Qualche personaggio ne riassume in sé più d’uno e altri, come Sofia e il capitano dei carabinieri che scorta Elio da un carcere all’altro, non esistono. Ma la sostanza del romanzo Decennio rosso (Edizioni Paginauno, 2013) viene presentata come autentica. Quella che viene ricostruita è la storia di Prima Linea e delle Fcc, le Formazioni comuniste combattenti, attraverso i due autori, Paolo Margini e Massimo Battisaldo, che delle sue organizzazioni di estrema sinistra fecero parte.
Si parte nel 1974 da una Sesto San Giovanni ancora Stalingrado d’Italia, dove tra manifestazioni sindacali, proteste operaie e movimenti studenteschi un gruppo di giovani si muove cavalcando la contestazione alle istituzioni e ai partiti e la voglia di cambiare la società. Non tutti sembrano consapevoli della piega che di lì a un paio d’anni prenderanno gli eventi con lo scivolamento verso la lotta più radicale. Le armi e i primi colpi, in certi punti, sembrano accolti da alcuni dei protagonisti quasi con sorpresa, accompagnata da un timore reverenziale e militare per chi, invece, vede già una strada tracciata verso la violenza.
Una strada che si compone via via di tanti tasselli, come rapine per l’autofinanziamento, perquisizioni delle forze dell’ordine, omicidi che devono essere – ma non lo sono – un richiamo alla “causa” e militanti che vengono feriti – e in alcuni casi assassinati – nelle azioni che si infittiscono. La progressiva svolta verso la clandestinità inghiotte i militanti, le prospettate fusioni sembrano dare concretezza a ipotesi di formazioni sempre più estese, ma alcune voci che si fanno nel tempo dubbiose, come quella di Sofia, hanno il suono di un risveglio lento da un sogno di rivoluzione che invece affogherà nel sangue delle vittime e nelle vite distrutte dei terroristi.
Poi arriva il 1978, i 55 giorni del sequestro del presidente della Dc Aldo Moro, ucciso il 9 maggio dalle Brigate Rosse. E per le formazioni lombarde, come per tanti altri, quell’omicidio rappresenta un punto di non ritorno. Lo si percepisce per esempio dalle parole di Terenzio, uno dei militanti milanesi:
Con la morte di Aldo Moro cambiano le cose, perhé il Pci ha dimostrato di tenere duro e di essere tutto dalla parte dello Stato, così che non possiamo più aspettarci niente di nuovo da quella direzione. D’altra parte le Br alzeranno sempre più il tiro, e noi dovremo muoverci di conseguenza. Quanto alle migliaia di avanguardie in lotta, viste le caratteristiche della nuova fase, credo si ridurranno di numero.
Altro punto di non ritorno sono le catture e le infiltrazioni, ma soprattutto il ricorso a strumenti speciali per combattere il terrorismo. A Duccio, arrestato dopo che gli sono state scoperte due pistole, dice un generale dei carabinieri dai cui contorni si delinea, almeno dal punto di vista letterario, il profilo di Carlo Alberto Dalla Chiesa
Ebbene, glielo dico subito in tutta franchezza: sono intenzionato a ottenere la sua collaborazione e userò tutti i mezzi in mio potere, e sono tanti, per arrivare a questo risultato. Io non mi limiterò al fermo di polizia di 48 ore: io posso farla sparire dalla circolazione per uno, due mesi, guardato a vista in qualche caserma, senza nessuna comunicazione con l’esterno […]. La situazione esige interventi speciali: non saranno certo gli avvocati […] a intralciare una controguerriglia che ormai è sacrosanta e richiesta da tutti […]. Non solo la faccio sparire, ma metto in giro la voce che lei sta confessando, anche se non è vero. Tanto prima o poi parlerà: non avrà altra possibilità. E allora perché non farlo subito?
Infine – ma ci sarebbe molto altro ancora da raccontare di questo libro – ci sono gli anni di prigione, le torture e le percosse, oltre alle liste dei militanti da eliminare in carcere, in omicidi sommari. Trani, Frosinone, Novara, Voghera e Bad’e Carros sono solo alcuni dei penitenziari attraverso cui si snoda la fase finale del romanzo. Le sezioni speciali come gli strumenti sono una condanna nella condanna, un trattamento riservato a coloro che più pericolosi sono giudicati. E negli anni del carcere si arriva non a rinnegare ciò che è stato, ma comprenderlo oltre l’unica prospettiva della lotta armata, sempre più isolata. Ancora Sofia considererà:
Noi di Prima linea, i Cocorì, le Formazioni comuniste, quelli di Rosso, le altre organizzazioni, persino parte delle Br, vogliamo arrenderci come si suol dire salvaguardando l’identità storia, la dignità. Io però non la vedo così: l’identità storica la acquisiremo in tempi “storici” […]. Quello che serve oggi è il coraggio di dare un forte messaggio di pace, a costo di ammettere di aver sbagliato parecchie cose, perché non è questa la guerra che può essere combattuta.
Intanto, in attesa delle scarcerazioni, che arriveranno anni dopo rispetto ai processi e alle condanne, gli unici scorci di vita sono vissuti dentro le gabbie degli imputati o aspettando l’avvio di un’udienza rinviata di qualche ora. Sarà la ricerca di una normalità anormale per una generazione travolta.
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