Il ministero della Difesa ha da poco festeggiato il successo della “mini-naja”, nome spicciolo per identificare il progetto “Vivi le Forze Armate. Militare per tre settimane” aperto a milleduecento cittadini italiani tra i 18 e i 30 anni per un costo, nel triennio di attuazione 2010-2012, di quasi 20 milioni di euro, metà dei quali derivanti dai fondi destinati alle scuole e al servizio civile. Ma in tema divise e uniformi esiste anche altro da raccontare. Un “altro” che finora ha trovato poco spazio sulla stampa e che anche in questo caso, per quanto la sua origine sia databile ormai di qualche anno, trova riscontri ufficiali recenti.
Si sta parlando di quanto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero 134, quella che reca la data dell’11 giugno di quest’anno e che contiene il testo della legge 84 approvata il 14 maggio 2010. Riferimenti, questi, per dire che è stata ratificata e resa esecutiva una dichiarazione d’intenti tra i ministeri della Difesa di Italia, Francia, Olanda, Portogallo e Spagna. Oggetto? La creazione di una gendarmeria europea che prende il nome di “Eurogendfor” (European Gendarmerie Force) e che sul fronte italiano chiama direttamente in causa l’Arma dei carabinieri. Su quello estero, invece, oltre agli altri Paesi firmatari, a fine 2008 l’accordo è stato esteso anche alla Romania mentre tra i partner figurano la Polonia e la Lituana. Tra gli osservatori c’è la Turchia.
A Vicenza la sede della gendarmeria europea
In pratica si tratta della creazione di “forze di polizia a statuto militare, in base a principi di reciprocità e ripartizione dei costi”, si legge nei documenti che accompagnano Eurogendfor, per una spesa ufficiale, dal punto di vista italiano, di 191.200 euro annui. Fondi che vengono presi da quelli stanziati per legge nel 1997, ai tempi della ratifica di una convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione e alla siccità, soprattutto nel continente africano.
Il quartier generale permanente è a Vicenza, presso la caserma “Generale Chinotto”, inaugurata all’uopo nel gennaio 2006. Segno che, malgrado l’ufficializzazione dell’11 giugno, la questione è precedente e in fase già avanzata. Sul sito del governo italiano, si legge infatti che Eurogendfor, “modellata sui gendarmes francesi e sulle Unità specializzate multinazionali (Msu) dei carabinieri”, deve le sue origini a una “proposta di costituire una Gendarmeria europea […] presentata a ottobre 2003, in occasione della riunione informale di Roma dei ministri della Difesa dell’Unione europea svoltasi nell’ambito della presidenza italiana della Ue, dai ministri francese e italiano, come risposta alla crescente esigenza di poter disporre, nell’ambito delle operazioni di pace, di forze internazionali di polizia per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica”.
Dopodiché, il 17 settembre 2004, a Noordwijk, in Olanda, venne firmata la prima dichiarazione d’intenti e tre anni più tardi, il 18 ottobre 2007, si giunse al trattato istitutivo, siglato a Velsen, partendo un mese più tardi con il primo incarico in Bosnia Erzegovina. Era la missione “Althea”, iniziata in precedenza – il 2 dicembre 2004 e ancora in corso – dalla European Union Force (Eufor), che ha sostituito la precedente “Joint Force” della Nato. Si tratta di un intervento che inizialmente ha previsto – in termini generali e non solo per Eurogendfor – l’invio di un contingente di seimila uomini, scesi poi a 2.500 e distribuiti tra il quartier generale di Camp Butmir, a Sarajevo, Banja Luka, Mostar, Tuzla e Zenica. Più recentemente un contingente di 350 uomini di Eurogendfor è stato inviato ad Haiti, dopo il terremoto che ha colpito l’isola il 12 gennaio di quest’anno, secondo quanto riferisce un reportage di Euronews.
Ma nei compiti di Eurogendfor – di cui possono disporre Unione europea, Nazioni Unite, Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), Nato e “altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche”, recita ancora il trattato di trattato di Velsen – non ci sono solo le missioni. Altri incarichi comprendono la gestione di situazioni di crisi, l’ordine pubblico (compresa la protezione di persone e beni in caso di disordini), la supervisione delle forze di polizia locali, la gestione del traffico, il controllo delle frontiere e arriva ad abbracciare anche le attività di intelligence, le investigazioni penali e l’addestramento degli operatori di polizia da elevare a standard internazionali. Da questi compiti ne discendono sostanzialmente tre componenti da dislocare sul campo: una operativa per la pubblica sicurezza e l’ordine pubblico, una per la lotta al crimine e l’ultima di supporto logistico.
Un coordinamento di natura politico-militare
Il tutto viene coordinato da un punto di vista politico-militare dall’Alto comitato interministeriale (Cimin), che nomina il comandante avendo poi il compito di occuparsi del personale e delle rotazioni. Inoltre definisce le regole di ingaggio, specificate poi da uno specifico mandato, e si occupa della partecipazione e della pianificazione delle singoli missioni, oltre ad accettare nuove nazioni come aderenti, osservatori (primo passo verso l’adesione, consente alla polizia militare dello Stato richiedente di distaccare un proprio ufficiale di collegamento) o partner (i cui obblighi e diritti vengono definiti dal Cimin). A comporlo sono rappresentanti dei ministeri indicati dai singoli Paesi e beni mobili e immobili di proprietà di Eurogendfor, “se utilizzati per ragioni d’istituto”, non sono soggetti a forme di tassazioni nazionali, dirette o indirette (discorso più complicato invece sugli acquisti per uso ufficiale, esclusi dall’imposta sul valore aggiunto solo se “di consistente importo”).
