La Lola della Bassa – 2

Standard
Spread the love

Il caffè dei morti

La prima volta che Antonietta aveva scostato il paravento del retrobottega nutriva un misto di vergogna, imbarazzo e speranza. Temeva anche per le sorti dell’anima sua. Don Franco, ai vespri, aveva tuonato contro le pratiche del diavolo e aveva promesso eterna dannazione per chi violava le leggi delle sacre scritture sedendosi ad amabile conversazione con chi aveva varcato le soglie del non ritorno. Antonietta però non si spiegava del tutto il motivo per cui don Franco visitava così spesso il negozio di Lola.
«Come rammenda lei i paramenti non lo fa nessuno» soleva ripetere il sacerdote con pubblico scorno della perpetua.
«Ma com’è che i paramenti sono sempre strappati?» si domandava talvolta Antonietta rivolgendo subito dopo uno sguardo al cielo per chiedere alla Vergine Maria l’assoluzione per aver dubitato delle parole del prete.
«Venite, accomodatevi là e ditemi cosa posso fare per voi» la riportò alla realtà la voce di Lola.
Antonietta aveva preso posto su una sedia la cui imbottitura lasciava intendere l’esatta dislocazione dei grumi di lanugine e raccolse le mani in grembo.
«Ditemi» l’aveva sollecitata di nuovo la padrona di casa vedendo che la sua ospite esitava ancora. Ma le parole si confondevano nella testa di Antonietta e la timidezza dava un calcio a qualsiasi frase le venisse in mente. Alla fine si risolse per un intercalare semplice.
«Lietta, la mia bambina, è mancata un anno fa e non mi so dar pace. La casa è vuota e non parlo con nessuno.»
Lola aveva assentito a quelle parole, lo sguardo tramutato in consolazione per chi, come lei, aveva conosciuto la desolazione della perdita di un figlio. E tra le due donne si era instaurata una sorta di solidarietà più simile a un sentire corporativo piuttosto che a un lutto che univa due madri orfane dei frutti del loro ventre.
«Dunque volete chiamare la vostra piccola. Ma non vi aspettate ora che posiamo le mani sul tavolino e che questo si metta a scalciare come un cavallo» aveva esordito Lola. «No, no, no. Io sono una persona seria, mica come quelli che dicono che vi fanno parlare con i defunti e poi c’hanno qualcuno nascosto dietro la tenda.»
Antonietta, fino a quel momento, sguardo basso, non aveva ancora osservato il retrobottega. Volgendo gli occhi intorno, vedeva una stanza spoglia, a esclusione delle due poltroncine su cui erano sedute e di altre due vuote, un tavolo di legno povero e una lampada retta da un lungo stelo che risaliva la parete, sulla sinistra. L’ambiente le appariva trasparente, senza minacce né imbrogli, e il suo animo si dispose a entrare in contatto con la figlia.
«Che devo fare?» chiese a Lola.
«Dovete solo bere il vostro caffè» e con un tuonante «È venuto su?» si rivolse a un secondo paravento che dava – Antonietta lo avrebbe visto quando sarebbe entrata la serva, Maria – sulla cucina.
Ed ecco Maria che, mettendoci del suo per non commettere sacrilegio rovesciando il caffè dei defunti, avanzava cauta con lo sguardo fisso sul bordo della tazzina.
«Bevete, cara, e poi vuotate i fondi su quello straccio» disse indicando una pezza lisa ma pulita che stava sul vassoio.
Antonietta eseguì con coscienza nonostante il sapore amaro di quel caffè il cui retrogusto poteva sapere di bruciato o di qualche radice aggiunta a titolo di aroma della casa.
«Vediamo…» attaccò Lola.
«Mi scusi, ma non mi interessa il futuro. Mi interessa solo la mia Lietta».
«Lo so» controbatté Lola, pronta a quella rimostranza. Erano tutte così le sue ospiti, imbevute di superstizioni antiquate: il caffè per predire il domani, le budella dei polli per il malocchio, le facce spiritate per conversare con i trapassati. Da quegli schemi non si usciva mai con nessuna delle novizie del retrobottega.
«Fidatevi, so quello che faccio. Lietta vi parla ogni giorno attraverso il caffè, solo che voi non sapete leggere La Domenica del Corriere, figuriamoci i fondi.»
«Oh, questa è bella. I morti parlano ai vivi con il caffè?»
«Non lo sapevate? A me l’ha insegnato una zingara che era venuta al paese, prima del terremoto. Era brutta come la peste, aveva una voce da corvo e si diceva che portasse male a chi la vedeva. Detto tra noi, un po’ era vero, ma ne sapeva sull’aldilà molto più di don Franco. Ve lo dice la Lola.»
