“Finanziatore involontario della strage di Bologna”. Con queste parole è stato di recente definito Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano assassinato a Londra nelle prime ore del 18 giugno 1982 e ritrovato impiccato – per simulare un suicidio – sotto il ponte dei Frati Neri. La definizione si legge nella memoria della procura generale di Bologna a conclusione del processo che lo scorso 6 aprile ha condannato in primo grado Paolo Bellini all’ergastolo per la bomba del 2 agosto 1980, che uccise 85 persone e ne ferì 216.
Nel corso di quel dibattimento, durato quasi un anno, si è parlato spesso di Calvi, della sua morte e del suo entourage, a iniziare da Licio Gelli. Il quale, già al vertice della loggia P2 a cui lo stesso banchiere era affiliato, è stato condannato per i depistaggi alle indagini sull’esplosione di Bologna e che si sarebbe probabilmente trovato, nel processo presieduto da Francesco Maria Caruso, imputato in qualità di finanziatore della strage, se non fosse deceduto il 15 dicembre 2015. E fu proprio Gelli a coinvolgere l’ignaro Roberto Calvi nel complesso flusso di denaro che servì, secondo i pm Nicola Proto e Umberto Palma (con loro, fino a dicembre, c’era anche Alberto Candi, poi andato in pensione), a remunerare il più grave degli attentati avvenuti in Italia dal dopoguerra a oggi. Come lo fece? Raggirandolo.