Il tesoro sulla collina
Carlotta frequentava bottega e retrobottega da prima dello scoppio della guerra. L’abitudine le era nata quando Lola aveva aperto e a solleticarle indole e tasche era stata l’insegna che di sopra la vetrina scandiva “Ex novo”. Non era frutto della padrona l’evocazione latina, ma di don Franco, il primo a prestare riparo a Lola e Ferruccio quando arrivarono dal sud.
Carlotta aveva cercato di cogliere il significato ripescandolo malamente dai magistrali indottrinamenti della scuola e lì per lì aveva immaginato che il negozietto vendesse articoli sacri per la somiglianza del nome con ex voto.
Chiarita la vera natura dei commerci di Lola, biancheria, tende e coperte di seconda mano erano andate a rimpinguare la dote dell’asilo. A una prima fornitura iniziale, che aveva fruttato alla proprietaria della bottega denaro sufficiente per affittare una stanzetta attigua da adibire a magazzino, ne erano seguite di successive. Carlotta era diventata un’affezionata cliente e, tra una chiacchiera, una lamentala sul maltempo e la simpatia che Lola ispirava ai cristiani, le due avevano imbastito un rapporto di confidenza.
Lola aveva così appreso della malattia della madre di Carlotta, dei timori che la follia materna fosse una tara finora silente ma che si sarebbe manifestata con il tempo, della soddisfazione che le dava occuparsi dei bambini del paese e della sua aspirazione a dirigere una scuola vera. Carlotta invece era venuta a conoscenza dei problemi che avevano costretti i coniugi all’emigrazione, delle gravidanze che non avevano generato figli ma angeli del cielo e del timore, accresciuto dall’incedere dell’età, che il suo ventre non le avrebbe mai concesso le gioie della maternità. «È una maledizione,» ripeteva Lola in quelle occasioni senza mai lasciare intendere che la maledizione fosse reale e non solo un modo di dire.
«Perché non mi permettete di leggere quanto il vostro futuro cela per voi?» chiese un giorno la bottegaia a Carlotta.
La domanda arrivava inattesa perché la maestra aveva interrotto da un po’ le pratiche che Lola le proponeva. Si era spaventata quel giorno in cui una folata di vento aveva scardinato una finestra del retrobottega. Una folata improvvisa e isolata in una giornata estiva che negava qualsiasi refrigerio e che si accompagnava al tentativo di entrare in contatto con il nonno della signora Tommasei, sua vicina: da una vita cercava il tesoro che l’avo aveva sotterrato dopo la battaglia del 1866 sul Monte Suello.
Approfittando dell’affronto tra esercito austriaco e garibaldini a cui l’uomo avrebbe dovuto dare man forte, era riuscito a penetrare l’accampamento straniero e a far razzia di preziosi appartenenti agli ufficiali. Unita l’Italia e il regno, se n’era tornato a casa favoleggiando sull’episodio. E se in paese c’era chi non aveva creduto a una fortuna sotterrata per timore di furti mentre la famiglia stentava a mettere insieme il pranzo con la cena, la signora non si dava per vinta. Giunta alla soglia della sua ultima età, aveva voluto giocare l’unica carta ancora intentata per entrare il possesso del tesoro del nonno e aveva chiesto aiuto a Lola. Con l’unico risultato di una finestra quasi spaccata da quello che Carlotta aveva interpretato come l’alito furioso del vecchio garibaldino.
Dopo quell’episodio erano trascorsi un paio d’anni senza invocazioni, lettura dei tarocchi e nemmeno racconti di quello che avveniva nel retrobottega in sua assenza. Carlotta era da Lola solo per mercanteggiare sul prezzo del sapone appena fatto: stavolta la bottagaia si era data da fare e dei quindici chili che ne aveva ricavato pensava di tirarci su qualche lira vendendone una parte.
«Ancora con la paura del fiato dei defunti, Carlotta?» la stuzzicò Lola. «Suvvia, meditate da tempo un grande salto, che vi porti lontano dal ricordo della malattia di vostra madre, un salto che vi renda libera e indipendente, ma non fate nulla per capire se è possibile.»
