Orti grandi e orti piccoli

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In risposta al post di Gian Paolo Serino sul blog Satisfiction.

È mia convinzione che, sostanzialmente, dal 1998 in poi, iniziando con il DMCA e il Sony Bono Copyright Act negli States, il copyright si sia trasformato in un’ipertutela a tutto discapito dell’autore. Il concetto ambiguo che viene spacciato come fondamento giuridico, quello della “proprietà intellettuale”, inventato in sede di accordi TRIPS e non dal diritto internazionale, è diventato strumento per coltivare orti attorno a cui non si mette solo filo spinato, ma anche corrente elettrica: il messaggio che si vuole passare è in sostanza che chi tocca muore. Questo concetto, voluto da e per le major, gli oligopolisti, i grandi editori, viene adottato generalmente per grandi orti, che si annaffiano a livello globale. Ma viene utilizzato anche difendere orti più piccoli, come quello per il quale ti si chiede di cambiare nome al blog.


Ora, i nomi, assimilabili ai marchi, hanno un trattamento giuridico differente dalle opere dell’ingegno, per cui vale il diritto d’autore. Ma sostanzialmente il concetto di fondo è lo stesso: chiudere, restringere, punire (di solito solo qualcuno per educarne molti, sempre che ci riescano). Senza incoraggiare la pirateria dei contenuti sotto “tutti i diritti riservati”, quello attualmente più classico, va tuttavia sottolineato che quando si parla di opere dell’intelletto – e dunque anche di letteratura – si deve ricordare che spesso si inventa poco e si interpreta molto. Il che non è denigratorio, assolutamente, è esaltazione della cultura e della conoscenza. È sufficiente vedere l’esempio di Wu Ming o di Cory Doctorow negli Stati Uniti: i loro libri sono la prova concreta che ci si possono riservare alcuni diritti senza rimetterci. Se poi si vanno a indagare i numeri degli scrittori copyleft, si trovano autentici “casi editoriali” in termini di numero di lettori e di qualità dei contenuti che vanno al di là di ciò che pubblica il Venerdì di Repubblica sugli scrittori-blogger come Saviano, Pulsatilla o Novelli che, per quanto siano bravi, sono comunque incastrati all’interno di un meccanismo di marketing editoriale che fortissimamente vuole quei casi.

Il discorso sarebbe lungo e penso di aver già abusato a sufficienza della tua attenzione. Ma il mondo della “libertà di cultura”, quella che non vieta la riproduzione delle opere ma la incoraggia, è davvero un universo che recupera gli autori e dà valore alle opere, che possono essere eccezionali o mediocri, ma che lo sono per la loro forma, per l’espressività di un autore, non perché si proteggono orti. Questo sostanzialmente il motivo per cui la richiesta che ti sei visto recapitare mi ha irritato.