D’Agata e “L’esercito di Scipione”: laddove “il personale è politico”

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L'esercito di ScipioneGiuseppe D’Agata è un nome che la letteratura dovrebbe tenere bene a mente. Perché, spesso, il vizio di ricordare gli scrittori scomparsi lasciando da parte quelli ancora in vita fa calare l’oblio su chi ha contribuito a rendere grande la narrativa italiana, ma anche il racconto veicolato dalla radio o dal piccolo schermo. D’Agata, oggi, ha 81 anni e una carica vitale invidiabile. Quella carica che ha trasmesso in anni di professione medica e di attività culturale, scandita da successi come “Il medico della mutua” (libro uscito per la prima volta nel 1964 per Feltrinelli e diventato quattro anni più tardi un indimenticabile film interpretato da Alberto Sordi) o come “Il segno del comando”, sceneggiato in cinque puntate da sessanta minuti ciascuna che la Rai mandò in onda nel 1971 e che schierava un cast che comprendeva, tra gli altri, Ugo Pagliai, Carla Gravina e Rossella Falk.

Ma Giuseppe D’Agata, partigiano a diciassette anni nella Brigata “Matteotti Sap” e militante socialista nel 1944 nelle file del Psiup, non occupa solo un posto importante nel panorama letterario contemporaneo. La sua storia – e di conseguenza la sua produzione artistica – sono stati scanditi profondamente dall’esperienza politica pregressa, che tornerà a rievocare in romanzi come “Bix e Bessie”, uscito poi con il titolo di “La cornetta d’argento”, storia di musica jazz e antifascismo che lo porterà a vincere nel 1965 il premio “XX della Resistenza” di San Pietro Agliano (Pistoia) e che verrà ripubblicato nel 1973 in edizione scolastica. O come “Il dottore”, storia ambientata nel 1940 che ha per protagonista un uomo che progetta un attentato contro Benito Mussolini per impedire che l’Italia entri in guerra.
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