La Metro Goldwyn Mayer è un’istituzione del cinema non solo statunitense. Creata nel 1924 attraverso la fusione di due preesistenti case di produzione, nel corso dei decenni ha prodotto film passati alla storia come Via col vento, Il mago di Oz, Cantando sotto la pioggia, 2001: odissea nello spazio e alcune delle pellicole dedicate allo 007 per eccellenza, James Bond. Ma la sua è stata anche una vicenda che ha segnato i decenni per le traversie societarie, iniziate negli anni Settanta e arrivate, nel giro di un ventennio, alla soglia di fallimento. Erano i tempi in cui la Mgm aveva in gestione la United Artists e si era ancora ben lontani dall’arrivo di Sony, con cui oggi produce anche fiction per il piccolo schermo, e della Comcast Corporation.
Per il colosso del cinema americano sembrano però tornati i tempi duri. Tanto che alla fine dello scorso anno è stata annunciata la vendita dei propri studios, valutati un paio di miliardi di dollari. E un mese più tardi s’è fatto avanti un imprenditore indiano, Anil Ambani, che già aveva investito nella DreamWorks di Steven Spielberg. Ma questa è una vicenda in essere, non ancora conclusa, e che non fa parte del pezzo della storia che si vuole raccontare.
Una storia che ha uno scenario italiano e che vede comparire un personaggio il cui nome torna ancora oggi, quando si parla del crack della Parmalat e delle traversie giudiziarie di Callisto Tanzi. Si chiama Florio Fiorini e, sul finire degli anni Ottanta, si faceva chiamare il «corsaro della finanza» e il «lavandaio». Sopravvissuto agli anni della P2 e della bancarotta del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi – erano anni in cui ricopriva la carica di direttore finanziario dell’Eni –, passò in seguito ad altra occupazione e ad altri interessi e per lui i guai economici e giudiziari videro anche come oggetto proprio la Metro Goldwin Mayer.
Per quell’operazione Fiorini faceva coppia con Giancarlo Parretti, imprenditore che, partito dal settore immobiliare e degli alberghi, alle cronache sportive approdò per aver venduto il Milan al suo attuale proprietario, Silvio Berlusconi. Insieme, Fiorini e Parretti avevano dato vita a una cordata di aziende tricolori che, con il sostegno del Credit Lyonnais, avevano consentito a Parretti di diventare presidente del colosso cinematografico (fu in questo periodo che Mgm produsse un nuovo 007, ma anche Rocky V con Sylvester Stallone e Thelma e Louise. Addirittura un film della sua scuderia uscito nel 1998, Bernadette, venne proiettato in prima assoluta in Vaticano).
Ma il periodo delle passerelle hollywoodiane non andò oltre un solo anno di vita, per gli imprenditori italiani, la cui avventura finì in malo modo. Il fronte cinematografico non era tuttavia l’unico ad aver creato problemi a Florio Fiorini. Per un periodo era stato rinchiuso nel carcere Champ Dollon di Ginevra. Per una coincidenza giudiziaria, si tratta della stessa prigione in cui ha soggiornato brevemente anche Licio Gelli, prima dell’evasione del 1983 e dei quattro anni di latitanza negli Stati Uniti. Ma erano anni diversi, era la metà degli anni Novanta, e secondo un articolo pubblicato nel 1996 dalla rivista economica Fortune, «Fiorini figurava nei principali scandali finanziari e politici che avevano coinvolto l’Italia nei due decenni precedenti […], i decenni dei noti banchieri con connessioni vaticane Michele Sindona e Roberto Calvi, che morirono di morte violenza sulla scia di scandali bancari degli anni Settanta e Ottanta e che tracciarono la linea per i finanzieri che vennero dopo di loro».
Nelle carceri ginevrine Fiorini c’era finito per una serie di vicende legate alla Sasea Holding, che acquisì da Callisto Tanzi Odeon Tv, emittente in cui, sul finire degli anni Ottanta, l’imprenditore di Parma aveva versato una cifra corrisponde a circa 80 milioni di euro di oggi. Liberatosi di quel fardello, il fardello stesso passò con il tempo nelle mani di un imprenditore del settore televisivo, Raimondo Lagostena, figlio dell’avvocatessa Tina Lagostena Bassi, storico personaggio dei fori italiani che legò il suo nome professionale al processo per il massacro del Circeo, avvenuto nel 1975. Quel dibattimento fu trasmesso per la prima volta dalla Rai: era il 1979, in anni molto meno disinvolti quando si parla di reati sessuali, e la trasmissione, oltre a essersi guadagnata premi e riconoscimenti internazionali, contribuì al dibattito sulla violenza ai danni delle donne. Tempi andati, però, dato che nell’autunno del 2008 Odeon Tv passò alle cronache nazionali per un programma di taglio storico in cui uno degli interlocutori fissi era Licio Gelli, maestro venerabile della loggia P2. Infine Lagostena è stato arrestano sul finire del 2009 per un presunto giro di tangenti sulla pubblicità dell’emittente privata (nella stessa indagine è finito anche l’assessore regionale lombardo allo sport e al turismo Gianni Prosperini).
Ma lasciamo qui queste inchieste, ancora in corso e che dunque devono ancora dimostrare eventuali malversazioni dei personaggi coinvolti. Torniamo a Florio Fiorini e alla Sasea. La quale dichiara il fallimento di Odeon Tv dopo averla acquistata da Tanzi – nel frattempo alla ricerca di crediti bancari per ottenere i quali quell’emittente era un problema – e concorda la restituzione di un quarto dei debiti contratti (25 miliardi di lire dell’epoca) messi a disposizione di un istituto di credito con margini garantiti per tutti.
Questa pratica ha dato vita a quella che alcuni quotidiani hanno definito il “metodo Sasea”. Un metodo che ha riscosso un certo successo, per un periodo, tanto che l’azienda di Fiorini spiccò il balzo e aprì una sede a Ginevra. La specializzazione era la riscossione di crediti inesigibili da parte delle banche che, cedendoli, depennavano quei buchi dai propri bilanci per la gioia degli azionisti. Però la storia è andata avanti con l’arresto e poi l’estradizione in Italia per un altro fallimento, avvenuto nel 1992: quello della società assicurativa genovese Comitas per il quale viene chiesto nel 1997 il rinvio a giudizio di Fiorini, al tempo ai domiciliari nella sua casa di Milano.
In questa vicenda, giunta nove anni dopo in appello, la sua posizione è stata stralciata e, mentre gli altri responsabili sono stati condannati, per lui il processo è da rifare perché le contestazioni di reato per le quali è finito a giudizio sarebbero diverse da quelle scritte sulla richiesta di estradizione dalla Svizzera. Nel 2004, infine, quando infuriava la vicenda Tanzi e la Price Waterhouse & Cooper’s arrivava a una stima dell’indebitamento del colosso agroalimentare emiliano, FiorinI spiegò a Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo di Repubblica: «Parmalat non è stata che una Sasea industriale». Il sistema che lui aveva messo a punto in seguito sarebbe passato in eredità ad altri che ne avrebbero decuplicato la portata e i margini di arricchimento ai danni dei risparmiatori, secondo lui.
(Questo articolo è stato pubblicato sul Domani di Maurizio Chierici nella rubrica I peggiori protagonisti della nostra storia.)
Diavolo avanti fiorini e un angelo, credete conosco da 26 anni
Fiorini dov’è adesso?