«Dio dei ladri, uccidimi prima che canti».
Renato Vallanzasca è il simbolo della certezza della pena: compirà cinquantotto anni a maggio e, tra riformatorio e carcere, ne ha trascorsi oltre trentacinque dietro le sbarre. Condannato a quattro ergastoli, per lui – a differenza di molti altri, stragisti compresi – le porte della galera non si riaprono, malgrado la richiesta di grazia recentemente respinta e i benefici di legge che non arrivano mai, tanto da aver fatto lievitare a sessantuno gli anni di reclusione del bandito milanese. La cui vita sembra segnata da un destino criminale fin dall’infanzia, racconta Etica criminale – I fatti della banda Vallanzasca di Massimo Polidoro, quando il Grande Circo Medini pianta le tende alla periferia del capoluogo lombardo, in zona Lambrate, e i fratellini Vallanzasca, Renato e Francesco, proprio non ce la fanno a vedere gli animali maltrattati dentro le gabbie. Così decidono di farli evadere, ma il futuro bandito finisce in questura e capisce, in attesa che i genitori vengano a recuperarlo, che «cinghiate o non cinghiate, ne era valsa la pena».
L’evasione è una costante nella vita del Vallanzasca criminale. Ogni volta che viene arrestato, ci prova e sorride, il “bel René”, perché sa che l’ostacolo tra lui e la libertà è solo temporaneo. Almeno fino all’Asinara, nel 1996, quando da un’ispezione nella sua cella trovano una pistola e un telefono cellulare. Forse è proprio quello il momento in cui finisce la carriera di un personaggio che ha attraversato la storia del crimine italiano facendo di sé una specie di leggenda: imprendibile, temerario, raffinato, spendaccione e passionale. Che ha rapinato e assaltato, si è dato alla macchia e sequestrato tenendo l’ostaggio – l’adolescente Emanuela – in prigioni d’oro perché roba come l’anonima non è neanche lontanamente concepibile. E si è assunto la responsabilità morale degli omicidi commessi dai suoi in azioni o conflitti a fuoco condotti autonomamente, al di fuori delle attività del suo gruppo.
Renato Vallanzasca, nella sua carriera malavitosa, però ha respinto ferocemente qualcosa: il traffico della droga, lo sfruttamento della prostituzione e la concessione di favori al terrorismo. Non era come Francis Turatello o Angelo Epaminonda né tanto meno come quelli della Magliana che non capivi mai quanto cedessero ai destabilizzatori per portare avanti i propri affari. E forse sarà proprio questa impostazione a costare l’arresto a Vallanzasca. Riparato a Roma all’inizio del 1977, il bandito viene contattato da uno strano avvocato. E si legge nella ricostruzione che fa Polidoro:
«Fate saltare in aria una stazione ferroviaria».
Renato lo guardò come se avesse parlato in kazako. Era un ometto dal viso squadrato, i capelli a spazzola, gli occhiali grossi e gli occhi piccoli. Sorrideva sempre e si asciugava di continuo il sudore. Quando parlava sembrava accendersi di quella fiamma che ardeva sullo stemma del partito cui, nemmeno tanto segretamente, aderiva. Un fascistone. Ma non di quelli che si sporcavano le mani facendo a botte coi rossi. Stava ai piani alti, lui. E, saputo dai suoi che il famoso Dillinger della Comasina stava a Roma, aveva voluto vederlo a tutti i costi.
«Credo di non aver capito» gli fece Renato, disteso sul divano damascato.
L’ometto si aggiustò gli occhiali che gli erano scivolati sul naso. «Ma sì, Renato. Lei ha capito benissimo. Lei è un vero combattente. Un uomo di cui la patria, oggi, non sa riconoscere il valore. Ma che domani, quando tutto sarà cambiato, quando sarà tornato l’ordine, potrà assurgere alle più alte cariche, ai più alti onori. Lei ci è stato mandato dalla Provvidenza. È l’uomo giusto al momento giusto».
La conversazione tra i due continua ancora un po’ tra ipotesi di colpi di stato e terrore tra la gente e poi, nel suo covo, Vallanzasca scopre le carte con l’ometto: telefona all’avvocato, lo insulta, gli dice che mai accetterà la deriva eversiva – «io sono un bandito […], non un boia trasvetito da politicante» – e gli fa sapere di aver registrato la conversazione a titolo di salvacondotto. Ma non avrà il tempo di usarlo. Come nella miglior tradizione di una repubblica fondata sulle coincidenze, Vallanzasca viene arrestato nel giro di qualche giorno. E dal carcere non uscirà più.
Etica criminale – I fatti della banda Vallanzasca di Massimo Polidoro (Piemme, 2007) — 461 pagine — € 17,90 — ISBN 9788838489471
(Questo articolo è stato pubblicato all’interno della rubrica Cronaca nera di Thriller Magazine)