Dal delitto del Circeo sono trascorsi quasi trentacinque anni: il sequestro di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, le torture, le violenze sessuali, la morte della prima ragazza e il ritrovamento della seconda gravemente ferita si susseguirono tra il 29 e il 30 settembre 1975. Eppure “in Italia le violenze subite dalle donne non vengono denunciate nella quasi totalità dei casi (Istat, 2007)”. Si chiude con questa frase la ricostruzione a fumetti dei crimini per cui sono stati condannati Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira (latitante da sempre). Il libro si intitola Il massacro del Circeo, è stato sceneggiato da Leonardo Valenti, illustrato da Fabiano Ambu e inserito nella collana “Cronaca Nera” di BeccoGiallo, editore padovano che già da qualche anno propone la rievocazione di fatti di sangue sotto forma di strisce (in precedenza lo aveva fatto con casi come Unabomber, i delitti di Alleghe, l’omicidio Pasolini, la vicenza di Rina Fort o la storia di Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio).
L’autunno in cui avvengono i fatti raccontati in questo libro è di un anno particolare. Nel 1975, Rosaria Lopez diventa maggiorenne a diciotto anni in forza di una legge approvata in marzo e, se sullo sfondo gli anni di piombo si fanno sempre più cupi, soffermiamoci per un po’ su un’ottica più privata (ma non meno politica): in quel periodo, infatti, una riforma del diritto di famiglia conferisce pari stessa dignità ai coniugi che, se genitori, condividono la patria potestà sui figli i quali, a loro volta, non verranno più distinti tra legittimi e illegittimi, se nati fuori dal matrimonio. In quel periodo le conquiste femminili hanno il sapore di una stagione di rinnovamento: vengono creati i consultori, liberalizzati i contraccettivi, si parla di legge per le pari opportunità, di centri antiviolenza e nel 1978 arriva la norma che rende legale l’aborto. Tutto questo in forza di un femminismo che fin nel decennio precedente il movimento delle donne aveva reso in termini di rivoluzione culturale.
Eppure il dramma di Rosaria Lopez e Donatella Colasanti strappa queste due ragazze all’ondata di rinnovamento che percorre la penisola e le inchioda in un mondo che ancora non è stato lambito da quell’atmosfera. O non ha voluto farsi lambire. È la storia anche di una terza ragazza, Nadia, che però esce subito di scena e non finirà nella villa del Circeo. La storia di ragazzine della piena periferia romana che vogliono sfuggire al grigiore dei casermoni, alle famiglie di estrazione proletaria da cui usciranno stanche, ignoranti e schiavizzate per vivere un identico futuro in altre famiglie proletarie. È la storia di un sogno, di un matrimonio con un buon partito, che le impalmi e le trasformi da infelici in “signore”. E proprio per questo non fiutano il pericolo, quando vengono rimorchiate da tre giovanotti di un quartiere bene. Hanno l’automobile, quei giovanotti, occhiali da sole e bei vestiti. E la brama di una vita migliore emerge nitida nei dialoghi riportati dagli autori. Come per esempio questi, tra Nadia e Donatella:
– Non avrai esagerato a dargli il numedo di telefono?
– Ma dai, che so’ ragazzi a posto, questi dei Parioli, lo sai. Anzi, ‘sento’ che se ci usciamo ci divertiamo.
Nadia a questo punto sgattaiola via e il suo posto sarà preso da Rosaria, incontrata casualmente da Donatella. La quale prosegue ammaliata nei preparativi e dice alla madre invalida alla vigilia dell’appuntamento: “Mamma? Domani vado a una festa con degli amici. Ma sta’ tranquilla. So’ tutti ragazzi dei Parioli… Brava gente”.
A fare da contraltare alle velleità di ascesa sociale delle ragazze ci sono quei giovani alto borghesi, fascisti d’ideologia e maschilisti d’indole. Che usano la sopraffazione e il sesso violento come valvola di sfogo per altre frustrazioni. Nel caso di Angelo Izzo, diranno le perizie e i suoi incubi lisergici, quelle determinate da un iposviluppo anatomico e da nevrosi maniaco-depressive. La brutalità, alla luce di ciò, trova piena giustificazione per i massacratori del Circeo: quando si consuma un rapporto, la donna sta in ginocchio o prona, la penetrazione non è mai frontale. E il disprezzo per quel corpo prima desiderato oltre ogni limite penale diventa urgenza, vuoto a perdere, una volta che è stata schiumata fuori la propria voracità. Tanto che gli aguzzini ne provano diverse per uccidere le ragazze. Quando Rosaria sarà morta, affogata nella vasca da bagno, il commento si ridurrà a “quanto cazzo c’ha messo questa a morire? Guarda, m’ha pure graffiato il braccio…” mentre Donatella, che insiste non solo a respirare ma anche a difendersi, a un certo punto capisce che l’unica arma che le è rimasta è la finzione. Ma non la finzione dell’orgasmo, a lei non è richiesta nemmeno questa, solo la finzione della morte, accolta dal terzetto con un “finalmente” perché c’è chi “devo tornare a casa,cazzo. Devo tornare a casa o mio padre mi ammazza!” e chi invece “vado a mangiare. C’ho troppa fame”.
A sentenza definitiva per l’omicidio di Rosaria Lopez e per il tentato omicidio di Donatella Colasanti, Angelo Izzo e Andrea Ghira dovranno scontare il carcere a vita. Di fatto nel 2005 Izzo è fuori in regime di semilibertà e uccide ancora: le vittime sono Maria Carmela Limucciano e la giovanissima Valentina, moglie e figlia dell’ex boss Giovanni Maiorano che con il neofascista romano condivideva la cella (le analogie tra i due delitti saranno molteplici; la differenza starà nella caratura dei complici, gente senza sangue freddo gli ultimi, avrà modo di dire Izzo davanti alle telecamere di “Un giorno in pretura”). Ghira invece, una volta fuggito, non ricomparirà più fino al 2005 quando assumerà le sembianze del cadavere di un uomo morto nel 1994 sotto falso nome. Il DNA dirà che è proprio lui, ma la donna sopravvissuta al massacro del Circeo continuerà a sostenere fino alla vigilia della sua morte, il 30 dicembre 2005, di non crederci. Gianni Guido, invece, di anni se ne prenderà trenta, evaderà riparando in America Latina e, inviduato, sparirà di nuovo.
Intanto quello per il massacro del Circeo sarà diventato un processo simbolo: se la legge che trasforma lo stupro in delitto contro la libertà personale è solo del 1996 (prima era contro la moralità pubblica e il buon costume), nel 1979 le udienze vengono per la prima volta trasmesse dalla Rai rimuovendo qualsiasi filtro alla crudezza della violenza sessuale. Poi la difesa di Colasanti, assunta da Tina Lagostena Bassi, sarà un ulteriore – e importante – tassello nel percorso di lotta a favore delle donne. Ma, all’ultima pagina del libro a fumetti, si inciampa in quella frase, la citazione dal rapporto Istat 2007. Un monito che riafferma, se mai ce ne fosse bisogno, che i concetti legati al corpo e alla considerazione della donna – sguattera, puttana o ferro vecchio – non si sono evoluti. Almeno non più di tanto e non per tutti.
(Questa recensione è stata pubblicata su ManiArmate, il blog criminale del Manifesto a cura di Iaia Vantaggiato.)
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