Anonymous, la #OpAnonTrademark e la guerra – con relativo esproprio, nel caso della maschera di Guy Fawkes – ai marchi registrati

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Anonymous - Noi siamo legionePer quanto riguarda il collettivo Anonymoys, è tempo dell’hashtag #OpAnonTrademark contro la registrazione del logo e dello slogan dell’ignoto gruppo che scorrazza per il web presso l’Institut national de la propriété industrielle (Inpi). Anonymous, partendo dal concetto che qualsiasi contenuto non deve essere sottoposto ad alcuna forma di vincolo, è ovviamente contrario e con un videomessaggio su Youtube spiega ragioni e interventi. Per quanto riguarda invece un altro elemento sottoposto a vincoli, il volto di Guy Fawkes così come cristallizzato in V per vendetta, “espropriato” per trasformarlo nel simbolo più celebre al mondo, c’è stato un certo dibattito, raccontato in Anonymous – Noi siamo legione.

Guy FawkesUna delle polemiche che viene sollevata spesso contro gli Anonymi è che, a fronte delle loro istanze radicalmente libertarie, si sono appiccicati una faccia targata Dc Comics, partner di una corporation dei contenuti che a logica dovrebbero combattere, la Warner Bros. Ma la contraddizione, che all’apparenza (o forse neanche tanto all’apparenza) pur esiste, sembra rientrare nella raffica di boutade del collettivo.

Spieghiamo meglio. Quando il fumetto V per Vendetta diventa un film prodotto dai fratelli Wachowski, la popolarità della maschera di Guy Fawkes entra nel pieno e viene trasformata in un feticcio da possedere, smerciato in ogni angolo del pianeta attraverso colossi internettari come eBay e Amazon. È a questo punto che si inizia a storcere il naso. Ma come, ci si chiede non senza venature provocatorie, vi fate vendere i simboli alle industrie del fumetto e del cinema? E poi i proventi che derivano dai centomila esemplari ufficiali acquistati ogni anno dai fan finiscono dritti dritti nelle casse della Time Warner, detentrice dei diritti e beneficiaria del contributo che il giustiziere V offre ai suoi margini di profitto.

Inoltre c’è pure chi fa soldi con quella faccia in modo illegale, se si sottostà all’osservanza dei diritti d’immagine. Perché, ai flussi economici generati dalla commercializzazione della maschera (ma anche di magliette, di berretti, di tazze e di tutto ciò che va sotto l’espressione di merchandising), si devono aggiungere anche quelli frutto delle imitazioni non autorizzate.

È una contraddizione, sostengono i critici, un comportamento un po’ infantile che non si discosterebbe più di tanto dalla compulsione che porta gli adolescenti degli anni Ottanta a emulare il moon walk di Michael Jackson, a sfoggiare nei Novanta braccialetti di cuoio che inneggiano ai Take That o a indossare lunghe giacche di pelle e occhiali da sole fascianti dopo il successo planetario del film Matrix (opera sempre dei Wachowski).

Se si potrebbe ribattere che questi fenomeni sono memi proprio come la maschera di V – sono cioè contagi culturali o pseudo tali che si diffondono in modo virale tra chi viene avvicinato da un determinato messaggio – l’Anonymo italiano che firma nella primavera 2012 il libro elettronico Anonymous. La grande truffa introduce quanto sopra e pone a ruota una serie di riflessioni. Comincia ricordando che i primi a usare il volto di Fawkes sono stati nel 2007 ambienti molto lontani dal collettivo. Tra questi i sostenitori del repubblicano Ronald Paul per una manifestazione ultraliberale e il comico italiano Beppe Grillo quando presentò il suo V Day (dove V non stava per «vendetta», ma per «vaffanculo»). Poi sono arrivate l’operazione Chanology e la progressiva cavalcata anticensoria, insieme alle quali si è manifestata l’esaltazione di due «innovazioni» contenute nella versione cinematografica della saga di Guy Fawkes.

Spiega l’Anonymo autore del libro:

La prima grande idea è quella di presentare la maschera […] come oggetto infinitamente replicabile, da indossare per rendersi anonimi e compiere atti di disobbedienza più o meno civile. Prima che […] questa pratica diventasse una moda presso i manifestanti di tutto il mondo, solo alcuni gruppi antagonisti usavano manifestare con il volto coperto (ad esempio i famigerati Black Bloc). Ma la vera fonte d’ispirazione dei Wachowski e [del registra James] McTeigue (come lo fu per Luther Blissett) potrebbe essere il Subcomandante Marcos, portavoce dell’Esercito Zapatista messicano, che affermò di coprire il volto e celare la propria identità cosicché chiunque possa interpretarne il ruolo.

La seconda innovazione è quella di ristrutturare l’intreccio attorno al progressivo svelamento della verità totalitaria, invece di rendere subito evidente l’ambientazione distopica […]. Il nemico non è uno Stato esplicitamente totalitario, come nel fumetto, bensì una democrazia in tutto e per tutto simile alla nostra, che cela tuttavia un potere occulto. Qui ritroviamo la buona vecchia distinzione tra «democrazia formale» e «democrazia sostanziale.

Ma – avverte l’Anonymo autore a valle del suo ragionamento – attenzione, non si cali mai la guardia, perché quella che sembra una conquista, quasi un esproprio concettuale compiuto ai danni di un impero che vuole esasperatamente proteggere i suoi contenuti nel nome del dio denaro, potrebbe rivelarsi nient’altro che un’efficacissima campagna di marketing. «Usate pure, cari rivoluzionari del ventunesimo secolo», potrebbe rispondere l’impero di cui sopra, «intanto non fate nient’altro che prestarvi al nostro gioco di dominio culturale ed economico rendendoci ancora più forti nel plagiare il vostro immaginario».

Dove sta allora la realtà del neoribellismo digitale e dove invece si possono rintracciare i confini di una finzione abilmente giostrata soprattutto dai potentati economici a stelle e strisce? Se a livello speculativo la discussione potrebbe proseguire fino allo sfinimento celebrale, per rispondere è meglio attenersi ai dati di fatto e a ciò che il volto mascherato di V ha rappresentato dopo l’attacco a Scientology. E c’è un caso, che risale al 2009, in cui l’aspetto ludico scompare del tutto per lasciare il posto a un unico obiettivo: fornire il massimo supporto possibile per consentire ai manifestanti dell’Iran post elettorale di raccontare al di fuori del loro Paese la repressione interna e la violenza istituzionale a cui sono stati sottoposti.