La settimana scorsa, è andata in onda una puntata speciale di Ballarò, Spingendo la notte più in là, in cui è stato dato largo spazio all’omonimo libro di Mario Calabresi, il figlio che commissario Luigi Calabresi, ucciso nel maggio 1972 dopo essere stato al centro della vicenda che seguì (ma precedette pure) la morte del ferroviere anarchico Luigi Pinelli.
Nel corso della trasmissione, tra i cui ospiti c’erano anche Benedetta Tobagi, figlia del giornalista Walter, e Marco Alessandrini, il cui padre era il giudice Emilio, si è parlato ovviamente molto degli anni di piombo. Sorvolando tuttavia sull’accondiscendenza che lo Stato quanto meno manifestò verso il fenomeno terroristico durante il periodo della strategia della tensione (si veda quanto scrive Giovanni Pellegrino in Il terrorismo, le stragi e il contesto storico-politico per la commissione stragi). E dando per assodati fatti che così chiari invece non sono (l’assenza di Calabresi nel momento in cui Pinelli volò da una finestra della questura di Milano).
A questo proposito, Valerio Evangelisti pubblica su Carmilla la deposizione di Pasquale Valitutti. Oltre alla testimonianza riportata sotto, è interessante leggere anche le considerazioni finali di Evangelisti, il quale pone una serie di interrogativi. A seguire invece il testo della disposizione, pubblicato anche qui.
Io sottoscritto Pasquale Valitutti dichiaro che: giunto in questura all’ufficio politico verso le ore 11 di sabato 13 dicembre, sono rimasto due o tre ore in sala d’attesa. Spostato quindi nel salone seguente quello dove vi è la macchina del caffè ho visto Pinelli seduto vicino ad Eliane Vincileone.
In seguito, da informazioni datemi da Sergio Ardau e dallo stesso Pinelli ho saputo che Pinelli era stato fermato venerdì sera e interrogato lungamente nella stessa serata di venerdì. Nella notte di venerdì non aveva dormito. Pinelli mi è parso seccato e stanco, ma in condizioni normali. Mi ha parlato del suo alibi e mi è apparso sicuro. Più tardi gli è stata fatta una sfuriata da parte di un agente, che saprei riconoscere, perché aveva gettato della cenere per terra (numerosi i testimoni) e lui si è chinato a raccoglierla.
Più tardi, a sera inoltrata, per ordine di Calabresi siamo stati divisi nella stanza in tavoli diversi, mentre Pinelli e Moi sono stati fatti mettere nella stanza del caffè.
Verso le 24 sono stati fatti andare via tutti gli altri e siamo rimasti io, l’Eliane e Lorenzo. In seguito io e Lorenzo siamo stati portati in cella di sicurezza: non ho più visto Pinelli fino alla domenica dopo pranzo, mi ha detto che lo avevano interrogato la notte di sabato e fatto riposare qualche ora in camera di sicurezza nella giornata di domenica. Nel frattempo io ero stato interrogato e mi avevano portato nel mio abbaino per una perquisizione. Domenica pomeriggio ho parlato con Pino e con Eliane e Pino mi ha detto che facevano difficoltà per il suo alibi, del quale si mostrava sicurissimo. Mi ha anche detto di sentirsi perseguitato da Calabresi e che aveva paura di perdere il posto alle ferrovie. Verso sera un funzionario si è arrabbiato perché parlavo con gli altri e mi ha fatto mettere nella segreteria che è adiacente all’ufficio del Pagnozzi: ho avuto occasione di cogliere alcuni brani degli ordini che Pagnozzi lasciava ai suoi inferiori per la notte. Dai brani colti posso affermare che ha detto di riservare al Pinelli un trattamento speciale, di non farlo dormire e di tenerlo sotto pressione tutta la notte. Di notte il Pinelli è stato portato in un’altra stanza e la mattina mi ha detto di essere molto stanco, che non lo avevavo fatto dormire e che continuavano a ripetergli che il suo alibi era falso. Mi è parso molto amareggiato. Siamo rimasti tutti il giorno nella stessa stanza, quella del caffè e abbiamo potuto scambiare solo alcune frasi, comunque molto signicative. Io gli ho detto: “Pino, perché ce l’hanno con noi?” e lui molto amareggiato mi ha detto: “Si, ce l’hanno con me”. Sempre nella serata di lunedì gli ho chiesto se avesse firmato dei verbali e lui mi ha detto di no. Verso le otto è stato portato via e quando ho chiesto ad una guarda dove fosse mi ha risposto che era andato a casa. Io pensavo che stesse per toccare a me di subire l’interrogatorio, certamente il più pesante di quelli avvenuti fino ad allora: avevo quasta precisa impressione.