Antonietta era disorientata e avvertiva un senso di nausea. Allora voleva dire che si beveva la figlia morta tutte le volte che pigliava un caffè? Ma com’era possibile, visto che non aveva mai sentito la pancia muoversi dopo aver buttato giù quello che faceva lei con la moca a casa? Il pensiero di digerirsi Lietta da un anno senza avere minimamente idea che la disgraziata le stesse inviando messaggi fece aumentare il malessere. E prima di Lietta chi si era digerita? La madre? Il fascista crepato di diarrea? E ora non è che si faceva tutti i giorni un’insalata mista di morti, vero?
«Forse» pensò la stiratrice «è per questo che ho sempre bruciore, ma non sento mai muoversi nulla.»
Sbrigata la spiegazione sul caffè, Lola spinse avanti il naso e gli occhi le caddero in picchiata sulla pezza.
«Non va mica bene, signorina Antonietta. Bene per niente.»
«Perché? Cosa sta dicendo Lietta?» risposte la sconsolata madre senza nemmeno accorgersi che, invece degli occhi, tendeva allo straccio le orecchie, quasi a voler cogliere un qualunque suono che le confermasse che la figlia era lì.
«La ragazza è ancora in convalescenza.»
«In convalescenza?»
«Sì, in convalescenza, non si è ancora ripresa dal tetano.»
«Ah, giusto… Macché giusto! Mia figlia è morta, non è convalescente. Altrimenti che ci venivo a fare qua?»
«Be’, una visita di cortesia è sempre gradita. Comunque sia, che credete? Che quando uno crepa, rinasce dall’altra parte bello e vispo come mamma sua l’ha fatto? Ma andiamo: se uno ha avuto il tetano, deve passargli l’avvelenamento del sangue. E se a uno gli si è rotta la testa, ha da aspettare che le ossa si aggiustino.»
Antonietta era sempre più disorientata: prima i morti parlavano nel caffè, poi dovevano guarire perché in vita avevano avuto qualche disgrazia. Questa Lola era davvero strana. Fosse mica matta? E poi rammentò quanto le aveva detto la Minguzzi, donna dalla lingua sbarazzina ma sincera. «Non vi stupite troppo, dice cose che il papa la scomunica domani mattina, ma ci azzecca.»
Così decise di prendere per buone le parole della donna.
«Va bene, scusate. Che dice altro Lietta?»
«Vuole darvi dei consigli. “Mamma, sei stata qui tutta la vita e non ci hai ricavato una carezza né un soldo. Lascia tutto e vai via. Non ti curare dei vestiti e delle cose, prendi, parti, vai. Fatti aiutare dalla signora Lola, che conosce gente in centr’Italia e ti può trovare un lavoro a servizio da qualche brava persona che si curerà di te, magari più dei signori di campagna, e che ti assisterà nel bisogno. Vai, mamma, e ascolta la signora Lola”.»
Ma quante parole pronuncia Lietta in pochi fondi di caffè? Quella bambina che non fiatava neanche se interrogata ne aveva presa di parlantina dopo il trapasso. Come se non bastasse, la sollecitava a lasciare, alla sua età, il paese. Magari le era dato di volta in cervello, con tutta quell’umidità presa al camposanto.
«E c’è dell’altro» riprese Lola.
«Dell’altro?»
«Sì, dice che anche se voi non sapete leggere né la Domenica del Corriere né i fondi del caffè continuerà a parlarvi. Venite da me tra una settimana con tutti i fondi e vi metterò bianco su nero le parole della vostra figliola. Ve le leggerò io, le lettere della Lietta, non vi preoccupate, e poi potrete conservarle per farvele leggere da qualcun altro: così saprete che non vi prendo in giro. Chiunque leggerà le lettere che vi darò, vi ripeterà le mie stesse parole.»
Antonietta, se fosse stata meno turbata e meno Antonietta, a quel punto si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata senza salutare né rimettere mai più piede nel retrobottega. Ma la fiducia riposta in Lola e la sua mente semplice, poco agile nel cogliere le truffe, figuriamoci il loro puzzo, non aveva afferrato le molteplici chiavi di lettura nelle parole della sua interlocutrice. E anzi, levandosi dalla poltroncina, affermò con un po’ più d’animo rispetto a quando era entrata: «Voglio pagare il vostro disturbo. Mi dovete dire quanto vi devo per l’aiuto.»
«Non vogliate offendermi, signorina Antonietta, non vogliate. Non pratico per denaro o, almeno, non sempre. Con voi niente soldi, ho deciso, e non se ne parli più. E poi, cara signorina, non avremo forse tutti noi una ricompensa per quanto facciamo?»
Antonietta, attraversando di nuovo il paravento, intravedeva l’uscio e una schiarita nel suo futuro. Lietta le avrebbe parlato ancora e le stava indicando una strada alla fine della quale, forse, avrebbe avuto anche lei la meritata ricompensa di cui parlava Lola. Che Lola avesse la sua, era sacrosanto. E mentre affrontava il marciapiede con falcate rinvigorite, si ricordò che non aveva chiesto se i fondi doveva conservarli caffè per caffè oppure se ammucchiarli tutti insieme con il rischio che le parole della mischia diventassero un vociame da non cavarci niente di sensato.

Comments are closed.