Piazza della Loggia: le coperture istituzionali, la P2 e i rischi per la democrazia

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Strage di piazza della Loggia

“Ci sono stati uomini dello Stato che hanno agito contro l’ordine democratico di questo Paese e l’analisi del passato oggi può aprire nuove prospettive di conoscenza”. Lo ha detto ai microfoni di Radio Popolare Manlio Milani, presidente Associazione tra i familiari dei caduti di Piazza della Loggia, nella mattinata del 21 giugno scorso, il giorno dopo la conferma da parte della prima sezione della Cassazione degli ergastoli a Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi per la strage di Brescia del 28 maggio 1974. Non solo gruppi neofascisti, dunque, che – per dirla con le parole di Vincenzo Vinciguerra – “giudicati nel loro insieme o separatamente […], appaiono incapaci di costruire una minaccia politica”. Per l’autore della strage di Peteano del 31 maggio 1972, queste realtà sono nate “quali formazioni fiancheggiatrici di forze capaci per potenza di giungere a una soluzione del caso italiano, le forze armate”.

Con quale risultato? Secondo Vinciguerra, i “servizi, appoggiati e coadiuvati da ufficiali dei carabinieri e da funzionari di polizia, selezionano e reclutano gli uomini che per caratteristiche appaiono più idonei a trasformarsi in loro collaboratori permanenti, ai quali affidare il compito di creare gruppi d’azione, proporre attentati, svolgere attività informativa”. A fare affermazioni del genere non c’è solo il neofascista all’ergastolo per l’autobomba di Peteano, pur ritenuto attendibile in molteplici procedimenti, da quello per la strage alla questura di Milano alle indagini del giudice istruttore Guido Salvini, secondo cui sull’Italia sono spirati “gelidi venti di golpe”.

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