Il libro Piazza Fontana – 12 dicembre 1969: il giorno dell’innocenza perduta di Giorgio Boatti esce per la seconda volta, come nuova edizione, nel 1999. Editore: Einaudi. Ma non era una novità editoriale: sei anni prima era stato pubblicato da Feltrinelli, ma l’autore, malgrado la certosina ricostruzione basata su deposizioni, atti, rassegne stampa e verbali, se la vide brutta quando Massimiliano Fachini lo querelò. Boatti ne uscì senza alcuna conseguenza giudiziaria anni dopo perché non venne ravvisato alcun elemento che danneggiasse il neofascista appartenuto alla cellula eversiva padovana sospettata di essere coinvolta nell’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Da sottolineare che lo scrittore, quando il libro di Feltrinelli finì nei guai, venne lasciato da solo ad affrontare la furia di Ventura: si diede di fumo il suo editore e così molte delle persone su cui Boatti poteva contare. A eccezione dell’ex commissario Pasquale Iuliano, che nel 1969 era a capo della squadra mobile della questura di Padova e che mesi prima dell’esplosione milanese aveva avviato indagini contro gli eversori veneti. Personaggio quasi dimenticato in questa vicenda, Iuliano ebbe però la carriera distrutta a causa della sua indagine: accusato di aver costruito le bombe ritrovare in possesso dei neofascisti, fu prima trasferito e frattanto gli piombò addosso la sua dose di guai giudiziari. Guai che durarono dieci anni: tanti ce ne vollero infatti per proscioglierlo dai sospetti e riabilitarne la figura. Iuliano, però, aveva intanto lasciato la polizia ed era tornato nella sua città natale, Matera, mettendosi a fare l’avvocato.
Tornando al libro di Boatti, è un testo che aiuta a capire dinamiche politiche e terroristiche che la strage di piazza Fontana inaugurò. Molte le linee di lettura che fornisce: le indagini stroncate e quelle esaltate; la fallace pista anarchica battezzata fin da subito come quella privilegiata (Pietro Valpreda, colui che i giornali – con poche eccezioni – definirono sbrigativamente il «mostro di piazza Fontana», accusato di aver portato l’ordigno di banca, sarà assolto definitivamente solo nel 1989); gli informatori, gli informati e i servizi; le riunioni politiche ammesse e negate per coprire agenti zeta; i vertici del SID che dicono, ritrattano, negano, scaricano e pagano anche a nome dei loro referenti politici. Tutto questo è molto altro per confondere, per non raccontare, per distrarre e per tirare avanti una vicenda processuale che arriva a lambire il quarantesimo anniversario.
Scrive efficacemente in proposito Boatti:
Un’operazione terroristica come quella di Piazza Fontana è […] un’impresa militare complessa (di una guerra di certo non regolare, ma sommersa e non ortodossa). È un’azione che può fallire per un contrattempo di pochi minuti. Un disguido trascurabile sarebbe sufficiente non solo a impedirne la realizzazione ma anche a consentire agli investigatori (se appartengono alla specie di quelli che davvero vogliono investigare) di ripercorrere all’indietro tutta la catena organizzativa che ha predisposto l’attentato. Senza scordare che ogni imprevisto potrebbe mettere direttamente in pericolo la vita di chi sta portando la morte a destinazione […].
Così sono state certamente ben rodate all’interno della cellula terroristica quelle che, separatamente, vanno a dirigersi verso gli obiettivi assegnati. Pensare che un’organizzazione così complessa possa essere stata attivata – come qualcuno ha sostenuto – per far scoppiare ordigni in banche ormai vuote […] è del tutto improbabile.
Eppure questa tesi – insostenibile – viene riproposta più volte. Utilizzata per cancellare le domande che si sono poste nelle pagine che precedono. O per mescolare, in uno scenario confuso e affastellato, vecchie soffiate depistanti insieme a ricostruzioni dovute, paradossalmente, a inchieste «segrete» che vedono proprio i protagonisti di false verità e di vecchie bugie.
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