Viene ricordato come un delitto machista, consumato nelle più anonime retrovie della destra sanbabilina degli Anni Settanta. È il girone dei menefreghisti, popolato da quelli che non spiccano nella lotta politica in piena esplosione per le vie del centro di Milano, e i protagonisti di questa vicenda se ne fregano discretamente di quel che accade. E, quasi ne fosse una conseguenza, la fine di Olga Julia Calzoni, uccisa a sedici anni da due amici che volevano simulare un sequestro a scopo di estersione, è un crimine nei fatti senza movente, perpetrato per dimostrare forza, superiorità, messa in scacco di chiunque sia più debole. Come del resto accade ancora oggi quando, senza arrivare all’estremo dell’omicidio, il bullismo torna d’attualità sui giornali senza essere mai scomparso dai corridoi delle scuole o dai rapporti di forza che si instaurano nelle compagnie di giovani che si muovono in gruppo. Occultato, semmai, dai silenzi di chi ha paura, dalla prepotenza di chi impone la sua legge e dalla complicità di chi guarda da un’altra parte. E tornato a far parlare di sé solo perché casualmente finito sotto l’occhio di tutti.
Il movente per la morte della ragazza milanese, si diceva, non è dunque il denaro che tutto sommato gira. Né una vendetta nata da una passione tradita. È solo una spranga che si abbatte sulla testa di un’adolescente. È una rivoltella che fa sentire grandi e che spara per finire in fretta quello che un pestaggio non ha saputo concludere. È prevaricazione, manifestazione estrema di giovani che pensavano a se stessi come a superuomini e che hanno tentato di porsi al di sopra dei sospetti, degli inquirenti, della famiglia. La propria e quella della loro vittima.
Usciamo tutti e tre, c’è anche Giorgio
Olga Julia Calzoni è solo Julia per chi la conosce. Nell’ottobre 1976 compirà diciassette anni ed è una ragazzona con il suo metro e 70 di altezza per 70 chili. Frequenta il liceo scientifico Alessandro Volta di via Benedetto Marcello e di lei tutti dicono che sembra una giovane uscita dalla generazione precedente: timida, tranquilla, obbediente nei confronti dei genitori, innamorata di Giorgio Invernizzi, così diverso da lei. Lui che, chissà perché, per un po’ c’è stato, ma poi l’ha mollata e agli amici la descrive come una rompiballe. Julia però non si rassegna, magari Giorgio tornerà da lei prima o poi e quando quello che considera uno dei suoi più cari amici, Fabrizio Demichelis, le propone di uscire aggiungendo che ci sarà anche lui, lei accetta senza esitazioni.
L’appuntamento è fissato per il 26 marzo 1976. È entusiasta, Julia, deve aver immaginato che quel sospirato riavvicinamento fosse ormai prossimo e non riesce a trattenersi. La confidente naturale è sua madre a cui non tiene nascosto nulla e le chiede aiuto per prepararsi. Si fa la messa in piega e domanda in prestito un vestito da donna adulta, scarpe in tono e qualche gioiello. Poi indossa anche un anellino che le piace tanto. E quando è pronta esce contenta: l’occasione si annuncia carica di promesse e per non creare malumori ha accettato di partecipare a una specie di scherzo architettato dai due ragazzi. Dopodiché si farà un giro. Infine, forse, resterà da sola con Giorgio e la loro storia potrebbe riprendere da dove si era interrotta.
Quando è per strada, Giorgio e Fabrizio non devono averla salutata con un sorriso. Due che vanno in giro con una 6.35 e una 7.65 infilata nella cintura delle braghe non sorridono. Al massimo accompagnano le parole protendendo il mento, come a far sentire perennemente in difetto l’interlocutore.
«Tutto come d’accordo?» le avranno invece chiesto.
«Sì», dice Julia.
«Ne hai parlato con qualcuno?»
«Certo che no».
«Lo sai che se hai aperto bocca, il piano salta».
«Vi ho già detto di no, tranquilli».
E invece la madre di Julia sa che la figlia incontrerà proprio quei due. Ma non sa di quello che alla ragazza è stato presentato come lo “scherzo”, un'”innocua” bravata: Julia dovrà fingere di essere stata sequestrata e a questo scopo incide su un nastro una richiesta di aiuto che dovrà essere recapitata alla famiglia. Un miliardo e duecento milioni di lire, la richiesta iniziale di riscatto, che scenderà a 400 milioni, cifra che la famiglia Calzoni sembra potersi permettere.
