di tutta l’Unione Europea, con un servizio pubblico dei peggiori, il livello culturale della popolazione dei più bassi, senza parlare della criminalità organizzata ecc. e malgrado questo viene accettato dagli altri Europei, gli Italiani sarebbero meglio in grado di fare uno sforzo per accettare la convivenza con gli ospiti stranieri che sono stati costretti di accettare nella nostra casa Italia. Se non si fa questo lavoro pedagogico, arriverà anche in Italia quello che è capitato agli Italiani marginalizzati all’estero. E cioè, nasceranno tra questi nuovi migranti, nuovi comportamenti delittuosi, nasceranno nuove mafie. Più gli Italiani erano emarginati negli Stati Uniti, in Francia, o in Australia, e più si chiudevano in un comunitarismo dentro il quale si creava una specie di patto di sangue per non tradire uno con cui si condivideva la stessa frustrazione.

Sta accadendo la stessa cosa anche in Italia. I cosiddetti “clandestini” ci sono e non spariranno. La maggior parte accetterà lo sfruttamento del trasparente perché senza documenti, ma esiste una minoranza che si ribellerà e contro questa non ci sarà arma per farvi fronte. Perché ciascuno tenderà a proteggere i membri della sua comunità a qualsiasi costo. E’ cosi che nascono le guerre civili nei paesi dai quali proveniamo. Arriviamo con il virus della guerra civile nella nostra testa, ci manca solo che qualcuno ci dia il pretesto per riproporre anche qui l’unica realtà che conosciamo: la guerra tribale o etnica o razziale. Le ronde vanno bene, anche a New-York esistevano le ronde degli Irlandesi contro gli Italiani designati come il male incarnato. E sappiamo come è andata a finire e cioè che quegli Italiani (che non avevano niente da perdere) hanno sconfitto le ronde con metodi ancor più violenti di chi le aveva iniziate. Quando lo stato piuttosto che creare la pace sociale, ha il lusso di dividere i suoi cittadini tra buoni e cattivi e mettere gli uni contro gli altri, siamo solo seduti su una bomba che aspetta la sua ora per esplodere.

Le scrivo questa lettera per disinnescare la violenza quando siamo ancora in tempo. Il concetto di “Bambini Stranieri” fa parte di quella visione e esiste solo in Italia. Perché in tutto il mondo, i bambini che nascono in un Paese e crescono in quel Paese, sono di quel Paese perché non conoscono altre realtà. La loro vita, il loro orizzonte è quel paese. La frustrazione che il Suo governo sta infliggendo a questi nuovi cittadini è tale che non c’è bisogno di essere uno psichiatra per prevedere che tra non molto, anche da noi, dovremo abituarci a reazioni violente. Come è gia avvenuto in altri paesi di immigrazione prima di noi e dove hanno voluto dividere piuttosto che unire.

Sono 24 anni che sono giunto in questo Paese e dal primo giorno che sono arrivato qui, la questione Immigrazione era una emergenza. Quando eravamo in 100.000 gia si gridava che eravamo in troppi. Ci si vietava di lavorare perché studenti Africani. Dopo 24 anni, non è cambiato nulla. Si è passati di legge in legge e ognuna ha tentato, senza riuscire, di fermare l’afflusso di morti di fame.

Presidente, Le consiglio di consultare anche online le vecchie riviste di New-York degli anni 1930 per vedere che gli Italiani erano trattati peggio di come trattate oggi gli africani in Italia; ma Le assicuro: non sono le disinfestazioni all’ammoniaca che hanno impedito l’arrivo degli italiani negli Stati Uniti.

L’umiliazione che subiscono gli stranieri oggi in Italia non sarà mai un freno al loro arrivo. Potrete tenerli anche 5 anni in prigione, ma sarà sempre meglio che morire di fame o di malaria nella nostra foresta senza luce o servizi igienici. Anzi, 5 anni vorrà almeno significare essere certi di rimanere in vita e stia sicuro che nessuna umiliazione o minaccia potrà fermare un uomo che vuole solo vivere. Una volta che la sua amministrazione avrà capito questo piccolo dettaglio, forse sarà venuto il momento di cambiare registro. Qualcuno avrebbe voluto che europei e africani vivessero in due pianeti diversi cosicché gli emigrati non potessero prendere la navicella per arrivare fino a qui. Ma purtroppo, siamo non solo sullo stesso pianeta, ma siamo pure vicini di casa e non sarà il pattugliamento davanti alle coste libiche a cambiare qualcosa. L’Australia ha gia provato questo contro i Cinesi, per scoprire 10 anni dopo che la comunità Cinese in Australia era quadruplicata, proprio mentre si allestiva il presunto controllo in alto mare con immediate deportazione presso isole compiacenti dell’Oceania.

