L’accusa del sangue: i miti e l’assenza di riscontri

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L'accusa del sangue di Furio JesiA proposito del libro che mi ha fatto conoscere Carlo, L’accusa del sangue. La macchina mitologica antisemita di Furio Jesi, pubblico una recensione del libro scritta e inviatami da Claudio Vercelli. Recensione che sarà a breve pubblicata sulla rivista L’indice dei libri del mese.

Furio Jesi, L’accusa del sangue. La macchina mitologica antisemita, con una introduzione di David Bidussa, ed. orig. Morcelliana, Brescia 1993, ristampa a cura di Bollati Boringhieri, Torino 2007, pp. XL + 62, euro 8,00 Isbn 9788833918006

Bene ha fatto la casa editrice Bollati Boringhieri a ristampare il prezioso, nonché oramai introvabile, volumetto su L’accusa del sangue. Originariamente il testo, un vero e proprio strumento di lettura sistematica, smontaggio analitico e rimontaggio critico di quella che è stata definita la “macchina mitologica antisemita”, era uscito per le pagine della rivista «Comunità». Si trattava del lontano 1973. Un giovanissimo Jesi consegnava così al lettore italiano un potente strumento di lavoro – poiché il saggio si presenta con questa natura aperta, programmaticamente laboratoriale – su un tema, quello del delitto rituale, capace di congiungere potere, identità collettive e comunicazione sociale. Una sorta di intreccio o, se si preferisce, di viluppo inestricabile, fondato sulla razionalizzazione del visibile attraverso il ricorso all’invisibile come chiave esplicativa della complessità sociale. Jesi ne indaga quindi la qualità mitopoietica, ovvero il suo essere agente di mito prima ancora che mito esso stesso, capace di riprodursi nel tempo non malgrado ma in virtù dell’assenza di riscontri. Una prova non tanto di controfattualità quanto di iperfattualità, basata, ovviamente, sulla traslazione della realtà in una dimensione di lucido onirismo. Fondamentale, per la comprensione del lavoro di Jesi, la corposa introduzione di David Bidussa che, di fatto, ha ripreso in mano la lezione dell’autore proseguendola in tempi a noi più prossimi. Ci sia infine permessa una considerazione affettuosa, ricordando l’opera di un uomo scomparso oramai più di venticinque anni fa, nel pieno della sua vivacissima produzione intellettuale e che, se fosse ancora in vita, ci avrebbe consegnato fior fiore di riflessioni.

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