Dopo un po’, penso verso le 11.30, ho sentito dei rumori sospetti come di una rissa e ho pensato che Pinelli fosse ancora li e che lo stessero picchiando. Dopo un po’ di tempo c’è stato il cambio di guardia, cioè la sostituzione del piantone di turno fino a mezzanotte. Poco dopo ho sentito come delle sedie smosse ed ho visto gente che correva nel corridoio verso l’uscita, gridando “si è gettato”. Alle mie domande hanno risposto che si era gettato il Pinelli; mi hanno anche detto che hanno cercato di trattenerlo ma non vi sono riusciti. Calabresi mi ha detto che stavano parlando scherzosamente del Pietro Valpreda, facendomi chiaramente capire che era nella stanza nel momento in cui Pinelli cascò. Inoltre mi hanno detto che Pinelli era un delinquente, aveva le mani in pasta dappertutto e sapeva molte cose degli attentati del 25 aprile. Queste cose mi sono state dette da Panessa e Calabresi mentre altri poliziotti mi tenevano fermo su una sedia pochi minuti dopo il fatto di Pinelli. Specifico inoltre che dalla posizione in cui mi trovavo potevo vedere con chiarezza il pezzo di corridoio che Calabresi avrebbe dovuto necessariamente percorrere per recarsi nello studio del dottor Allegra e che nei minuti precedenti il fatto Calabresi non è assolutamente passato per quel pezzo di corridoio.
Sì, anch’io ho trovato un po’ singolare tutto l’impianto della trasmissione, che dava per assodati molti aspetti che sono ben lungi dall’essere chiariti.
Riaffiora, insomma, un certo vittimismo di certa sinistra. Chiaro che è necessario condannare gli eccessi di quegli anni, e comprendo l’atteggiamento e lo stato d’animo del figlio di Calabresi, però non credo si sia reso un buon servizio al ristabilimento della verità.
Non ho capito quale sarebbe l’atteggiamento vittimistico di una certa sinistra.
Comunque trovo profondamente ingiusta la pretesa dell’attuale classe di governo nazionale e locale di proporre il commissario Calabresi come un “esemplare servitore dello stato”.
Chi lo conobbe non solo ai tempi di P.zza Fontana non è proprio del emdesimo avviso e le sue responsabilità nella morte di Pinelli (seppur indirette) e nell’operazione di depistaggio attuata nell’imminenza della strage presentanto dei finti colpevoli all’opinione pubblica (gli anarchici), non la trovo proprio esemplare.
Trovo molto più esemplare l’opera investigativa dei magistrati e delle forze dell’ordine di Padova che portò ad individuare chiari indizi a carico di Freda e dei fascisti di Mestre, opera investigativa che fu subito insabbiata.
Matteo, ti riferisci (anche) al commissario Pasquale Juliano, fino al luglio 1969 a capo della squadra mobile di Padova, pesantemente “punito” per la sua indagine a carico degli eversori veneti?
Certo, al commissario Juliano fu tesa una vera a propria trappola per farlo allontanare da Padova.
La squadra politica di Padova dopo pochissimo tempo da P.zza Fontana aveva raccolto la testimonianza di una commessa di una pelletteria del centro dove Freda aveva acquistato delle borse uguali a quelle usate per l’attentato (almeno ai reperti trovati nella bomba inesplosa alla BCI di P.zza della Scala).
Freda aveva anche acquistato da un elettricista di Bologna dei temporizzatori (timer) dei quali non ha mai dato una spiegazione plausibile.
Tutte questi indizi furono insabbiati perchè le indagini, soprattutto a Milano, s’indirizzarono subito nei confronti degli anarchici e di questo depistaggio Calabresi e Guida furono zelanti esecutori.
Che adesso si voglia proporre il commissario Calabresi come esempio mi sembra ingiusto.