24 anni fa quando sono arrivato in Italia, eravamo in pochi, eppure si diceva già che eravamo un problema. C’era gia l’emergenza Emigrazione. Sono 15 anni che Lei è entrato in politica con un alleato che ha sempre battuto sopra quel tasto. Ma a Lei sembra che sia cambiato qualcosa in meglio da tutte le leggi fatte dai Suoi successivi governi? Dopo 15 anni, nei Consigli di Ministri, c’è all’ordine del giorno la stessa emergenza: immigrazione. A Lei non viene il dubbio che ci debba essere qualcosa che non quadra? Un’emergenza, dopo 15 anni, non è più una emergenza, è un problema serio. E un problema serio, non si risolve con proclami o slogan di compiacimento per gli elettori. Possiamo moltiplicare le leggi restrittive, moltiplicare i fogli di via, risarcire la Libia di colpe della colonizzazione, nella speranza che blocchino gli sbarchi. L’errore di chi prende queste decisioni è un piccolo dettaglio e cioè, quello di confondere un problema complesso, una malattia endemica con un raffredore che passerà appena ci si metterà al calduccio. E non saranno i molteplici rimpatri con i suoi altissimi costi per gli italiani a risolvere il problema.

Il suo Ministro dà facilmente l’esempio ai paesi europei con cui fa a gara per umiliare meglio gli Africani. Ma dimentica che ci sono altri paesi europei, che sono più civili e per questo non temono che la loro civiltà sia in qualche modo snaturata dall’arrivo di qualche morto di fame. Il Ministro Maroni fa finta di ignorare che la sua collega Svedese, che cumula le funzioni di Ministro dell’Integrazione con quelle del Ministro della parità dei sessi, è una Signora nata in Burundi da entrambi genitori Congolesi e giunti in Svezia a 12 anni. Al suo arrivo, non ha subito discriminazioni e non ha dovuto perdere 2 anni in una classe di morti di fame come lei prima di incontrare gli svedesi; anzi, come racconta lei stessa, è stata aiutata al suo arrivo da compagne di classe di 12 anni a superare le differenze di clima, di lingua e oggi lei è Ministro di uno dei Paesi più ricchi al mondo, che controlla fabbriche anche in Italia nei campi vari dell’alta tecnologia. Cosa sarebbe successo a questa ragazza se per sua sfortuna i suoi genitori fossero arrivati in Italia anzichè andare in Svezia? Avrebbe ricevuto, come i miei figli, una lettera dalla municipalità per dire che era una clandestina e che a 13 anni stava per essere cancellata dalla lista di residenti?

Il reddito pro-capite della Norvegia è 100 volte superiore a quello dell’Arabia Saudita, altro produttore di petrolio. Ebbene in quel paese, dal 18 ottobre 2007. la Ministra dell’Infanzia e delle Pari Opportunità, di nome Manuela Ramin-Osmundsen (44 anni) è Nera, e d’origine straniera essendo nata nei Caraibi, in Martinica. Qualcuno del Suo governo che collega le origini del popolo del Nord d’Italia ai Celtici della Norvegia, lo sa che quei “pazzi Norvegesi” hanno affidato il dicastero della prima infanzia a qualcuno che arriva da un paese dove non c’è la stessa cultura del rispetto dei bambini?

Presidente, pensi a cosa sarebbe successo a Michaëlle Jean, la signora di origine di Haiti che occupa il posto più alto e più antico dell’ordinamento politico canadese se si fosse fermata in Italia dopo i suoi studi all’Università di Perugia, all’Università di Firenze e all’Università Cattolica di Milano. Sarebbe forse una clandestina o una che deve sottostare alla tassa sul permesso di soggiorno. Ebbene la Jean è la Governatrice Generale del civilissimo Canada, cioè è una donna Nera nata nel paese più povero d’occidente ed è Capo dello Stato e cioè presidente del paese più vasto del mondo dopo la Russia. A Lei pare che i Canadesi siano diventati meno canadesi o meno civili perché a firmare le loro leggi è una che viene da un paese povero?

