Dopo la pubblicazione della prefazione di Oscar Marchisio al libro Il programma di Licio Gelli – Una profezia avverata (da oggi in download la versione elettronica del volume), di qui alle prossime settimane verranno pubblicati i capitoli di questo breve libro sul mondo a cavallo tra il prima e il dopo P2.
Questo libro è stato concepito in tempi non sospetti: era nell’estate 2008, si tentava di rompere l’afa estiva con una cedrata e si parlava a tono sostenuto per superare il frastuono dei martelli pneumatici che bucavano l’asfalto e realizzavano i grandi progetti della viabilità cittadina. Oscar Marchisio, l’editore, lo dice e lo ripete che la loggia massonica Propaganda 2 un segno l’ha lasciato. Ed entrambi conveniamo che sarebbe interessante andare a rileggere alcuni fatti degli ultimi trent’anni per capire se effettivamente il piano di rinascita democratica, quello sequestrato a Maria Grazia Gelli nel luglio del 1982, qua e là si sia avverato, malgrado la fine dell’esperienza gelliana. Ma che sarebbe deleterio trasformare Licio Gelli nel Nostradamus dei tempi nostri. La mia insegnante di filosofia delle scuole superiori, a proposito del celebre indovino del XVI secolo, era perentoria: chi formula profezie distribuendole nei secoli a venire è un baciato dalla dea dei numeri e dalla statistica. Dunque, distribuendo le proprie previsioni su un arco di tempo molto vasto, c’è caso che prima o poi qualcosa si avveri. Così come, se si fanno vaticini su un range molto ampio di argomenti, si finirà per trovare qualche coincidenza curiosa.
Ecco, Licio Gelli, al contrario di Nostradamus, non ha scorrazzato nel futuro per centinaia di anni, ma ha esteso i punti del suo piano (ma anche del suo schema r, dove “r” stava per risanamento) su molti fronti: il bipolarismo partitico, il controllo del mezzi di informazione, la riforma della giustizia, la ristrutturazione degli organi politico-amministrativi, il predominio del governo sul parlamento. Tutti argomenti che, vai a ben vedere, non risulteranno nuovi a un lettore neanche troppo assiduo dei giornali perché in questi anni se n’è tornato a parlare spesso.
E ultimamente se n’è tornato a parlare più spesso. Si diceva all’inizio che l’idea di scrivere queste pagine è precedente alla baraonda dell’autunno 2008. Quando il lavoro di documentazione era già a uno stadio avanzato ed era partita la fase della scrittura, ecco che erompe prima sul web e poi sulla stampa cartacea e televisiva una notizia: il ritorno al piccolo schermo di Licio Gelli. Pistoiese, classe 1919, un passato da militante nella guerra di Spagna del 1936 e nella Repubblica sociale italiana post armistizio del 1943, divenne collaborazionista degli occupanti nazisti, doppiogiochista sul fronte della resistenza partigiana e poi sostanzialmente sfuggì alle proprie responsabilità per il suo ruolo ambivalente negli anni di guerra.
Scopertosi manager per aziende che producevano materassi a Frosinone e Arezzo dopo aver fatto un po’ di gavetta per politici democristiani, la scalata di Licio Gelli sembra inarrestabile: espugnato un ruolo di peso nella massoneria italiana da cui farà discendere la loggia Propaganda 2, imperverserà in molti settori critici del paese, stringerà alleanze importanti, si avvicinerà con successo ad ambienti militari e costruirà un impero che si estende su due continenti, arrivando a comprendere l’America latina dei dittatori argentini e uruguaiani. Ma nel 1981 tutto si ferma, precipita, arrivano le perquisizioni, i sequestri di documenti ed elenchi di affiliati, le imputazioni e i processi, le fughe, il carcere, le malattie e le condanne. Condanne per corruzione, per i depistaggi delle indagini sulla strage alla stazione di Bologna dove, il 2 agosto 1980, una bomba uccise ottantacinque persone e ne ferì oltre duecento, per la bancarotta del Banco Ambrosiano.