«Ho scritto a diverse scuole, mi sto informando, ho anche ricominciato a leggere vecchi libri in latino,» ribatté la maestra.
«E il latino vi dice se ce l’avrete o no il posto di direttrice?»
«Non è questo il punto. Il futuro è ancora là da venire e mi preparo al suo compimento.»
«Come volete. Se non accadrà niente, sono certa che comunque non ne farete una malattia per il tempo sprecato sui libri alla vostra età.»
Il battibecco tra le due donne andò avanti sugli stessi toni ancora per un po’: una tirava dalla parte del vaticinio, l’altra smorzava il desiderio che comunque nutriva di veder avverato il suo sogno. Ma la battaglia era impari: se Carlotta cercava di opporre la razionalità e la miscredenza agli inviti della bottegaia, quest’ultima conosceva l’arte del convincimento tanto quanto quella del mistero. E dalla sua parte pendeva anche la volontà di dare una mano a quella donna, che già di occasioni se n’era lasciata sfuggire in passato. E che infine capitolò sospirando.
«Va bene, consultiamo le carte.»
Lola la fece accomodare nel retrobottega, infilò le mani nel tavolino sfoderando i tarocchi ormai consunti e si apprestò alla lettura. Mescolò il mazzo e chiese a Carlotta di spezzarlo, dispose sul piano dieci carte che ricordavano una doppia T, la prima carta posizionata al centro, in parte coperta dalla seconda e le successive a venire.
«Iniziamo dal presente,» esordì Lola mentre girava i tarocchi e corrugava la fronte nell’interpretazione degli arcani maggiori. «Vedete l’appeso? Indica che vivete in attesa di un evento e che, finché non avrete conferma di esso, il domani per voi è incerto. Le stelle della seconda carta parlano delle influenze immediate, animate da una grande speranza che nutrite nell’evento. Poi la carta degli innamorati. Ma se possiamo escludere che voi serbiate una passione carnale per un uomo, allora vi leggo la ricerca di uno scopo che guidi la vostra vita.»
Lola proseguì l’interpretazione delle restanti carte. Il passato lontano di Carlotta era rappresenntato dal papa, ricerca della conoscenza, probabilmente attraverso le scuole che la donna aveva frequentato in gioventù. In quello recente, invece, il diavolo stava a indicare il fascino che un bene materiale esercitava sulla maestra.
«Che sarà mai questo bene? Quello del nonno della Tommasei?» domandò Lola interrompendo la lettura.
«Andate avanti, che di questo magari ne parliamo un’altra volta,» rispose la consultante.
Ecco allora che il futuro, indicato dalla carta che raffigurava il mondo, prometteva un trionfo mentre Carlotta, impersonificata da un bagatto, era percepita come uno spirito pratico, in grado di amministrarsi da sé. Occorreva attendere l’arrivo di notizie importanti, come suggeriva la carta del carro, e non bisognava temere l’arcano della morte, da interpretare positivamente come un cambiamento nella vita interiore. Quel che era certo per Carlotta, chiudeva l’eremita, era la solitudine di una vecchiaia senza figli e senza marito, ma questo già si sapeva e non sarebbe costato alla donna rimpianti.
«Avete visto, Carlotta, abbiamo finito senza venti pestiferi e spettri irriverenti,» riprese Lola.
«Già, ma quelle carte non mi hanno detto nulla che non sapessi. Che razza di lettura del futuro è mai questa se non mi racconta quello che sta per succedere?»
«Gli arcani lo dicevano che siete una donna pratica e la vostra praticità non vi permette di interpretare il responso oltre il suo primo significato.»
«Mi state offendendo, Lola? State dicendo che sono rincitrullita?»
«Non voglia il cielo. Sto parlando d’altro: finora avete affrontato tutto voi, da sola. È il momento di cambiare atteggiamento e di permettere che il carro che porta i cambiamenti sia guidato da una voce amica. O, almeno, che quella voce amica vi indichi la direzione, se non volete far posto a un altro conducente.»