Le realtà che ruotano attorno al server di Autistici possono risultare più o meno simpatiche. Le loro opinioni più o meno condivisibili. I loro modi più o meno accettabili. Ma non è questo il punto alla base della storia di un pezzo importante dell’hacking italiano che ha dato fiato, tanto quanto altre associazioni, a quella tendenza libertaria che trasporta dalla vita reale alla Rete istanze che, ancora prima che telematiche, si identificano con le libertà di qualsiasi cittadino: conoscere, condividere, comunicare, informare.
A un anno di distanza, si viene a sapere dal comunicato di Austistici Questa non è più una questione di privacy, anche se è una questione di privacy, che i certificati crittografici del server in oggetto sono stati compromessi nell’ambito di un’inchiesta relativa a un’utenza. Senza entrare nel merito dell’inchiesta, rimangono però altri interrogativi, più rilevanti, a cui dare risposta.
Perché non informare i responsabili del server di ciò che sta accadendo? Perché non consentire a chi risponde in prima persona di ciò che gira sulle sue macchine di accertare se illeciti sono stati commessi? Perché non permettere l’operazione davanti agli avvocati che rappresentano il movimento? Non si tratta di domande che intendono screditare gli accertamenti in corso, ma che vogliono sottolineare un semplice fatto, addirittura banale: anche laddove dovessero essere stati compiuti atti illegali, qualsiasi indagine risulterebbe rafforzata, più credibile, più dalla parte del cittadino – qualsiasi cittadino – se venisse svolta come i codici procedurali spiegano.
Comments are closed.