«Se i nostri problemi possono essere nuovi, quelle che ci serve per superarli non lo è. Quello che ci serve è la stessa perseveranza e idealismo che i nostri fondatori hanno mostrato. Quello che ci serve è una nuova dichiarazione di indipendenza, non solo nella nostra nazione, ma nelle nostre vite – dall’ideologia e dal pensiero limitato, dal pregiudizio e dalla bigotteria». Queste frasi sono state pronunciate da Barack Obama il sabato 17 Gennaio 2009 all’inizio delle cerimonie della sua investitura. Presidente Berlusconi, anche a Lei non è sembrato, sentendo queste parole, che Obama stesse proprio parlando a qualche membro zelante del Suo governo che scambia la lungimiranza del politico con il fatto di mostrare i muscoli ai più deboli, senza spostare il problema di un millimetro?

Ma voglio lasciare da parte l’inutile e sterile polemica, per invitarLa a fare Sua quelle dichiarazioni di Obama, pronunciate preoccupandosi di come sarà giudicato dopo 100 anni. Prenda il coraggio per rifondare l”indipendenza dell’Italia, questo bel Paese che sprofonda anni dopo anni nell’abisso dei suoi problemi troppo a lungo irrisolti. L’Italia è l’unico paese dell’Unione Europea che umilia i suoi bambini nati sul territorio richiedendo per loro un permesso di soggiorno solo perché i genitori provengono da altri cieli.

Rifletta sul fatto che la popolarità delle scelte politiche non è sempre sinonimo della loro validità sul piano storico. “Non mi sono mai, nella mia vita, sentito più certo di stare facendo la cosa giusta, che quando firmai quel documento.” Abraham Lincoln dirà in seguito alla Proclamazione di emancipazione, il 22 luglio 1862. Quando il presidente francese F. Mitterand ha abolito la pena di morte in Francia, andava contro il 75% dei suoi concittadini, ma è passato alla Storia come il presidente che ha avuto il coraggio , la lungimiranza e l’intelligenza di cercare il risultato delle sue decisione politiche oltre il tempo dell’esercizio della sua funzione, oltre il tempo della sua stessa vita.

Presidente, qualche mese fa c’è stata una virulenta polemica perché Lei aveva definito “abbronzato” il nuovo Presidente statunitense. Ciò che ha creato il problema oltre Atlantico, non è stato il Suo commento sul colore della pelle del nuovo ospite della Casa Bianca, ma il Suo rifiuto della differenza, la Sua animosità per la diversità. Lei è Presidente di Consiglio di tutta l’Italia e di tutti gli Italiani, compreso me. E quando Lei manifesta pubblicamente il Suo rifiuto della diversità, Lei lo fa anche a nome mio, di una persona che è tremendamente diversa, perché io sono Nero come il carbone. Non m’interessa il giudizio che ha nel Suo cuore contro di me, questo è affidata alla Sua intimità.

Ma in pubblico Lei è il Presidente di tutti e pertanto, deve rispettare anche me, fuggito dalle tenebre dell’Africa e, ora, cittadino italiano.

Presidente,

Voglio concludere questa mia lettera aperta a Lei, parlandoLe di uno dei nostri connazionali che sicuramente Lei conosce. E’ un tale di nome Empedocle, nato nel 492 A.C., in una famiglia aristocratica di Agrigento. Era medico, ingegnere, filosofo e uomo politico. Ci ha regalato due bellissimi libri: Il Trattato della Natura e le Purificazioni.

Empedocle oppone il bene al male. Parla delle due forze antagoniste dell’amore e dell’odio e del sopravvento naturale dell’odio sull’amore.

Spiega come la nostra società è dominata dalla progressione continua della discordia e dell’odio, e che nel mondo è naturale il sopravvento delle forze della divisione e della distruzione. Per la sua azione politica Empedocle era cosi scomodo che fu cacciato dalla sua città natale, Agrigento e indotto al suicidio, che attuò gettandosi nel cratere dell’Etna nel 432 A. C., come sacrificio estremo di un uomo che voleva ad ogni costo andare contro i luoghi comuni per fare vincere l’amore e l’amicizia sull’odio e la discordia. Dopo 24 Secoli, non crede Lei Presidente, che sia il ruolo del politico andare contro le realtà scomode e agire per evitare che si consumi la fatalità del facilissimo sopravvento dell’odio sull’amore?

Cordialmente,
Jean Paul Pougala