Poi a fine del 2008, in un’opera mediaticamente perfetta per l’eco che la notizia ha ricevuto, Gelli torna. Già in parte rilegittimato da ambienti della sinistra moderata dopo la donazione di una parte del suo patrimonio documentale personale all’archivio di Stato di Pistoia, viene presentato dalla produzione di “Venerabile Italia” e dall’emittente Odeon tv come ospite qualificato a raccontare gli ultimi decenni della storia d’Italia. E se già nel 2003 a Concita De Gregorio, allora inviata del quotidiano “La Repubblica”, rivendicava una sorta di paternità quanto meno morale della politica di oggi, ora ne viene a maggior ragione riconosciuto l’ispiratore, colui che ha indicato una rotta seguita da suoi ex affiliati ben oltre la storia della sua loggia.
Per iniziare questo racconto, dunque, occorre raccontare anche singolari coincidenze che, al di là delle risultanze processuali definitive e fino a prova contraria, rimangono tali. Ma suscitano curiosità e – raccomandava un cronista di razza come Marco Nozza – quando le coincidenze iniziano a essere in numero pari o superiore a tre possono assumere i contorni di un indizio. Per esempio, Odeon tv, dai cui schermi in autunno è stata trasmessa “Venerabile Italia”, fu di Callisto Tanzi, un nome che, dopo aver scandito il mondo della politica, dello sport e dell’imprenditoria tricolore, è oggi associato al crack Parmalat. E proprio sulla cessione di Odeon tv alla Sasea di Florio Fiorini, Tanzi ebbe avvisaglie di guai finanziari: una finanziaria a lui riconducibile si fece pagare una cifra giudicata dal tribunale di Milano ingiustificata e ne decretò l’imputazione per concorso nella bancarotta della Sasea. Intanto le perdite subite a causa dell’emittente sono state rimpallate alla Parmalat, secondo un rapporto della Price Waterhouse & Cooper’s redatto su richiesta del commissario Enrico Bondi.
Toscano d’origine e imprenditore di professione, Florio Fiorini stesso è uomo di coincidenze: a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta è stato il “corsaro della finanza” e “il grande lavandaio”. Poi è stato ospitato dalla prigione ginevrina di Champ Dollon e coinvolto in giri di tangenti verso istituzioni finanziarie che ebbero diverse spiegazioni: ringraziamenti per altolocate frequentazioni monegasche, corrispettivo per consulenze un po’ care, soffiate e addomesticamenti in vista di controlli amministrativi e fiscali. La trama della vicenda Fiorini, che fu anche direttore finanziario dell’Eni, sembra un po’ quella già vista: la scalata a società editoriali e cinematografiche, invidiabili coperture bancarie (in Italia e all’estero, Svizzera in primis) attraverso l’emissione di obbligazioni societarie, qualcosa come ventimila risparmiatori senza più il becco di un quattrino, interessati rapporti politici con uomini scudocrociati e socialisti. Le indagini sono passate alla storia delle cronache giudiziarie come quelle per il possesso della Metro Goldwin Mayer tramite un finanziamento concesso dal Credit Lyonnais, il crollo del gruppo Eurogest, le tangenti alla Consob.
Indicato da Luigi Cipriani, parlamentare di Democrazia Proletaria nella X legislatura ed esponente della commissione stragi, come personaggio in odor di P2, Florio Fiorini è forse una storia passata, seppur il suo nome torni ogni tanto nelle vicende processuali di Tanzi. Ma laddove si crea il collegamento tra scalate bancarie, editoriali e del mattone, la memoria anche dei più smemorati corre subito ai meno datati “furbetti del quartierino”: una generazione di tardo yuppie che riuniva immobiliaristi, banchieri, capitani d’impresa, manager di personaggi dello spettacolo. Una generazione caciarona che, quando si sposa, anticipa – o almeno ci prova – le hollywoodiane nozze di Tom Cruise con l’attrice Katie Holmes, impalmata a Bracciano nel 2006, perché star e starlette a mano ci sono anche qui e i soldi pure.
