Centoundici colpi: risposte mancanti a distanza di 18 anni

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Immagine di Pensiero rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 2.0«Sarei molto contento se questa vicenda volgesse al termine, con le risposte, che Noi tutti abbiamo tanto a cuore, per quale motivo o per Chi, sono morte tutte queste persone». È un commento che Marco Conte, sul blog Fronte della Comunicazione, ha lasciato al post 111 colpi in Romagna, una storia quasi dimenticata. Ed è un lettore particolare perché è il nipote di Luigi Chianese, il comandante della stazione dei carabinieri di Bagnara di Romagna ucciso insieme ai colleghi all’interno della loro caserma il 16 novembre 1988. Dunque, malgrado ciò che hanno risposto le istituzioni in merito a questo gravissimo episodio, sta di fatto che quelle risposte non hanno soddisfatto almeno alcuni dei parenti dei carabinieri trucidati. Parenti che, a quasi diciotti anni esatti di distanza da quei fatti, attendono ancora che venga fornita loro una spiegazione plausibile.

Tornando poi alla ricostruzione dei fatti, a parlare dei carabinieri di Bagnara di Romagna ci sarà nel 1995 (durante la XII legislatura) anche la commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi. Presieduta dal senatore Giovanni Pellegrino, non è specificamente convocata per ciò che accadde nella caserma romagnola il 16 novembre 1988, ma segue gli arresti dei fratelli Savi e degli altri componenti della Uno Bianca. In particolare, in sede di commissione, vengono discussi alcuni documenti: l’inchiesta amministrativa sulla questura di Bologna presieduta da Achille Serra e controfirmata da Roberto Maroni, allora ministro dell’interno, e soprattutto la relazione consegnata il 18 aprile 1995 e firmata da Antonio Di Pietro, nominato il primo febbraio precedente consulente per i fatti della Uno Bianca. Il primo riferimento è contenuto nella trascrizione della seduta del 9 maggio 1995 quando a prendere la parola è il senatore Libero Gualtieri. Dice il senatore rivolgendosi a Di Pietro:

Vi è poi un’altra questione. Non nel suo documento, ma nell’inchiesta aleggia un fantasma, ed è l’Arma dei carabinieri. I carabinieri hanno subito molte perdite umane dal 1987 al 1994: due militari uccisi a Castel Maggiore nel 1988, tre nella strage del Pilastro nel gennaio 1991, vi è stato il tentato omicidio di un brigadiere nel 1991 e il mancato omicidio dei tre carabinieri a Bellaria nel 1991. Poi vi è l’episodio di Bagnara di Romagna, con cinque morti: è un mistero nel mistero, di cui non si è mai ben capito il meccanismo.

Nella seduta del 16 maggio, viene audito poi l’allora generale di Corpo d’Armata Luigi Federici, accompagnato dal tenente colonnello Domenico Barillari, responsabile dell’ufficio criminalità organizzata presso il comando generale dell’Arma. Anche in questo caso, il focus sono la Uno Bianca e i metodi di investigazione adottati. Alla domanda del presidente della commissione Pellegrino su eventuali contatti tra i Savi e altri crimini accaduti in zona, l’alto ufficiale risponde:

Abbiamo riesaminato attentamente tutti gli episodi delittuosi che si sono verificati in Emilia Romagna soprattutto a cavallo tra il 1987 e il 1988. Esaminandoli uno per uno, con grande attenzione, mi sento di concordare con la relazione del dottor Di Pietro affermando che non esiste alcun elemento che colleghi quei delitti e quelle rapine e le operazioni della banda della Uno Bianca.

Pellegrino allora pone un’altra domanda:

Questo vale anche la vicenda di Bagnara di Romagna? Perché in proposito a livello giornalistico sono state avanzate ipotesi di possibili collegamenti.

E Federici:

La vicenda dolorosa di Bagnara di Romagna in cui l’appuntato Mantella uccise quattro carabinieri e poi se stesso fu dovuta, in base alle risultanze delle indagini, ad una crisi di follia, probabilmente provocata da un rapporto teso tra l’appuntato e il proprio superiore. L’esito delle indagini non individuò alcuna pista, alcun collegamento con formazioni criminali o eversive. Recentemente si avverte spesso la tendenza a stabilire collegamenti tra gli episodi della banda della Uno Bianca e frange eversive o grosse organizzazioni criminali, quella in particolare che viene da qualcuno definita la quinta mafia. È indubbio che nell’area emiliana, un’area molto ricca, ci siano insediamenti mafiosi, cellule di Cosa nostra, della ‘ndrangheta e della camorra; collegare però in una visione organica, omogenea tutti questi episodi significa compiere un’opera di equilibrismo difficile da dimostrare».

