Gianni Biondillo, su Nazione Indiana, pubblica il post Brenda, R.I.P. in cui, tra l’altro, dice:
Viene facile oggi costruire la trama del dolore. Finzionare la tua vita, la tua morte. Facile e perciò ancora più ignobile. Ché l’abitudine a narrare le esistenze ormai ci impone di trovare sempre i legami, gli intrecci, i nodi nel pettine. Sembra già fatta, la storia, già pronta la trama. La politica che gioca sporco nelle stanze da letto del potere, i ricattatori nei secoli fedeli, la morte del protettore cocainomane, il tuo computer immerso nell’acqua per distruggere le prove, i filmati compromettenti, da tracciare, inseguire, occultare, come in un thriller, i nomi, i nomi che non posso essere resi noti, nomi che pesano, che farebbero tremare il Palazzo, la tua morte proprio oggi, nel Transgender day of remembrance. Quanti bagneranno il biscotto nella melma di questo intreccio, quanti, colmi di pietà pelosa, gonfieranno il petto come pavoni, come tacchini allevati in batteria?
Biondillo ha ragione. Sulla vicenda si è scritto e detto molto, prima e dopo i fatti della settimana scorsa, e la percezione che se n’è avuta è quella di una strana bambola, di un ibrido, senza personalità e senza mente, al servizio dei vizi dei potenti. Di certo, per restituirle almeno in parte ciò che le è stato tolto, dato che viva non lo sarà mai più, credo anche che ci si debba augurare che su questo delitto non scenda il silenzio. E/o l’archiviazione, a un certo punto. Perché allora sì che rimarrà nella memoria solo come un argomento da bar con cui darsi di gomito, lo scandalo di una strana bambola usata e gettata via da chissà chi e per chissà quale motivo.