Un giornalista investigativo di Montreal, Fabrice de Pierrebourg, e un ex agente dell’intelligence canadese, Michel Juneau-Katsuya, sono gli autori di un libro uscito da poco tempo al di là dell’oceano. Si intitola Nest of Spies: The Startling Truth About Foreign Agents at Work Within Canada’s Borders, pubblicato dalla Harpercollins Canada (qui su Amazon), dalla cui presentazione si legge:
Nel 2006 una spia dei servizi russi venne espulsa dal Canada. Nel 2007 il Canadian Security Intelligence Service (CSIS) rivelò che la Cina era implicata in almeno la metà delle attività di controspionaggio in corso nel paese con 1500 agenti che operano qui. A quanto si dice ci sono per lo meno quindici paesi coinvolti in operazioni coperte all’interno dei nostri confini, molti dei quali sono paesi “amici” come la Francia e Israele, ma tutti rappresentano un serio rischio per la sicurezza e gli interessi economici della nazione.
Lo spionaggio industriale è costato già migliaia di posti di lavoro e miliardi di dollari. In sostanza la responsabilità di proteggere il patrimonio intellettuale del nostro paese rimane in carico alle imprese stesse, ma sono preparate ad affrontare un compito così arduo trovandosi di fronte a un avversario così organizzato? “Nest of Spies” fornisce alcune risposte e descrive come si possa difendersi.
Ottawa Citizen ha pubblicato qualche giorno fa una recensione (The spies who love us) delle 371 pagine del libro in cui racconta tra l’altro come, partendo dagli anni ottanta, i processi economici e la nascita di nuovi paesi leader a livello globale abbiano cambiato attori, obiettivi e strategie. Qualche esempio: la nascita di lobby politiche cino-canadesi per la condanna (almeno morale) del Giappone e dell’uso che fece delle donne nei bordelli della seconda guerra mondiale. Il reale obiettivo sarebbe stato quello di indebolire le relazioni economiche con la nazione nipponica. Oppure la guerra non dichiarata tra la comunità tamil e quella sikh, effetto delle attività di controllo dei paesi d’origine sulle minoranze dissidenti emigrate all’estero. Scopo: quello di mantenere questi gruppi isolati dalla popolazione autoctona impedendone l’integrazione e dunque infiacchendo le campagne politiche che avrebbero potuto mettere in piedi.