Ma l’argomento torna nella stessa seduta attraverso una domanda di Michele del Gaudio, magistrato e deputato che compone la commissione. La domanda, rivolta sempre a Federici, è particolarmente articolata e non comprende solo la vicenda di Bagnara: si chiede conto del comportamento di Domenico Macauda, il carabiniere che depistò le indagini sulla morte dei colleghi a Castel Maggiore, il 20 aprile 1988, tentando di far ricadere la colpa sulla famiglia Testoni, poi pienamente scagionata, e su Damiano Bechis, un ex paracadutista che si diede alle rapine e morì (misteriosamente, sostiene tra gli altri il giornalista Sandro Provvisionato) quattro mesi dopo la strade del Pilastro, entrato ai tempi nella rosa dei sospettati per l’omicidio dei tre militari. Ribadirà Federici:

Per quanto attiene ai possibili collegamenti tra il caso di Bagnara di Romagna, il caso Bechis e il caso Macauda con l’episodio Savi, sulla base degli elementi raccolti nel corso delle indagini e sanzionati dall’autorità giudiziaria, è al momento da escludere qualsiasi collegamento.

Ma l’argomento non cade così. Prende la parola la senatrice bolognese Daria Bonfietti. Nel suo intervento, lungo e articolato, si legge:

Nel suo documento il dottor Di Pietro, a pagina 81, fa riferimento al caso Mantella, all’episodio cioè verificatosi a Bagnara e compie una ricostruzione su quanto accadeva negli anni 1987-1988 in quella zona della Romagna. Leggendolo, dall’esterno, come osservatrice, mi sono trovata a chiedermi se c’era anche una banda di carabinieri oltre che una banda della Polizia. Quanto è successo in quei due anni è infatti davvero allucinante. So benissimo che con il senno del poi sono piene le fosse, ugualmente però vorrei sapere da lei, generale Federici, cosa pensava l’Arma dei fatti che sto per enumerare e capire quale è l’ambiente nel quale collocare l’episodio Macauda sia quello di Bagnara. Vorrei ancora sapere se l’Arma dei carabinieri sta attentamente verificando se le indagini svolte allora non siano state superficiali. Nel 1987 in questi luoghi è stato ucciso Minguzzi, un carabiniere di leva che era stato sequestrato nell’aprile del 1987. Il dottor Di Pietro risolve la cosa dicendo che si tratta di un caso insoluto. Lo so bene, ma purtroppo spesso la fotografia di una situazione non basta. Si sa inoltre che il padre di questo carabiniere era morto decapitato in uno strano incidente pochissimo tempo prima. Da allora il figlio maggiore cominciò a ricevere strane telefonate nelle quali gli si chiedeva di continuare a fare quello che faceva il padre. So che a livello giudiziario nessuno mai ha collegato la morte del padre a quella del figlio, sono io che sto cercando adesso di mettere in rapporto i due episodi e di compiere questa ricostruzione e vi chiedo se voi, che purtroppo vi siete visti ammazzare un carabiniere, avete fatto mai indagini intorno a questa vicenda. Nel luglio 1987, tre mesi dopo la morte di Minguzzi, Contarini, un industriale del luogo, subisce dei tentativi di estorsione. Contarini fa l’uomo onesto e di questo tentativo avvisa i carabinieri. Si tende un agguato agli estorsori e nel corso di questo agguato rimane ucciso il carabiniere Vetrana. Si scoprirà poi, questa volta la magistratura è intervenuta, che gli estorsori sono due carabinieri, Tasca e Deldotto. Si è poi saputo […] che il cappellano del carcere in cui Tasca è detenuto, don Ravaioli, chiede di parlare con il parroco di Bagnara. Ci sono quindi questi collegamenti che si cominciano a inserire e un discorso che si apre a livello di magistratura. Poi c’è l’episodio Macauda di cui si è già parlato molto. Ho voluto tornarci sopra però per dire come sempre abbiamo fatto in Commissione […]. Nel novembre 1988, un anno dopo, si verifica l’episodio di Bagnara. Anche qui bisogna ricordare che finora l’indagine giudiziaria è stata molto trascurata. La colpa di ciò non è né mia né vostra. Vi chiedo però cosa è stato fatto in più dai carabinieri. So che il fratello di Mantella non accetta la versione che dell’episodio è stata data, sostenendo che il fratello stava benissimo e che non riesce a comprendere come abbia potuto commettere una tale pazzia. Ovviamente non so cos’altro potrebbe dire un familiare.
In ogni caso, ci sono elementi in tutte queste vicende per cercare di capire di più. Non ci si può accontentare di definirli casi strani. Probabilmente considerati singolarmente quegli episodi potevano sembrare non collegati fra loro, sebbene la distanza fra l’aprile 1987 e il luglio dello stesso anno non fosse così eccessiva. Ma comunque vorrei sapere cosa pensavate stesse accadendo nella vostra Arma all’epoca. Si trattava infatti di un’incredibile successione di morti. È possibile anche avere dei documenti scritti che testimoniano delle vostre considerazioni dell’epoca al livello in cui le valutazioni venivano appunto effettuate così da poterle confrontare con le rispettive valutazioni che oggi vi sentite di esprimere (ammesso che ora la vostra analisi sia di segno diverso rispetto al passato)?

