Coni d’ombra persistenti

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Spot my shadowLa recente sentenza di assoluzione per l’omicidio di Roberto Calvi può essere paradigmatica per la sensazione di smantellamento di una serie di assunti raccolti e affinati in molti anni di indagini. In particolare, a rischio sarebbe almeno una parte della ricostruzione del rapporto creato nel corso di decenni tra criminalità organizzata, gangsterismo, apparati dello stato e terrorismo politico. Un rapporto, questo, che abbraccia molteplici vicende e che potrebbe avere come punto di snodo l’esplosione nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, il 23 dicembre 1984, del treno Napoli-Milano che provocò sedici vittime e 250 feriti.

Rispetto ad altri fatti compresi nell’arco di tempo che va dal 1969 al 1984, il periodo più intenso delle stragi italiane apertosi con Piazza Fontana, per il Rapido 904 è stato individuato un regista preciso: Giuseppe Calò, detto Pippo, il cassiere di Cosa Nostra sospettato di essere il mandante dell’omicidio di Calvi. Ma ancora prima condannato per l’attentato al 904 insieme a Guido Cercola, suicida nel supercarcere di Sulmona all’inizio del 2005. La responsabilità di Calò sembrava aver spostato il focus delle indagini dal terrorismo politico all’estensione del fenomeno mafioso oltre i confini siciliani e lo aveva messo in relazione agli attentati dello scorso decennio.

In quest’ottica, il Rapido 904 diventerebbe dunque il battesimo di una nuova strategia. Tuttavia Calò, uomo chiave di questa vicenda, è l’elemento che lega quanto accaduto negli Anni Novanta a Firenze, Milano e Roma con quanto verificatosi nei quindici anni che vennero prima della strage di San Benedetto e gli ancora precedenti rapporti tra criminalità e stato. Calò, infatti, nel corso del maxiprocesso di Palermo, celebratosi tra il febbraio 1986 e il dicembre 1987, risulta “uomo di frontiera”: capo mandamento di Porta Nuova e inizialmente collaboratore di Stefano Bontade per passare poi sotto l’egida dei Corleonesi, negli Anni Settanta si trasferisce a Roma, assume la fittizia identità di Mario Aglialoro ed entra in contatto con la criminalità capitolina e soprattutto con la banda della Magliana. La quale, attraverso di lui, compie un salto di qualità potendo passare ad affari politici e finanziari di tutt’altro livello rispetto al passato.

Anche da qui deriva la tesi del “nodo siciliano” che percorre trasversalmente la storia della repubblica italiana e che, ancor prima delle risultanze processuali che dalla seconda metà degli Anni Settanta si susseguono per i vent’anni successivi, dimostrano l’esistenza di coni d’ombra in cui si intreccerebbero mafia, elementi dello stato e del Patto Atlantico, criminalità politica e deliquenza comune. Una storia lunga, complicata e per molti aspetti ancora da chiarire a causa dell’inaccessibilità di molte fonti nazionali e internazionali. Però, una parte di questa vicenda si può già ricostruire e, a suffragio di questa tesi, ci sono innanzitutto un paio di documenti. Come il Meeting of Maffia Leaders with General Giuseppe Castellano and formation of group favoring autonomy, citato negli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso nella VI legislatura (25 maggio 1972 – 4 luglio 1976), in cui si legge:

Signore, ho l’onore di informarla che il 18 novembre 1944 il generale Giuseppe Castellano, insieme ai capi della mafia, presente Calogero Vizzini, si è incontrato con Virgilio Nasi, capo della ben nota famiglia Nasi di Trapani, e gli ha offerto di assumere la direzione del Movimento per l’autonomia siciliana, appoggiato dalla mafia […]. Il Movimento è ancora in una fase iniziale di organizzazione, quindi questo mio rapporto non potrà essere completo. Il generale Castellano […] ha stretto contatti con i capimafia e li ha incontrati in più occasioni.

Come già riferito nel mio dispaccio n. 65 del 18 novembre 1944, membri importanti della mafia si sono incontrati a Palermo e uno dei risultati di questi incontri è stato di chiedere a Virgilio Nasi di Trapani di mettersi alla testa del movimento, con l’obiettivo di diventare Alto Commissario per la Sicilia.

Calogero Vizzini, nato nel 1877 e socio in affari di Lucky Luciano, fu nominato sindaco di Villalba, in provincia di Caltanisetta, dall’Allied Military Government of Occupied Territory. Il trapanese Virgilio Nasi, invece, è personaggio di spicco al punto che nel 1947 firma un’interpellanza presentata all’assemblea costituente sull’eccidio di Portella delle Ginestre.

Il secondo documento risale al 27 novembre 1944, si intitola Formation of group favoring autonomy under direction of Maffia e cita un rapporto dell’OSS (Office of Strategic Services), organizzazione dell’intelligence americana scioltasi nel 1947 da cui discendono nella CIA e il National Security Council.

Dopo tre giorni di incontri segreti con esponenti della mafia a Palermo, il generale Giuseppe Castellano, comandante della divisione Aosta in Sicilia, ha steso una bozza di accordo sulla scelta e l’appoggio di un candidato come Alto Commissario per sostituire il favorito Salvatore Aldisio, della Democrazia Cristiana […]. Il candidato è un cavallo oscuro, un famoso siciliano, Virgilio Nasi, boss della provincia di Trapani, che è stato avvicinato dal generale Castellano, dopo aver esposto il suo piano ai capi dell’alta mafia durante la settimana. L’incontro con tra il generale Castellano e Nasi è avvenuto Sabato su una spiaggia fuori mano di Castellammare del Golfo. Erano presenti due luogotenenti di Nasi, l’ex aiutante del generale Castellano in Nord Africa e a Roma, il capitano Vito Guarrasi, e l’avvocato Vito Fodera.

Victor Marchetti, ex agente segreto americano, autore peraltro di Propaganda and Disinformation: How the CIA Manufactures History e del travagliato CIA. Culto e mistica del servizio segreto, dichiarò al settimanale Panorama nel febbraio 1976:

La mafia, per sua natura anticomunista, è uno degli elementi su cui poggia la CIA per tenere sotto controllo l’Italia.

Appare più che plausibile, dunque, che quello che doveva essere un accordo temporaneo per consentire lo sbarco alleato in Sicilia nel luglio 1943 sia diventato successivamente un presidio permanente di vigilanza e intervento in caso di invasione sovietica in Italia. E in questo contesto si articolerebbe la risposta che Stefano Bontade avrebbe dato a Giulio Andreotti, secondo le deposizioni di Francesco Marino Mannoia:

Il Sicilia comandiamo noi. Se non volete cancellare completamente la Democrazia Cristiana dovere fare come diciamo noi. Altrimenti vi leviamo non solo i voti della Sicilia, ma anche quelli di Reggio Calabria e di tutta l’Italia meridionale. Potrete contare solo sui voti del Nord, dove tutti votano comunista.

(Continua)