Ma come avviene il coordinamento con le forze di polizia nazionali? E in che modo Eurogendfor si rapporta con la magistratura locale, nel caso soprattutto di attività per il contrasto del crimine e del terrorismo? Dal testo del trattato, dalle discussioni parlamentari che hanno preceduto la ratifica della primavera scorsa e neanche dal sito della forza militare europea (http://www.eurogendfor.org/) si desume una risposta. Sulla stampa, poi, non se n’è parlato molto, per non dire che non se n’è parlato affatto.
Un certo risalto si è avuto solo in rete, dove dell’argomento si parla da qualche anno, e dalla “Rivista dell’Arma”, mensile dell’Unione nazionale Arma carabinieri. Che già sul numero 101, uscito a maggio 2010, aveva dedicato un lungo servizio intitolato “L’eurocrazia si prende l’Arma per operazioni speciali”. Oltre ad avvertire che “a gennaio, [il ministro dell’Interno Roberto] Maroni ha inviato (alla chetichella) osservatori in Francia per studiare le soluzioni adottate da Sarkozy per denazionalizzare la gendarmerie”, aggiunge: “È stata, in altri termini, creata una sorta di struttura militare sovranazionale che potrà operare in qualsiasi parte del mondo, sostituirsi alle forze di polizia locali, agire nella più totale libertà (leggi immunità) e che, al termine dell’ingaggio, dovrà rispondere delle sue azioni solo al comitato interno”.
Box – E a Vicenda si è in piena attività
Vicenza – la città che ospita il quartier generale di Eurogendfor, oltre a Camp Ederle, base militare degli Stati Uniti, al comando Setaf, dislocato presso la caserma Passalacqua e sempre sotto la bandiera Usa, e all’aeroporto Dal Molin – è stata di recente oggetto di un’inchiesta realizzata dal giornalista di Peacereporter Antonio Mazzeo. Qui, secondo quanto ha scritto il cronista, è stato realizzato un ospedale, l’Enhanced Health Service Center, una struttura di oltre 14 mila metri quadrati che, una volta operativa, avrà alle sue dipendenze personale medico composto da duecento persone.
“Si tratta del più grande progetto di costruzione in Europa di un centro sanitario Usa negli ultimi trent’anni”, ha dichiarato a Mazzeo il colonnello Lorraine T. Breen, responsabile dell’Usag Vicenza Health Center. Costato 47,5 milioni di dollari, il progetto è stato curato dalla Rlf, società con base in Florida, e dalla romana Nesco International, mentre per costruirlo si sono messe insieme la tedesca Bilfinger Berger e l’italiana Pizzarotti Parma, che già in passato aveva operato per conto del governo a stelle e strisce.
Ma perché costruire questo nuovo presidio sanitario (oltre a un centro per l’infanzia, il “Villaggio della Pace”, con 348 posti a disposizione), se le forze statunitensi già si avvalgono dell’ospedale San Bortolo in carico alla azienda sanitaria 6 di Vicenza? Si legge nel reportage firmato da Antonio Mazzeo: “L’obiettivo è quello di assicurare tutti i requisiti per ospitare nel modo migliore […] 4.200 soldati Usa entro il 2015, più ovviamente i rispettivi familiari a carico. Un piano ambizioso per cui sono stati investiti 465 milioni di dollari, 289 milioni dei quali destinati all’ex aeroporto Dal Molin per la costruzione di caserme-alloggio per duemila militari, magazzini, spazi operativi, officine di manutenzione velivoli, uffici e centri comando, centri sportivi, eccetera”.
Dunque, sono anche altre le attività di preparazione nella città di Vicenza e nella sua provincia. Tra queste, la ristrutturazione della base di Longare, comune che fa poco più di cinquemila abitanti e che è famoso per due motivi. Il primo coincide con le cave per l’estrazione di calcare da taglio, noto come pietra di Costozza (o di Vicenza) e utilizzato per elementi decorativi in architettura o per pavimenti. Il secondo invece ha a che fare con la base Pluto, o “Pluto Site”, deposito di munizionamento nucleare con cui armare i missili a corto raggio dell’esercito statunitense.
Qui, sempre secondo quanto riferito dal giornalista di Peacereporter, “il [Civil Support Team] di Longare ha avviato ‘corsi basici’ per i residenti Usa di Vicenza sulle armi nucleari, chimiche e batteriologiche e ‘sull’equipaggiamento personale di protezione'”. Il tutto mentre ampliava marciapiedi e strade, rinvigoriva la rete fognaria e aumentava la potenza della rete elettrica e dell’illuminazione pubblica.
(Questo articolo è stato pubblicato sul numero di novembre 2010 del mensile La voce delle voci)