Come in un film di Caiano
«Dai, mica glielo mandiamo davvero ai tuoi», devono averla rassicurata. «Ci mancherebbe altro, con tutto quello che succede in questo periodo».
E a Julia magari è sembrato di essere come dentro un film di Mario Caiano alla “Milano Violenta”, con i boss della mala lombarda che però nella realtà non sono gangster, ma sono amici suoi. Persone di cui non aver paura nemmeno quando le propongono un giro in macchina e prendono la strada dell’Idroscalo.
Posto strano, l’Idroscalo, per un’uscita tra amici, in quegli anni frequentato da chi voleva nascondersi da mogli a cui non far sapere un adulterio, dove trovare dosi di eroina o trafficare in attività ambigue. Chissà se Julia ci ha riflettuto mentre si stavano avvicinando al parco e se è stato solo istinto di sopravvivenza a farla schizzare fuori dalla vettura dopo essere stata raggiunta dalla prima sprangata alla testa. Chissà se si era già ricreduta sui suoi amici mentre questi la inseguivano giù dalla macchina per colpirla per la seconda volta. Lei a questo punto è caduta in ginocchio e mentre si portava le mani sulla testa per proteggersi non deve aver più avuto dubbi.
«Ma siete impazziti? Noi siamo amici».
In risposta è arrivato il terzo colpo di spranga. Tanto violento da spezzarle le dita e provocare un solco nel cranio con l’anellino che aveva messo poco prima, mentre la madre la aiutava a prepararsi per il suo appuntamento. Nemmeno a questo punto Julia è completamente fuori combattimento: è stordita, quello sì, ma non perde conoscenza, non si accascia del tutto. E allora i suoi aguzzini estraggono le pistole nascoste sotto i vestiti e sparano per finirla con diversi proiettili esplosi senza dire una parola. Alla fine la lasciano lì, su un prato di quello che ai tempi era un posto malfamato. Quando la ritroveranno, il suo aspetto sarà talmente alterato dal pestaggio che verrà scambiata per una donna tra i 30 e i 35 anni.
Il miraggio del delitto perfetto
Finché si lavora di fantasia, il delitto perfetto riesce sempre. Secondo i piani di Giorgio Invernizzi e Fabrizio Demichelis, il corpo di Julia avrebbe dovuto essere zavorrato con due blocchi di cemento e fatto sparire nel Ticino. Intanto loro sarebbero andati avanti con la pantomima del rapimento a scopo di estorsione per vedere se quella montagna di soldi sarebbero davvero stati in grado di scucirla alla famiglia Calzoni. Sapevano anche che c’erano buone probabilità di essere smascherati dagli investigatori, ma avevano pensato a una soluzione anche in quel caso. Se fosse loro andata male, sarebbe andato in scena un altro spettacolino: quello dei ragazzi di buona famiglia che avevano giocato, ma qualcosa era andato storto e Julia era morta accidentalmente. Così, presi dal panico, avevano fatto sparire il cadavere. Ma non avevano intenzione di farle male e poi sono fatti che possono accadere, come era successo meno di un anno prima a Cristina Mazzotti. Mica si vorrà comminare l’ergastolo a causa di un incidente, di una fatalità?
Nel piano originale, Julia inoltre non sarebbe dovuta morire a causa delle botte e dei colpi di pistola. Nella testa dei due ragazzi, la giovane a casa non ci sarebbe mai tornata, ma volevano impedire – per quanto possibile – che la causa del suo decesso fosse inderogabilmente attribuibile alle loro azioni. Così si erano informati e avevano deciso che, quando sarebbe venuto il momento di liberarsi di lei, le avrebbero iniettato una bolla d’aria in vena. Avevano sentito in giro – dissero durante le deposizioni – che non se ne sarebbe trovato traccia durante l’autopsia.
In qualsiasi modo dovesse andare, tuttavia, è una storia che non ha né capo né coda. Gli imputati non spiegano per quale motivo Julia faccia la fine che ha fatto e l’omicidio è tutt’altro che un “delitto perfetto” scoperto per un colpo di fortuna. Nulla a che vedere con quello che venne definito dai giornati dell’epoca il delitto del secolo, commesso a Chicago nel 1924 da due giovanotti di buona famiglia, Nathan Freudenthal Leopold Junior e Richard A. Loeb, così simile nelle motivazioni (noia, esaltazione del proprio ego, sfida alle forze dell’ordine) e nella dinamica (il rapimento di un quattordicenne amico di famiglia a scopo di estorsione ed eliminazione immediata dell’ostaggio). Ma molto più accurato nella sua attuazione, con tanto di creazione di identità fittizie, conti bancari intestati a personaggi inesistenti, costruzione di una rete di alibi che di ferro avrebbe anche potuto essere.