Siamo in un paese che dall’edilizia ha saputo trarre patrimoni mirabolanti nonostante le scuole pubbliche crollano sulle teste degli allievi per una scossa tellurica, come accadde a San Giuliano di Puglia, in provincia di Campobasso, nel 2002, o semplicemente perché i soffitti sono fatti male (si ricordi il recente episodio al liceo Darwin di Rivoli che ha causato la morte di Vito Scafidi, 17 anni), per non parlare poi dei livelli di sicurezza dei cantieri che provocano morti ipocritamente definite bianche. Però da questo settore arrivano uomini dalle fortune economiche sorprendenti, persone che parlano di sé come di re Mida contemporanei quando rievocano la liquidazione della mamma trasformata in un impero del mattone. Vestono alla moda, guidano solo auto potenti e fanno vacanze in cui preferibilmente si indossano scarpe da vela, ma parlano un gergo imbastito di metafore oscene e poco si preoccupano – o forse neanche ci pensano – che esistono le intercettazioni legalmente richieste da magistrati incuriositi da movimenti finanziari così imponenti.
A un certo punto è inevitabile che saltino fuori le inchieste sulle scalate a Banca Nazionale del Lavoro, Antonveneta e Rcs che travolgono anche l’allora governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, e che sembrano far ventilare il coinvolgimento dei vertici dei Democratici di Sinistra via Unipol, la quale fa piazza pulita a casa propria liquidando il suo presidente, Giovanni Consorte, nel frattempo sospettato di diversi reati finanziari. I furbetti del quartierino, intanto finiti in galera, fanno fatica ad abituarsi al regime carcerario e c’è chi non ce la fa e riesce a ottenere ricoveri in clinica, chi spunta i domiciliari, chi tenta la fuga e chi alla fine patteggia. Ma, si diceva, quando si parla di banche, grandi imprese e controllo dei media, non è un esercizio difficile tornare alla memoria ai tempi della P2.
Innanzitutto a Roberto Calvi e al Banco Ambrosiano. Se nel giugno 2008 il pubblico ministero Luca Tescaroli ha chiesto l’archiviazione del procedimento a carico dell’ex venerabile Gelli, indagato per l’omicidio del banchiere milanese, avvenuto a Londra sotto il ponte dei Frati Neri il 17 giugno 1982, altri fatti restano a seminare coincidenze. L’istituto finanziario di Calvi fu, si sa, strumento più o meno consapevole di vastissime operazioni a perdere e, dopo essere stato messo in liquidazione, un gruppo di banche pubbliche (Bnl, Imi, Istituto San Paolo di Torino) e private (Banca Popolare di Milano, Banca San Paolo di Brescia, Credito Emiliano e Credito Romagnolo) diede vita al Nuovo Banco Ambrosiano. A cui diede l’assalto a fine anni Ottanta, per esempio, il già citato Florio Fiorini durante una complessa manovra di acquisizioni, giri di crediti e pignoramento di capitali.
Rcs, poi, che significa proprietà del Corriere della Sera. Quotidiano blasonato al punto da essere stato oggetto delle incursioni informatiche partite da Telecom, è sempre stato un boccone appetitoso per gli avventurieri della politica e della finanza italiana. Ne sa qualcosa la famiglia Rizzoli, e in particolare Angelo, che nel 1974 accettò un finanziamento proposto da Eugenio Cefis, ma finì in un capestro debitorio e cercò salvezza presso altri lidi bussando nel 1977 alla porta di Licio Gelli. A quel punto arrivò via Ior (Istituto per le Opere di Religione) nuova liquidità, ma il cappio si strinse: sostituito Pietro Ottone alla direzione del quotidiano di via Solferino con un giornalista piduista e piazzati altri uomini di fede gelliana in ruoli chiave, Angelo Rizzoli perse il controllo dell’azienda di famiglia, scivolò in una crisi che i giornali d’inizio anni Ottanta fecero coincidere con l’abbandono della moglie, l’attrice Eleonora Giorgi, e finì in carcere. Insomma, pagò per tutti.
Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell’operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l’etereogenità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unità.
