Se si prende solo l’ultimo bimestre del 2009, i casi sono stati due. Il più recente ha riguardato un F16 statunitense che, lo scorso 9 dicembre, ha effettuato un atterraggio d’emergenza all’aeroporto di Fiumicino dopo essere partito dalla base militare di Aviano. Se a seguito di questo episodio non si è verificata alcuna conseguenza, il 23 novembre invece il bilancio di un incidente è stato di cinque vittime: questa volta siamo a Pisa e i morti sono l’equipaggio di un C-130 dell’aeronautica italiana schiantatosi sulla linea ferroviaria Pisa-Collesalvetti-Cecina.
Stiamo parlando di disastri dell’aria causati da mezzi militari. Se probabilmente il fatto più noto rimane l’abbattimento del DC9 dell’Itavia, scomparso dai radar che ne seguivano la rotta nei cieli sopra Ustica il 27 giugno 1980 trascinando con sé le ottantuno persone a bordo, ci sono diversi altri episodi. Per esempio, poco tempo fa, ha compiuto diciannove anni il disastro dell’istituto tecnico commerciale Salvemini di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna.
Era il 6 dicembre 1990 quando, poco dopo le 10.30 del mattino, un Aermacchi MB 326 in avaria da cui il pilota si era appena lanciato colpisce l’aula in cui si trovano i sedici ragazzi della classe IIA. Dodici le vittime tra i ragazzi. Ma non basta: nell’impatto con l’edificio, il velivolo prende fuoco e del centinaio di persone presenti, tra allievi e personale docente e ausiliario, oltre ottanta restano intoccate e ferite. Sotto accusa per omicidio colposo plurimo, incendio colposo e disastro aviatorio finiscono tre militari: l’allora sottotenente Bruno Viviani, che si trovava in cabina di comando, e i suoi superiori, il tenente colonnello Roberto Corsini, addetto alla torre di controllo di Villafranca da cui l’aereo era partito, e il colonnello Eugenio Brega, ai tempi comandante del III stormo quel quale Viviani faceva parte.
Per partire con il processo di primo grado occorre attendere fino al gennaio 1995 in un braccio di ferro che ha visto contrapposti da un lato di familiari delle vittime e dei feriti (accusati tra l’altro di prestarsi a manovre politiche), oltre che i lavoratori dell’istituto, e dall’altro l’aeronautica militare, che si è avvalsa, per gli imputati, dall’assistenza legale dell’avvocatura di Stato. Ma la sentenza sembra premiare il lavoro fatto negli anni precedenti per ricostruire i fatti: i tre militari vengono condannati a due anni e sei mesi – la corte assolse le richieste del pubblico ministero, Massimiliano Sarpi – scatenando la reazione dei colleghi. I quali, rischiando l’insubordinazione, si rifiutano di alzarsi in volo, quel giorno.
Dal punto di vista delle vittime, però, giustizia sembra fatta perché i giudici accertarono imperizie nella gestione dell’emergenza che determinò la sciagura. Imperizie che tuttavia scompaiono nei successivi gradi di giudizio: la sentenza d’appello, confermata poi dalla Cassazione, non solo assolve gli imputati, ma taccia di derive politiche i magistrati di primo grado. Le cause di quel disastro, dunque, devono essere ricondotte esclusivamente a una imprevedibile e inevitabile fatalità.
Di certo una fatalità colma di tragica ironia è che il 3 febbraio 1998, otto anni dopo i fatti di Casalecchio di Reno, proprio nel giorno in cui la corte di Cassazione confermava il secondo grado di giudizio per l’istituto Salvemini, in Val di Fiemme un aereo militare statunitense, partito dalla base di Aviano, tranciava in un volo radente il cavo di una funivia (già nel 1976 c’era stata qui una precedente sciagura in cui persero la vita quarantadue persone, ma in quel caso fu una cabina a staccarsi per via della rottura dei cavi). È la strage del Cermis nella quale rimasero uccisi diciannove passeggeri e il manovratore. Tutte europee le vittime: sette tedeschi, cinque belgi, tre italiani, due polacchi, due austriaci e un olandese.
