Il francese Magazine de la communication de crise et sensible, rivista dell’Observatoire International des Crises, ha di recente pubblicato un articolo di Thierry Libaert (già incontrato qui) intitolato L’éthique introuvable de la communication de crise. Disponibile sempre sul sito dell’osservatorio d’Oltralpe, ne è stata tratta anche una versione italiana in cui tra l’altro si scrive:
Il dibattito tra la morale e l’etica sembra troppo complesso: «Si parla di etica quando la morale è persa». Più interessante è partire constatando l’assenza di ogni etica formalizzata per la comunicazione di crisi. Tutti i professionisti della comunicazione possiedono un loro codice deontologico. Quest’anno commemoriamo – con una certa discrezione, è vero – il centenario delle relazioni pubbliche e della famosa dichiarazione dei principi affermati da Ivy Lee, riconosciuto come suo padre fondatore. Furono formalizzate altre regole per le relazioni pubbliche: tra queste il codice di Atene (1965) e di Lisbona (1978). I direttori della comunicazione dispongono di un loro codice redatto nel novembre 1997. Il marketing diretto, la stampa, tutto è formalizzato, a eccezione della disciplina percepita giustamente come una nave che naviga costantemente ai confini del cinismo, quella che spesso ha costituito l’accesso principale ai critici del carattere manipolatorio della comunicazione: la comunicazione di crisi.
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