(Piano di rinascita democratica, obiettivi, articolo 3, comma 1)
Se è vero che il 1981 è il primo di una serie di anni orribili per Gelli e per la sua cricca, è altrettanto vero che proprio in quel periodo stava sbocciando colui che il venerabile nell’ottobre 2008 ha definito “l’unico che può andare avanti” dopo di lui: Silvio Berlusconi. Siamo nei giorni in cui esplode il caso di “Venerabile Italia” su Odeon tv e di Gelli nei panni dell’opinionista storico: l’attuale presidente di Forza Italia (tessera P2 numero 1816 e fascicolo 0625) e dei vari circoli e club che nel corso di un quindicennio sono nati a latere del partito, ne ha fatta di strada dai tempi in cui – racconta il giornalista Mario Guarino – era un giovane finanziere milanese dalla battuta pronta che si presterebbe a un’operazione di matrice gelliana: lo spaccamento del Movimento sociale italiano che porta il 21 dicembre 1976 all’uscita di diciassette deputati e otto senatori – la maggioranza dei rappresentanti del partito in parlamento – che poi daranno vita a una nuova formazione dai toni più moderati, Democrazia Nazionale, colata però a picco subito dopo le elezioni politiche del 1979. L’operazione la racconta alla commissione parlamentare sulla P2 Altero Matteoli, allora missino e oggi ministro dei trasporti e sindaco di Orbetello: le attribuisce matrice “piduista [che] trovò i soldi del finanziamento pubblico dei partiti”, ma glissa sul fatto che nella seconda metà degli anni Settanta proprio il partito di Giorgio Almirante voleva porre freno in Lombardia allo zelo edilizio della Edilnord, bisognevole di concessioni per costruire.
Nei confronti del mondo politico occorre […]:
- a) selezionare gli uomini – anzitutto – ai quali può essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva parte politica […];
- b) in secondo luogo valutare se le attuali formazioni politiche sono in grado di avere ancora la necessaria credibilità esterna per ridiventare validi strumenti di azione politica;
- c) in caso di risposta affermativa, affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti – con i dovuti controlli – a permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti;
- d) in caso di risposta negativa usare gli strumenti finanziari stessi per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno, sulla sinistra […] e l’altro sulla destra […]. Tali movimenti dovrebbero essere fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile in proporzione reciproca da 1 a 3 ove i primi rappresentino l’anello di congiunzione con le attuali parti ed i secondi quello di collegamento con il mondo reale.
(Piano di rinascita democratica, procedimenti, articolo 1)
C’è da dire che l’asse Berlusconi-destra postfascista ha portato bene al cavaliere di Arcore. Malgrado le ire di Jean Marie Le Pen, presidente del Fronte Nazionale francese, che biasimava già nel 1989 Gianfranco Fini per la sua vicinanza all’ex imprenditore socialista e futuro leader di Forza Italia, l’asse con gli eredi meno radicali di Almirante si ufficializzerà alla vigilia del congresso di Fiuggi (gennaio 1995) in cui, da costituente, Alleanza Nazionale diventa partito vero e proprio. Insieme, Forza Italia e An andranno a Palazzo Chigi più volte: dal 10 maggio 1994 al 17 gennaio 1995 (primo governo Berlusconi), dall’11 giugno 2001 al 23 aprile 2005 (secondo governo Berlusconi), dal 23 aprile 2005 al 17 maggio 2006 (terzo governo Berlusconi) e dall’8 maggio 2008 a tutt’oggi, dopo le elezioni del 13 e 14 aprile 2008.
Intanto, sulla sinistra accade qualcosa di analogo: liquidato nel febbraio del 1991 il partito comunista durante la segreteria di Achille Occhetto, inizia un progressivo avvicinamento di formazioni che un po’ alla volta porterà a uno schieramento da cui verranno escluse le realtà più ortodosse.
(Segue)
I post precedenti:
Il programma di Licio Gelli – Una profezia avverata
Collana Polifonia, Socialmente, 2009
ISBN 978-88-95265-21-6
Ciao, interessante questo vostro lavoro.
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Grazie.