In quel caso, tuttavia, a tradire i due assassini fu un paio di occhiali ritrovato sul luogo dove venne rivenuto il corpo della vittima, Bobby Franks. Di lì iniziò una serie di verifiche che permise di risalire al proprietario, Leopold. Eppure anche a Chicago i due colpevoli si diedero da fare per cercare il ragazzino scomparso. Come loro, Giorgio e Fabrizio si misero a disposizione, offrirono il proprio aiuto quando Julia non fece rientro a casa. Lì per lì, pensavano che nessuno avrebbe sospettato di chi si dava da fare per l’amica sparita nel nulla, ma non sapevano che la madre della giovane li avrebbe indicati come le ultime persone che l’avevano vista. E allora, proprio come i loro precedessori statunitensi, crollarono davanti agli inquirenti e confessarono un omicidio che di movente non ne aveva perché stupide erano le loro motivazioni.
Persone senza nomi e senza volti
Condannati entrambi all’ergastolo nel 1978, Giorgio Invernizzi e Fabrizio Demichelis sono dei bravi ragazzi solo per Julia e per chi li conosce unicamente attraverso di lei. Hanno frequentato il liceo Studium presso cui approdano dopo non essere riusciti ad andare avanti dai salesiani, al Manzoni e al Carducci. Lo Studium magari può fare al caso loro, forse sarà più facile delle altre scuole, ed è ritenuta un’istituzione adatta alla media e alta borghesia milanese. Oltrettutto gira voce che sia orientata a destra, anche se i responsabili dell’istituto smentiscono e preferiscono parlare di disciplina, di metodi didattici all’antica. E poi loro li hanno sbattuti fuori i neofascisti, gli estremisti non li vogliono. Ma poi devono comunque perquisire i ragazzi prima dell’ingresso perché non portino all’interno dell’edificio coltelli e armi d’altro genere.
Giorgio e Fabrizio a scuola vengono separati: il primo è più intelligente e pacato, ma – sospettano gli insegnanti – forse può essere la mente dietro le intemperanze del secondo, imprevedibile, indisciplinato, con tendenze violente, bocciato pure dopo essere approdato allo Studium. Anche il rendimento scolastico di Giorgio non è brillante, «non si applica» dicono di lui i docenti. Ma poco importa, entrambi hanno il proprio seguito tra diversi compagni e le famiglie, soprattutto quella di Fabrizio, sono piuttosto malleabili nei loro confronti. Anche se viene da chiedersi se malleabili sia la parola più corretta: quando i due ragazzi verranno arrestati per l’omicidio di Julia, il primo commento a caldo della signora Demichelis sarà tutto per la “figura” che la sua famiglia ci fa in quella situazione.
E poi ci sono i raduni a San Babila, motivo di orgoglio che regala loro un senso di appartenenza. Anche se poi, alla fin dei conti, ai due neanche della politica o delle ideologie reazionarie interessa nulla e allora finiscono nel marasma di chi va e chi viene, persone senza facce e senza nomi che non si distinguono dalla massa di gente che passa lì i propri pomeriggi. Tanto che quando gli inquirenti andranno a interrogare i frequentatori della piazza milanese, nessuno si ricorderà di loro. Men che meno i personaggi più riveriti delle gang destrorse di quegli anni.
Si susseguono all’infinito quantità di delitti efferati, ma per leggi non scritte nè scrivibili, solo pochissimi restano celebri e vivi nell’immaginario collettivo: quello della povera Julia no.
In ogni caso, per chi cerca materiale al riguardo, ricordo bene (per quanto adolescente) che sui settimanali e periodici illustrati dell’epoca fu abbastanza trattato: Oggi, Gente, Panorama ….. Ricordo anche della foto di uno dei due con indosso un loden.
Anche io avevo 15 anni nel ’76, e quella tragedia mi rimase nel cuore pur non conoscendo Olga Julia.
Voi dite che due vite sono state rovinate dagli ergastoli, le vite degli assassini.
Olga la vita..gliela hanno tolta proditoriamente. Non è potuta crescere, lavorare e farsi una famiglia,non ha avuto figli a cui raccontare’Quel giorno che scioccamente mi sono fidata del mio ex e a momenti ci morivo..fortuna che sono scappata’
Non potrà dire ne questo ne altro,perchè è polvere.Loro se la son cercata e ciò che ora hanno l’hanno solo meritato,checchè ne dica un avvocato.Fu un’infamia!
lui è libero e tranquillo. vive a firenze ora. lui nn ne parla e vive una vita tranquilla come tutti anche se nn la merita.
