Questa sera, su RaiTre, è andato in onda per La Storia Siamo Noi uno speciale, il Dossier 1977, tra drammi e speranze. Terrorismo e nuove forme di comunicazione:
È un anno profondamente contraddittorio, il 1977, contrassegnato da un lato, sul piano ideologico-politico, dall’escalation della violenza terroristica col suo strascico di morte, dall’altro dal proliferare di iniziative costruttive, tra cui le cosidette Radio libere e l’esperimento dell’Estate Romana. Molti avvenimenti portano la data di quell’anno; si pensi solo all’arresto di Renato Vallanzasca, per tutti “il bel René”.
Un bel ritratto di quell’anno, che finiva tre decadi fa, durante il quale la fantasia che doveva soffocare il potere aveva trasformato i muri di accademie e città in opere d’arte e pezzi di letteratura, si approfondiva la presa di coscienza delle donne, si auspicava a un mondo differente provandoci davvero. La trasmissione si chiude con la frase, forse profetica, secondo cui “di tutto ciò che ha caratterizzato quest’anno, resterà solo il ricordo della violenza”. E probabilmente, più di altri messaggi, quello del terrorismo e dei suoi morti è l’immagine che più persistente ha attraversato i decenni.
Per me il ricordo del ’77 non è la violenza.
E’ la faccia stranita di un tredicenne che inizia il liceo scientifico statale a Napoli, dopo aver dovuto rinunciare a quello artistico (per la madre era un luogo troppo “alternativo”, alieno, per uno dei suoi tre principi…)
E’ la faccia di quello stesso tredicenne che legge “Punto Rosso”, il giornale della sinistra extraparlamentare che veniva distribuito nel bar della scuola insieme ai cornetti e ai cappuccini che, per un breve momento, mettevano fine alle dispute politiche.
E’ la scoperta che anche il “privato” era pubblico, cioè politico.
E’ il volto della ragazza con gli occhi verdissimi, incontrata al corso pomeridiano di scacchi, preferito al cineforum e alla visione di “Sbatti il mostro in prima pagina” di Bellocchio con Gian Maria Volontè. Una ragazza mai dimenticata, neanche dopo che si era messa con il mio migliore amico…
Tutto questo è stato, ed è ancora per me, il ’77.
Ancora non sapevo nulla di trame eversive, di Kossiga, delle Brigate Rosse, della strategia della tensione, degli indiani metropolitani, della fantasia al potere.
L’avrei scoperto dopo, negli anni, con la consapevolezza d’essere stato un piccolo granello di sabbia in un meccanismo molto più grande.
E sarebbero venuti i rimpianti, i ricordi, le lacrime, esorcizzati con un sorriso nel momento esatto in cui partiva una canzone, un piccolo brano ascoltato con indifferenza quando si hanno tredici anni e con reverenza quando se ne hanno quarantatre e le note ti riportano a ciò che facevi nel ’77…
Mario Uccella
Intanto auguro a tutti un prospero e sereno 2008.
Purtroppo attendevo questo documentario e devo dire che la delusione è stata pari all’attesa.
Lodevole la raccolta dei materiali d’epoca originali (alcuni già visti e rivisti), ma oltre ad un buon lavoro di ricerca d’immagini purtroppo non si va, per me.
Il commento fuori campo e le letture sul leggio mi sono sembrate assolutamente di circostanza e molto superficiali.
Certo, condensare in un ora un fenomeno complesso e contraddittorio come il “movimento del ’77” era praticamente impossibile ma il risultato lascia molto a desiderare.
Provate a pensare se qualcuno che quegli anni non ha vissuto avesse visto il documentario, che vantaggio avrebbe potuto averne al di là di una vaga idea molto estetizzante dei protagonisti?
Dei capelli lunghi, delle borse di tolfa e dei giacconi militari o di velluto che presero il posto degli eskimo del 68?
Per non parlare dell’argomento lotta armata, appena sfiorato e buttato lì senza un perchè.
Come dire?
Sarebbe stato un buon inizio di una serie di puntate dedicate all’argomento.
Così rimane troppo isolato.