Carlo Cassola e la rivoluzione “disarmista”: l’attualità di un’idea

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Carlo Cassola | Foto Rai Cultura

Introduzione: il pensiero unico bellicista

Era il 1° gennaio 1971 e Carlo Cassola, dalla sua casa di Grosseto, rispondeva con disillusione alla domanda di un giornalista della Rai sulle prospettive per la cultura italiana nell’anno appena iniziato:

«È completa la sfiducia perché credo che manchi al suo dovere più elementare, che è quello di informare […]. Cultura è sinonimo di coscienza, di conoscenza: se la gente non ha coscienza di certi problemi […], la colpa risale innanzitutto alla cultura […]. Il problema è che viviamo nell’era atomica […]. Questo è il problema centrale […] su cui avrebbe dovuto imperniarsi un discorso culturale serio» [1].

Sono parole che rappresentano il nucleo originario di una formulazione politica che avrebbe caratterizzato il pensiero dello scrittore fino alla sua morte, avvenuta il 29 gennaio 1987. Cassola era convinto che «oltre il 2010 è inimmaginabile la sopravvivenza del genere umano sul pianeta terra» [2] e per questo fu a lungo una delle voci più incalzanti del disarmismo italiano. Se, al posto della fine del genere umano, l’anno del profetizzato olocausto nucleare fu funestato dalle conseguenze della cosiddetta «Grande recessione» [3] del 2007, di utilizzo di armamenti atomici si è tornati a parlare nel 2014, con l’Euromaidan e la destituzione del presidente ucraino Viktor Janukovyč, e ancora dopo, con l’invasione russa del 24 febbraio 2022.

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Eventi come la battaglia di Enerhodar, combattuta nei pressi della centrale nucleare di Zaporižžja, oppure i ventilati test atomici di Mosca, con relativa distribuzione di pillole di iodio a Kiev e Odessa [4], hanno rinvigorito l’incubo per eccellenza della guerra fredda. Tuttavia, rispetto al periodo in cui Cassola, a capo di un movimento per la pace talvolta rissoso ma volitivo, portò avanti la sua battaglia, trentacinque anni dopo la morte dello scrittore le voci contro la guerra si sono rivelate più flebili, attribuibili per lo più alla propaganda favorevole alle posizioni aggressive del presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin.

Già nel 1995 Umberto Eco, in un simposio tenutosi presso la Columbia University, aveva sottolineato che, in forza di «una confusione strutturata» [5], si assisteva a un mutamento della percezione del pacifismo, trasformato in «collusione con il nemico» [6], modello «cattivo perché la vita è una guerra permanente» [7]. Poi, con il conflitto del 2022, il processo è arrivato a compimento con il cosiddetto «pensiero unico bellicista» [8] in base al quale «opinionisti con l’elmetto […] bollano i pacifisti come nemici della patria, amici del nemico, prezzolati del dittatore russo» [9].

Le ragioni di chi si è dichiarato contrario al conflitto nell’Est europeo – e che hanno portato in Russia a quindicimila arresti in un solo fine settimana [10] – si sono rivelate così, nella migliore delle ipotesi, inascoltate. Eppure, fino alla seconda metà degli anni Ottanta, il movimento disarmista di Cassola sfiorò l’ingresso in parlamento e il confronto intellettuale sul tema fu caldissimo. Ma le speranze accese solo due anni dopo la morte dello scrittore, con la caduta del Muro di Berlino, avevano subito i contraccolpi delle guerre jugoslave e in Medio Oriente, dove la ripresa delle spese militari arrivò al picco di 1.260 milioni di dollari [11]. Il mosaico di successivi conflitti in Siria, in Libia e negli Stati in cui aveva attecchito il fondamentalismo sunnita dell’Islamic State of Iraq and Levant aveva indotto Papa Francesco ad affermare che «siamo entrati nella terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti» [12].

Ancora nel 2003, due anni dopo lo choc degli attacchi dell’11 settembre negli Stati Uniti e la successiva operazione Enduring Freedom, «Roma ospitò la più grande manifestazione del mondo contro la guerra» [13]. Poi si registrò la progressiva e «totale inversione – persino ontologica – dei valori» [14] che ha reso la pace – di nuovo – un concetto subordinato alla vittoria di un conflitto. Nella situazione attuale, ci si chiede allora quali siano le origini, il contesto internazionale e l’eredità del pensiero disarmista propugnato da Carlo Cassola e dal suo movimento. Un dispositivo concettuale, almeno all’apparenza, dimenticato e che, nonostante le iperboli del pensiero cassoliano, rimane nella sua sostanza di intensa modernità.

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Note

[1] C. Cassola, Contro gli armamenti. Perché la cultura non si mobilita, Rai Cultura.
[2] C. Cassola, La rivoluzione disarmista, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1983, p. 136.
[3] J. Weinberg, The Great Recession and its aftermath, «Federal Reserve History», 22 novembre 2013.
[4] F. Tonacci, Bunker, catacombe e pillole di iodio. Odessa ora si prepara all’urto nucleare, «La Repubblica», 1° ottobre 2022, p. 4.
[5] U. Eco, Il fascismo eterno, La Nave di Teseo, Milano 2017, p. 17.
[6] Ivi, p. 22.
[7] Ibidem.
[8] N. Piro, Maledetti pacifisti. Come difendersi dal marketing della guerra, People, Busto Arsizio 2022, p. 73.
[9] Ibidem.
[10] G. Marcon, Guerra in Ucraina, le ragioni dei pacifisti, «Valori. Notizie di finanza etica ed economia sostenibile», 12 aprile 2022.
[11] G. Marcon, Fare pace. Jugoslavia, Iraq, Medio Oriente: le culture politiche e le pratiche del pacifismo dopo il 1989, Edizioni dell’Asino, Roma 2014, p. 5.
[12] M. Ansaldo, Il Papa: “La terza guerra mondiale è già iniziata”, «La Repubblica», 18 agosto 2014.
[13] N. Piro, Maledetti pacifisti, cit., p. 72.
[14] Ibidem.