Ravenna, fu la raffineria che attraversò la stagione delle bufere sui petroli e dove, dopo, gli operai sono morti per cancro

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Abandoned eternit factory - Foto di Lars K. ChristensenDodici morti di cancro perché venuti a contatto con sostanze tumorali nella raffineria degli scandali sui petroli. È quello che si vuole dimostrare alla ex Sarom di Ravenna e se già un censimento di malati e deceduti è in corso, servono altri dati. E forse neanche gli operatori dell’Aea, l’Associazione esposti amianto e rischi per la salute, se l’aspettavamo. Ma al loro appello, lanciato un paio di settimane fa, è giunta nel giro di qualche giorno una prima risposta.

Quella di una ravennate che lavorò alla Sarom e che ora intende mettere a disposizione la sua storia clinica per due motivi. Il primo: andare a nutrire un’anagrafe ufficiale (sul modello di quella costituita già nel 2001 in Friuli Venezia Giulia, a oggi ne esiste una “autogestita” dal 2010). Il secondo: contribuire ad azioni legali collettive contro i datori di lavoro e ottenere i risarcimenti dall’Inail.

La raffineria degli scandali petroli dove non si guardò ai lavoratori. La Sarom di Ravenna era una società di raffinazione fondata nel 1950 da Attilio Monti, imprenditore ravennate le cui attività ebbero notevoli echi nazionali per il suo coinvolgimento nel primo scandalo dei petroli e in quelli che seguirono. Ma se all’industriale la raffineria servì per lanciarsi in scalate nel mondo dell’oro nero sia in Italia che all’estero, nella città costiera avrebbe dovuto creare occupazione.

E così fu fino al 1973, quando una serie di acquisizioni dalla British Petroleum (gli impianti veneziani di Porto Marghera e quelli piemontesi di Volpano, oltre a una catena di distributori) iniziò a far registrare difficoltà alla società di Ravenna. La storia dell’azienda, che nel frattempo si era estesa anche a Milazzo e a Gaeta e che aveva accumulato oltre 500 miliardi di debiti, si concluse con la cessione per una lira all’Eni.

Solo nel 1984 erano ancora 300 le persone che lavoravano negli impianti di Ravenna, i quali l’anno successivo sembravano ormai destinati alla dismissione per diventare depositi. Al vertice della società si insediò un commissario straordinario e gli occhi di tutti furono ancora una volta puntati più su grosse questioni petrolifere e sulle storiacce in cui Monti inciampò. Non si guardò, o li si fece poco, alle condizioni dei lavoratori. Che dopo anni, persero il posto e più tardi si ammalarono forse proprio come conseguenza del periodo di vita trascorso nella raffineria.

Su 12 lavoratori Sarom, 11 sono morti di cancro. Oggi l’associazione Aea ha raccolto documentazione su 12 lavoratori, distribuiti tra i settori “laboratorio” e “compressoristi”. Di questi, 11 sono già morti di cancro e l’unico sopravvissuto oggi lotta a propria volta contro un tumore. E scopo dell’associazione è quello di istruire un’indagine epidemiologica che dimostra che si tratta di patologie professionali. Per quanto riguarda i casi già noti, uno è già stato riconosciuto come tale dall’Inail e per un altro in settimana verrà inviata sempre qui la documentazione.

“Ma ci servono dati, ci servono cartelle cliniche anche di casi che non conosciamo”, dice Vito Totire, medico del lavoro e presidente nazionale dell’Aea. Di qui l’appello lanciato a Ravenna alla fine della settimana scorsa e la risposta giunta all’inizio di questa. “Si tratta di una signora che ha avuto patologie tumorali dopo aver lavorato alla Sarom. L’elemento importante di questo caso è che non è compreso nella rosa dei 12 di cui avevamo già notizia”.

All’Enichem i morti furono 31 e di loro parla un esposto alla procura. Oltre all’indagine epidemiologica sul caso Sarom, c’è anche un secondo obiettivo: quello di presentare un esposto alla procura della Repubblica di Ravenna perché ci sia anche un accertamento in sede penale e si arrivi a un risarcimento per le vittime, per gli ammalati e per i loro familiari. Riaprendo, se possibile, le procedure assicurative e costringendo la legge italiana ad adeguarsi a parametri che altrove sono già evidenti.

“L’Unione europea”, ha spiegato ancora Totire, “nel novembre 2009 ha emanato una direttiva nella quale sono elencate le patologie legate all’amianto: non solo l’asbestosi e il mesotelioma pleurico, le sole a essere riconosciute dall’Inail, ma anche altre malattie, come i tumori polmonari e gastroenterici. C’è da dire poi che già nel 1978 esistevano indagini scientifiche che attestavano influenza dell’amianto su rene, vescica, laringe e pancreas”.

Il modello di azione è quello adottato sempre dall’Aea nel 2010 con 31 morti sospette alla centrale termoelettrica Enichem di Ravenna. Anche qui asbestosi, tumore polmonare, mesotelioma e tumore gastroenterico le patologie più frequenti, a cui si sono aggiunti cancro alla gola, ai reni, all’intestino e leucemie. Operai generici e specializzati, addetti delle pulizie, artigiani i ruoli delle 31 persone che lavoravano in questa realtà industriale e che svilupparono le rispettive patologie in un arco di tempo tra i 20 e 35 anni.

One thought on “Ravenna, fu la raffineria che attraversò la stagione delle bufere sui petroli e dove, dopo, gli operai sono morti per cancro

  1. Hi
    Unfortunately I dont’t read enough Italian to get the details of your post. But I understand it is about an attempt to get the death of workers in Ravenna, who had been exposed to asbestos, recognized as work-related?
    Those who represent the workers might be interested in contacting the United Federation of Danish Workers (3F): http://www.3f.dk. They have experience in dealing with such cases – especially at the factory on my picture, where they were involved in a lawsuit, where the owners of the plant were ordered to pay damages.
    Good luck!

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