Quando lo scorso 8 marzo scorso gli hanno notificato l’ordinanza di custodia cautelare, Maurizio Minghella, 58 anni ancora da compiere, era già in galera, a Pavia. Accusato oggi di un nuovo omicidio, quello di Floreta Islami, strangolata il 14 febbraio 1998 a Rivoli (Torino), deve scontare il carcere a vita per aver ucciso molte volte in due periodi diversi, a cavallo di oltre vent’anni.
Per lui – noto ai tempi come il “Travoltino della Val Polcevera” per la sua passione per la disco music e le donne – la prima condanna giunse nel 1981 quando la Corte d’assise di Genova lo riconobbe colpevole dell’omicidio di quattro giovani donne uccise nel 1978. Tra di loro, c’era Anna Pagano, ritrovata da alcuni pastori vicino a Trensasco, frazione di Sant’Olcese (Genova).
Il 18 aprile di quell’anno Minghella le scrisse in rosso sulla schiena “Bricate rose”. Un maldestro tentativo di depistare le indagini verso le Brigate rosse che poco più di un mese prima, il 16 marzo, avevano sferrato il loro “attacco al cuore dello Stato” sequestrando il presidente della Dc Aldo Moro, poi ucciso il 9 maggio successivo.
Il 18 luglio a essere massacrata fu una quattordicenne, Maria Catena Alba, per tutti Tina. Quando la trovarono a Valbrevenna, era nuda e chi l’aveva uccisa aveva tentato un’altra simulazione: il suicidio per impiccagione con il tirante di un portapacchi. Poi, a poco più di un mese, un’altra vittima, Maria Strambelli, 21 anni, che il fratello cercava da giorni perché non era più tornata dopo essere uscita per andare in discoteca.
Per gli inquirenti, i giudici Carlo Basile e Mario Sossi (lo stesso che nel 1974 era stato rapito dalle Br), iniziarono a sospettare che un legame ci fosse: le ragazze, infatti, avevano le mestruazioni. Di certo Anna e Tina e forse anche Maria, ma le condizioni del suo corpo non consentirono di pronunciarsi con sicurezza.
Infine il quarto delitto. Era il 3 dicembre quando fu uccisa Wanda Serra, 19 anni, anche lei alle prese con il ciclo. E allora si diffuse l’idea che tra Genova e l’hinterland ci fosse davvero un assassino seriale che poteva rispondere al nome di Maurizio Minghella, arrestato un paio di giorni dopo l’omicidio di Wanda.
Molti anni più tardi, quando andò a processo per gli omicidi commessi in Piemonte, i periti psichiatrici avrebbero detto che Minghella non è un serial killer. Capace di intendere e volere, in lui vennero esclusi “segni psicopatologici significativi” e, pur affetto da disturbi della personalità, non presentava “i caratteri tipici dell’omicida seriale”.
Eppure la fama che accompagna Maurizio Minghella – nato a Genova il 16 luglio 1958 e cresciuto con un patrigno che usava violenza su di lui e sui quattro fratelli – è rimasta quella: del mostro che continua a uccidere, scatenato dalla vista del sangue, fino a quando non viene fermato.
(Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale In famiglia)