Di nuovo il generale di Corpo d’Armata:

Si tratta di episodi che oggi valutiamo in base a un filo conduttore, ma allora furono considerati episodi sì dolorosi, però settoriali e isolati.
Se è vero che il fratello del carabiniere Minguzzi riceve telefonate minatorie, mi auguro che le denunci all’autorità giudiziaria o comunque si rechi dai carabinieri del luogo a denunciare questa pressione psicologica che subisce, perché potrebbe fare chiarezza. Le assicuro che sensibilizzeremo i carabinieri di Ravenna e di Alfonsine per verificare questa vicenda.
Lo stesso dicasi per il parroco del carcere in cui è rinchiuso il carabiniere Tasca. A noi interessa la verità, così come interessa a questa Commissione. Tutti gli spunti utili per riaprire i casi chiusi dall’autorità giudiziaria ben vengano. Per quanto concerne Bagnara di Romagna, anche in questo caso possiamo fare mille illazioni. È chiaro che a un familiare non fa certo piacere accettare l’idea che il proprio fratello possa aver commesso un atto di follia. Mi sembra però che su quella vicenda sia stata svolta un’inchiesta interna […] che all’epoca venne affidata all’allora comandante di legione, di colonnello Nunziatella, attuale comandante del Ros. Egli si recò sul posto, ascoltò i testimoni e raccolse diversi elementi. Proprio ieri sera ha saputo che la sera precedente la strage tutti i componenti della stazione dei carabinieri di Bagnara si erano riuniti per una cena in un locale della stessa cittadina; erano stati serenamente insieme a cena e avevano parlato del più e del meno. Il giorno dopo l’appuntato, insieme a un altro carabiniere, aveva svolto regolare servizio di pattuglia giornaliera; finito il suo turno, o ancora prima di terminarlo, entrò senza dire una parola nella stazione e fece una carneficina.
All’epoca venne «spulciato» tutto quanto era possibile. L’unica giustificazione plausibile, se così la si può definire – riportava a un atto di follia.
Purtroppo fatti come questo non accadono solo in Italia, ma anche al di fuori del nostro paese. Purtroppo l’Arma dei carabinieri, come tutte le strutture grandi e complesse, è funestata non solo da omicidi, ma anche da suicidi, anche perché l’equilibrio psicologico di un giovane di oggi è molto più fragile di quello dei giovani del passato […]. Mi rendo conto che si tratta di una chiave di lettura che non ci soddisfa, perché vorremmo sempre trovare motivazioni credibili e concrete. Purtroppo però è quando abbiamo oggi. Se ci saranno ulteriori elementi di cui potremo disporre per riaprire i casi Minguzzi e Tasca, sarò lieto di acquisirli e di dare incarico ai carabinieri appunto di riaprire le indagini.
Per quanto riguarda la stazione dei carabinieri di Bagnara di Romagna mi impegno a inviarvi le risultanze dell’inchiesta sommaria che venne svolta all’epoca di questo episodio.

2 thoughts on “Centoundici colpi: risposte mancanti a distanza di 18 anni

  1. Antonella

    Sulla vicenda specifica no, che abbia potuto sapere. A parte gli articoli giornalistici dell’epoca e i documenti ufficiali (come questa relazione della commissione parlamentare), accenni se ne trovano nel libro “Giustizieri sanguinari” di Sandro Provvisionato uscito nel 1995 per Pironti Editore. Il focus del libro, tuttavia, rimane la Uno Bianca.

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