I ragazzi di malavita che si presero Roma e diventarono antistato

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Ragazzi di malavita di Giovanni Bianconi«Angelo ammazza la morte telefoni a casa».

In origine erano poco più che teppisti di borgata, criminali di piccolo calibro cresciuti nelle periferie romane. Ma i confini della delinquenza di basso profilo vanno loro stretti e decidono di prendersela tutta, la capitale, a qualunque costo. E così, dal quartiere della Magliana, tra alleanze e vendette che finiscono per comprendere la zona di Testaccio e Trastervere, quella di Acilia e Ostia, il Tufello e l’Albertone, cresce e si consolida il nucleo di una delle bande che diventerà centrale nella storia non solo di Roma, ma della nazione. Con Ragazzi di malavita. Fatti e misfatti della banda della Magliana, il libro di Giovanni Bianconi pubblicato in edizioni successive da Baldini Castoldi Dalai fino all’ultima, quella del 2005, si ricostruisce un periodo intricatissimo che travalica i confini della criminalità organizzata. Del resto, non si è mai visto un potente diventare tale senza appoggi e protezioni: accade in politica, in economia, nel mondo dello spettacolo. E accade anche per coloro che nei fatti diventeranno i padroni della città eterna. Del resto, racconta Bianconi:

A New York, i mafiosi della famiglia Gambino riuscivano ad avere in anteprima le trascrizioni delle intercettazioni ambientali fatte dal FBI nelle loro abitazioni, e a organizzare le contromosse; a Roma, nel loro piccolo, quelli della banda della Magliana erano in grado di ottenere i documenti delle inchieste in corso e sapere in anticipo ciò che poliziotti e magistrati avevano in mano.


Il magistrato in pensione Libero Mancuso, nel corso di un convegno del 1990 organizzato dalla Lega dei giornalisti, disse questa vicenda è «il luogo […] nel quale l’antistato consuma tutto il suo potenziale eversivo ed antagonista per divenire esso stesso, attraverso una serie di passaggi mediati, di apporti operativi ed ideativi, istituzione, sistema, che si arroga il diritto di eliminare tutte le sue variabili impazzite, di proteggere tutti coloro che operano all’interno delle proprie finalità». Ulteriore prova della centralità di questa banda deriva dai personaggi che incrocia in quegli anni: pescando nelle fila della cosa nostra siciliana, della camorra napoletana e del ‘ndrangheta calabrese, si incontrano Pippo Calò, Raffaele Cutolo o Paolo Di Stefano; tra coloro che intrallazzano con e per settori dello stato, Licio Gelli, Francesco Pazienza e Roberto Calvi; tra i giovani dello spontaneismo armato e del terrorismo di destra, i fratelli Fioravanti, Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati e Angelo Izzo; tra le vittime su cui hanno in qualche modo influsso, il giornalista Mino Pecorelli e il presidente della regione Sicilia Piersanti Mattarella.

Con i ragazzi di malavita non si contratta: si sta con loro o contro di loro. E chi sta contro, chi vuole difendere il proprio pezzo di territorio, viene ammazzato. Malgrado la struttura orizzontale e non verticistica, l’approccio economico della banda è manageriale: una volta distribuite le stecche, il resto viene reinvestito per accrescere i profitti. Ma diffidenza e astio aumentano in quegli anni tra gli stessi componenti della banda. La quale vede assottigliarsi sempre più le sue fila: ci sono quelli fatti fuori in regolamenti di conti con clan avversari, altri falciati da ritorsioni interne, qualcuno riesce a fuggire e per i sopravvissuti non c’è altra strada che collaborare alla fine con la magistratura. In proposito, scrive l’autore:

Ne viene fuori una storia di sentenze a morte covate a lungo e omicidi maturati e consumati nel corso di una serata, anche per una banale lite; di esecuzioni compiute a freddo, magari dopo una cena tra la vittima e i suoi assassini, e di episodi di “lupara bianca” col seppellimento del cadavere sotto colate di cemento; una storia di “bravi ragazzi” arricchiti dalla droga, che vivono tra bar, ippodromi e sale giochi, sniffando cocaina e correndo su auto di lusso e moto giapponesi, fino all’esaurimento sugellato prima dai morti e poi dai “pentimenti” di alcuni superstiti.

Ragazzi di malavita. Fatti e misfatti della banda della Magliana di Giovanni Bianconi (Super Nani, Baldini Castoldi Dalai, 2005) — 260 pagine — € 8,90 — ISBN 9788884908896

(Questo articolo è stato pubblicato all’interno della rubrica Cronaca nera di Thriller Magazine.)

3 thoughts on “I ragazzi di malavita che si presero Roma e diventarono antistato

  1. matteo

    L’ho letto ma devo rileggerlo, soprattutto alla luce di alcune mie recenti considerazioni personali di carattere generale sulla storia contemporanea italiana.
    Certi agglomerati criminali come la c.d. banda della Magliana, organizzazioni “eversive”, “schegge deviate” dei servizi di sicurezza, sono, secondo me, perfettamente funzionali e integrate alla gestione del potere, non ne rappresentano una deviazione ma ne sono un’espressione compiuta, solo formalmente illegale.
    Le gestioni criminali del potere politico ed economico in Italia sono da tempo sotto gli occhi di tutti coloro che tale aspetto vogliano vedere.
    Poi ci si chiede perchè uno dei capi della banda della Magliana sia sepolto nel Pantheon…

  2. claudio

    libro interessante e ben scritto. La B.d. M. era un antistato e’ vero ma dello stato usava gli organi e gli adepti per i propri scopi criminosi. Corruzzione, politica malsana, cattiveria, il potere del denaro e del terrore che essi incutevano per raggiungere i propri intenti.Ma anche la maestria e la sfrontatezza di trattare con Mafia e Camorra.

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