Tutti o tanti 2.0?

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Nicola Mattina pubblica il video del suo intervento allo ZenaCamp, Democrazia 2.0: partiamo da qui!. Se si parte – per seguire l’impostazione che Nicola ha dato al suo discorso – dalle “democrazie contemporanee”, queste non possono essere considerate autentiche democrazie, ma poliarchie, una sorta di compromesso tra il governo del popolo in senso stretto e forme di rappresentanza parlamentare che legiferano e creano governi su mandato elettorale del popolo. E di qui l’effetto deleterio, in sistemi non perfetti, di tendere a oligarchie a causa dell’inquinamento dei processi politici, economici e sociali.

La democrazia 2.0 invece, per sua natura, risente meno di questa deviazione dai modelli di teoria politica perché sostenuta dalla pratica quotidiana dei “cittadini” della rete. Tuttavia non è scevra da condizionamenti che possano portarla verso polarizzazioni di interessi e soprattutto corre un grave rischio nel momento in cui si affida, per la propria pratica, a infrastrutture private o soggette comunque a modifiche d’uso arbitrarie senza che si ricorra ad alcun processo né democratico né poliarchico (vedi le battaglie per la Net Neutrality e le ragioni che le determinano).

E poi c’è un altro elemento di cui tenere conto: la democrazia 2.0 richiede un impegno attivo molto più complesso dell’atto di voto e buon senso e statistiche dicono che, nella vita reale così in quella virtuale, la percentuale di popolazione che ha un atteggiamento proattivo è minoritaria (seppur aumenti in rete rispetto all’esperienza fisica quotidiana). Dunque la democrazia 2.0, se non può essere considerata “il governo del popolo” come è stato fatto notare durante gli interventi, non può al pari essere considerata come “il popolo nel suo insieme che lavora per un fine superiore”, individuabile sostanzialmente con la libertà di espressione e la divulgazione della conoscenza. E qui si ritorna al concetto della poliarchia: non per forza elitario, ma comunque che non riguarda il demos.