Abitavo a Peschiera Borromeo. Nei miei giri di jogging e bici mattutini mi sono imbattuto nella lapide che ricorda il posto dove Julia è stata tradita. Grazie per aver dato risposta storica a quello che successe…. anche se l’epigrafe è chiarissima. Li è ricordata semplicemente come Julia e non mancavo MAI di allungare il giro solo per dirle ciao, per salutarla, per…consolarla, all’ombra del grande albero, ma anche sempre un pò al buio delle mattine di primavera. La pulivo dalle foglie, mi portavo anche una zappetta per liberarla dagli arbusti. Mi piaceva prendermi cura di “Lei”, anche perchè mi sembrava fosse dimenticata. Vedo invece che molti si ricordano di te e che ti vogliono bene. So che tu ce ne vuoi.
Giro tanto in bicicletta e sono sempre attratto dalle epistole e piccole lapidi poste a ricordo di qualcuno; ad esempio quella di Pasquale Lombardi ucciso nel 1949 davanti alla cascina Melegnanello, poco fuori Peschiera Borromeo. Un giorno passando per il Carengione ho visto te. Grazie per aver spiegato cosa è accaduto e un abbraccio alle persone che hai amato.
vista ieri la lapide al Carengione. Mi ha incuriosita ed ho cercato stamattina nel web. Povera Julia, vittima della cattiveria e della violenza di chi riteneva “amico”. Un’anima innocente e ingenua.
Fabrizio Demichelis era il mio compagno di banco al liceo classico Manzoni, quindi credo fino all’anno prima di questa tragedia. L’episodio mi è tornato in mente perchè in questi giorni è morto il giornalista Giuliano Zincone che credo per il Corriere mi fece un’intervista sulla personalità di Fabrizio. Quell’omiicidio insensato fece scalpore, certo la cronaca nera italiana e mondiale conobbe in seguito anche episodi più sconvolgenti, ma la situazione generale di quegli anni era veramente carico di elementi lugubri e deprimenti: lo scontro fisico fra i fascisti sanbabilini e i movimenti studenteschi era quotidiano, eravamo nel pieno della stagione della “strategia della tensione”, c’era una insanabile frattura generazionale. Quella povera ragazza assassinata senza motivo e la follia di quei due ragazzi oggi troverebbe spiegazioni e analisi dotte dal punto di vista sociologico e psicologico, oggi avrebbe dato il via ad un’interminabile sequenza di puntate di “porta a porta”, all’epoca i mezzi di comunicazione era ancora alla prime armi. Quello che ricordo è che Fabrizio non aveva per nulla le caratteristiche del killer spietato, era si portato verso l’estrema destra (e io ero sulla sponda opposta) ma in classe era piuttosto un pacioccone che si divertiva a sentire di nascosto durante le lezioni “Alto Gradimento” il programma cult della radio di quegli anni. Poi andava a fumare le sigarette nei cessi, e si metteva i guanti per paura che la madre lo scoprisse annusando l’odore delle sue dita. Paradossale e illuminante su come l’educazione dei figli per certe famiglie era solo un fatto formale e superficiale.
…fabrizio a pagato con molti anni di carcere questa triste storia……adesso sta bene e credo sia giusto lasciarlo in pace con i suoi ricordi e i suoi dolori….
Mi ha telefonato una sera. Perchè gli ho scritto presso il carcere di Sollicciano, è stata una telefonata abbastanza lunga e mi è sembrato in certi momenti che avesse voglia di raccontare qual’era l’ambiente, come fu concepito il delitto, però il desiderio dell’oblio è prevalso e alla fine mi ha chiesto di essere dimenticato.
Mi ha anche detto di non sapere nulla di Giorgio.
Ho scritto una lettera presso il carcere di Ivrea ma è tornata al mittente perchè il destinatario risultava sconosciuto.
Ho quindi deciso di rispettare la volontà delle persone coinvolte e accontentarmi di quello che è stato possibile ricostruire.
