Gli strumenti del romanzo, della finzione letteraria, sono preziosi quando si vogliono raccontare vicende che esulano dalle verità giudiziarie accertate in tribunale e si lascia spazio al racconto del contesto. È il caso di Malagente, il libro appena pubblicato da Cairo Publishing che porta la firma di Otello Lupacchini, magistrato che ha lavorato su fatti, per citarne alcuni, come la banda della Magliana o i delitti del presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, del giudice Mario Amato e del consulente del ministero del lavoro Massimo D’Antona.
In “Malagente” però è un’altra la storia raccontata. A essere ricostruita nelle pagine del romanzo è la vicenda della mafia del Brenta, organizzazione del nord est che Felice Maniero, il suo autoctono leader, ha guidato fino all’inizio degli anni Novanta e che si è profilata come un’ulteriore realtà criminale da aggiungere a quelle “tradizionali”. Nel libro i nomi vengono cambiati, Maniero assume l’identità di Edmondo Durante e così per tutti gli altri protagonisti della ribalta delinquenziale locale. Ma accanto a loro compare anche qualcun altro. Sono gli uomini della “Struttura”, che già dal nome si rivela per quello che è: un organo dell’intelligence che non reprime la mafia del nord, ma la fiancheggia e lavora perché i suoi capi ne vengano tutelati.
In uno scenario che, cinematograficamente parlando, arriva a citare situazioni alla “Eyes wide shut” di Stanley Kubrick (o forse richiama i famigerati – e reali “balletti rosa” del nord Europa, licenziose adunanze, talvolta oltre l’illecito, in cui cocaina e sesso estremo fanno pendant con la politica sotterranea), si muove una fauna umana fatta di predatori, ognuno in lotta con tutti gli altri.
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