Uno bianca: indulto ai Savi, l’ira dei familiari

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Dopo la notizia pubblicata dal “Corriere di Bologna” lo scorso 4 aprile a proposito dell’applicazione dell’indulto a Roberto (ipotetica) e Fabio Savi (una realtà), i capi della banda della Uno bianca, il giorno successivo lo stesso quotidiano ha pubblicato questa intervista realizzata da Enrica Sanna. A parlare è Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime.

«Non c’è più giustizia. I nostri morti gridano vendetta». È lo sfogo amaro di Rosanna Zecchi, presidente dell’associazione delle vittime della Uno bianca, alla notizia dell’indulto concesso a Fabio Savi e alla decisione della Cassazione, che ha chiamato la Corte d’Assise di Bologna a pronunciarsi, per la seconda volta, sullo sconto di pena a suo fratello Roberto. La vedova di Primo Zecchi, assassinato il 6 ottobre 1990 mentre stava annotando il numero di targa della macchina dei rapinatori, ha lottato per anni affinché la giustizia facesse il suo corso per tutte le 24 vittime della banda. Adesso però la sua fiducia nelle istituzioni comincia a vacillare.

Signora Zecchi, Fabio Savi ha ottenuto l’indulto, avrà uno sconto di pena di tre anni, come si sente?

«Sono sconcertata. All’associazione siamo tutti sconcertati, sbalorditi, amareggiati. Agli assassini il condono non andava dato. Hanno fatto fuori 24 persone».

Con la liberazione anticipata per buona condotta, potrebbe anche uscire prima che passino altri dieci anni…

«I nostri morti gridano vendetta. Non ha importanza che in carcere una persona si comporti bene. Saranno anche i suoi diritti, ma i diritti dei nostri morti? Loro rimarranno sottoterra».

Lo sconto di pena viene applicato anche per il reato di omicidio volontario, è la legge.

«Sarà anche la legge, ma è una legge sbagliata. Noi dell’associazione siamo sempre stati contrari al condono considerando ciò che hanno fatto, dopo aver ucciso 24 persone».

Per Roberto Savi, invece, si pronuncerà la Corte d’Assise, secondo quanto disposto dalla Cassazione a cui aveva fatto ricorso la Procura nonostante la stessa Corte gli avesse già negato l’indulto nel 2007.

«Dico che non c’è giustizia. Io ho sempre creduto nella giustizia, ma ora comincio ad avere dei dubbi. A questo punto mi rimetto ai cittadini che devono loro stessi domandarsi se sia una cosa giusta».

Roberto Savi però ha scritto alla Corte di cassazione per ricordare di «non aver mai chiesto applicazione di indulto» e di voler «rinunciare». Vorrebbe invece il permesso premio per lasciare il carcere per qualche giorno o per qualche ora».

«Roberto prova da sempre a farsi concedere dei permessi premio. Ma tutti loro hanno commesso errori gravi e hanno anche ammesso le loro colpe. Se poi è giudici pensano che non sia socialmente pericolo, gli diano pure i permessi, ma a mio parere lo è.

Roberto Savi dice anche di aver compiuto rapine «per soldi e solo per soldi».

«I carabinieri e i nomani li hanno uccisi per soldi? E mio marito? L’hanno ammazzato perché li aveva visti. Per una rapina da 700 mila lire, quindi non mi vengano a dire che l’hanno fatto per i soldi».

Corriere di Bologna – Intervista di Enrica Sanna
5 aprile 2008 – Pagina 5

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