Non so più niente di te ormai da anni e non so neanche se ti capiterà mai di leggere queste mie parole. Sono cambiate tante cose e avrei tante novità da raccontarti. Il tuo silenzio è stato l’eloquente frutto del tuo affetto e senso di protezione nei miei confronti. Ho preso atto delle tue scelte capendo che al momento erano irremovibili. Negli anni poi avrai valutato il peso delle presenze assenza nella tua vita e quindi penso che tutto vada per te come volevi e che io possa stare tranquilla e perché non puoi stare che bene. Infatti ho sempre pensato che, qualora non ti fossi sentito affettivamente appagato e sereno da ogni punto di vista, ti sarebbe venuto qualche dubbio e con esso la curiosità di cercarmi, per sapere di me e raccontarmi di te in quel clima di confidenza e di affetto che si ricrea in un attimo dopo una vita insieme. Tra l’altro tra noi tutto ciò non è mai venuto meno, infatti io posso ripensare a tutto, anche agli ultimi tempi con un sorriso: mai una parola che non fosse bella da te per me e da me per te. E’ stata la stanchezza, la situazione contingente, il mio atteggiamento del cavolo tra il saccente e lo scocciato, la tua incapacità ad aprirti, frenato anche dalle mie stupide intransigenze, la confusione che ti faceva vedere tutto difficile ed ingarbugliato , a partire dai miei progetti, i consigli e l’incoraggiamento di chi più o meno da sempre ha mirato a questo (ma credimi, anche ciò è scusabile per chi non ha mai neanche lontanamente immaginato l’intensità e la tenacia dei miei sentimenti e la loro purezza), in più la curiosità di approfondire qualche nuova esperienza. E ti è montata la voglia di rivalsa verso di me, verso quel mio modo di volere sapere tutto a tutti i costi, e hai preso la tua decisione. Non hai tenuto conto del fatto che potevo dire parole ed avere atteggiamenti infelici, ma ero io, che per te mi battevo ogni giorno della mia vita animata solo dal desiderio di costruire un futuro di serenità per noi, e soprattutto del fatto che non c’era niente, proprio niente che non avrei fatto per te. Più o meno da sempre. Io penso che tutto ciò tu lo abbia sempre saputo ma non volevi vederlo, perché ormai avevi deciso, forte di queste ragioni, di tante aspettative e di tanta forza di volontà. Ma ti è costato tanto e io lo capivo dalle parole, le attenzioni, i goffi tentativi di nascondermi le cose per non farmi soffrire, il tuo sgomento davanti al mio dolore che io cercavo di sminuire, di negare, persino di non piangere per non farti stare ancora peggio. Solo io posso sapere quanto ti è costato perché sei sempre stato oltre che sensibile, anche troppo acuto e intelligente e ti sei trovato a dovere negare l’evidenza dei sentimenti, più o meno da ogni lato ed angolazione. Io non ribattevo mai. Penso sia stata una delle prove più dure della tua vita. Ma io confido nel Signore, al quale affido con fiducia le mie preghiere e penso che la verità dei sentimenti, presto o tardi, nel tempo da Lui stabilito, debba comunque venire fuori nel bene e nel male, ma penso anche che quando ciò avverrà certo tu non ne rimarrai sorpreso neanche un po’ perchè tu la verità l’hai sempre saputa. Quando a me, i progetti che avevo per noi si sono avverati, ironia della sorte dopo che te ne sei andato. E’ iniziato con l’acquisto di questa casa a un prezzo molto vantaggioso, poi la vendita dei tre garage di pertinenza che ne erano distaccati e, con il ricavato, neanche due mesi fa, ho concluso l’acquisto, a prezzo di vero affare, di un monolocale, molto carino in un bel contesto, con grande piscina condominiale, non so ancora se lo rivenderò o l’affitterò in estate. L’appartamento del piano di sotto è grande e molto bello e l’ho già affittato tutta l’estate. Non mi posso lamentare. Vorrei solo che tu non ti accontentassi mai di poco, negli affetti come nella vita, perché tu avevi tutto e allora, se qualcosa fosse diverso da come ti aspettavi non prenderla come dato di fatto, nel caso, riavvolgi il nastro e rivedi bene le cose , cosa hai dato in cambio di cosa, sii indulgente con te stesso se ti sei chiesto troppo e se forse hai sbagliato qualcosa. E, se ti va, cercami per fare due parole, anche sul cellulare, che sono sempre in giro. Se poi hai bisogno di staccare un po’, di startene qualche giorno in santa pace non hai che da dirmelo e venire qui quando vuoi, anche nella nuova casa per conto tuo. Non sai che dono grande faresti a mamma che non ha smesso un attimo di volerti bene. Io, come vedi, ho capito tante cose, altre le ho sdrammatizzate, e soprattutto non ho mai smesso di cercare di capire te. Se invece ti ho solo ricordato cose ormai da te archiviate, perché nella tua vita hai realizzato tutto quello che volevi da ogni punto di vista, va bene lo stesso, ti auguro comunque ogni bene e tu fai come se questo messaggio non lo avessi mai letto. Semplicemente.