Un libro che si inserisce in temi di stretta attualità, quello scritto dal giornalista Walter Molino e intitolato Protocollo fantasma (Il Saggiatore, 2013). Lo si comprende già dal sottotitolo, “dossier, silenzi e segreti di Stato. Strategia della tensione al tempo delle larghe intese”, e dal fluire dei capitoli: dall’assoluzione del generale Mario Mori nel processo in cui era accusato di aver favorito la latitanza di Bernando Provenzano alle parole del figlio del boss, Angelo, dalle indagini sugli stragi degli anni Novanta alle telefonate tra l’ex ministro Nicola Mancino e Loris D’Ambrosio, il magistrato divenuto altissimo funzionario del Quirinale con l’elezione di Giorgio Napolitano a presidente della Repubblica, nel 2006.
Il libro di Molino è una specie di “romanzo, ma non di sola fantasia. Le vicende sono state rielaborate dall’autore, ma senza tradire la realtà”. Si tratta di una sorta di compendio della storia della trattativa, o di quello che della trattativa si sa, in cui compaiono “zozzoni” e “zozzerie”, depistatori, pentiti veri e fasulli, investigatori che denunciano colleghi e superiori, sospetti autori di fughe di notizie e giovani medici finiti in strani suicidi, come Attilio Manca, la cui morte sembra davvero poco un suicidio. E si arriva fino al protocollo che dà il titolo al volume, quelle dodici pagine che vengono recapitate nel settembre 2012 al pubblico ministero palermitano Nino Di Matteo.
Un depistaggio? Forse, e solo l’esito degli accertamenti sui ventiquattro punti che contiene potrà stabilirlo. Ma intanto qualcosa su quel documento si può dire. Scrive Walter Molino:
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