Le indagini partirono dall’Italia, ma poi, su decisione dell’ufficio Gip di Trento, passarono alla giustizia militare statunitense in base a convenzioni Nato risalenti dai primi primi anni Cinquanta. E se in un primo momento riguardarono tutti i membri dell’equipaggio, ad arrivare a processo furono solo in due: il capitano Richard Ashby, il pilota del Grumman EA-6B Prowler che provocò la sciagura, e il navigatore parigrado, Joseph Schweitzer, deferiti entrambi a una corte militare del Nord Carolina. Nonostante si sia accertato nel corso del dibattito che il velivolo osservasse un’altezza ben inferiore rispetto a quando disposto dai codici di volo (centodieci metri contro gli oltre seicento), la sentenza fu di assoluzione.
Entrambi i militari statunitensi non sono stati ritenuti dunque responsabili della morte di quelle venti persone, ma solo – e in un procedimento separato – di intralcio alla giustizia per aver distrutto prove video risalenti al giorno del disastro. Per questo – e non per l’omicidio colposo plurimo – sono stati radiati con disonore dalle forze armate americane, anche se nel 2008 i militari hanno impugnato questa sentenza chiedendo il reintegro e parlando di un patto tra i governi dei due paesi per far cadere l’accusa più grave, quella appunto di omicidio.
Quando però non ci sono di mezzo storie giudiziarie, politiche e mediatiche intense come nel caso di Casalecchio di Reno o del Cermis, è difficile riuscire a stilare una lista di incidente aerei verificati in ambiti (o con mezzi) militari. «Noi siamo di solito molto restii a parlare di incidenti di volo al di fuori delle sedi canoniche, ritenendo che l’evento irreparabile stia nel conto di una professione, quella di aviatore, intrinsecamente rischiosa e di tale caratteristica siamo perfettamente e razionalmente consapevoli», ha scritto il generale Daniele Tei, capo di Stato maggiore, in un editoriale pubblicato sul numero di novembre-dicembre 2008 del periodico Rivista Aeronautica. L’ufficiale commentava il disastro avvenuto nei cieli della Francia un paio di mesi prima, quando cadde per la rottura di una pala del rotore principale un elicottero italiano HH-3F (in genere impiegato in operazioni Sar, search and rescue) diretto in Belgio. Morirono gli otto militari a bordo.
Un dato certo attesta che, nel periodo compreso tra il 4 gennaio 1990 e il 16 giugno 1994, sono stati ventisei gli incidenti avvenuti durante voli di esercitazione nei cieli italiani. In quell’arco le vittime sono state diciotto, otto i feriti (in questo caso si parla di personale dell’aeronautica, non ci sono state conseguenze per la popolazione civile) e diciannove i mezzi fuori uso. Elaborato dal ministero della difesa in relazione alle indagini per il Salvemini, questo sembra una delle rare statistiche ufficiali in tema. Per il resto si può procedere solo per via empirica, affidandosi a notizie stampa. Come nei casi che hanno riguardato i cacciabombardieri AMX.
L’8 febbraio 2001, per esempio, uno si disintegra sopra la provincia di Treviso e il pilota, Davide Franceschetti, 36 anni, muore mentre cerca di lanciarsi dopo essere riuscito a indirizzare i velivolo su una zona disabitata evitando la strage. In quello stesso anno altri due furono gli incidenti che riguardarono quei mezzi: uno in aprile a Rimini (perse la vita il capitano Giuseppe Carrone) e uno a Campobasso, l’8 agosto, in cui morì il sergente Tiziano Castellucci. E poi ancora nell’aprile 2002, questa volta senza conseguenze per militari, civili e abitazioni. Se già negli anni Novanta diedero problemi, quegli aerei, vennero comunque utilizzati nel 1999 per i bombardamenti sui Balcani, ma la procura di Roma all’inizio di questo decennio aprì un fascicolo. Un’altra indagine partì nel 2005 dopo uno schianto su un’area agricola di Decimomannu, in provincia di Cagliari, arrivando al sequestro di settanta mezzi. E si aggiunse al lavoro già svolto dalla procura di Treviso e di Padova. Dopo dodici di incidenti e quattordici vittime, i magistrati volevano vederci chiaro sul decadimento strutturale dei mezzi, che duravano meno della metà del tempo dichiarato dai costruttori. Sulla stessa linea si ponevano alcune interpellanze parlamentari. Ma ciò non ha impedito che ne fossero usati sei in Afghanistan per fotografare i campi d’oppio, anche se progettati per la guerra a terra.
Altri casi: Argo 16, il Monte Serra e Ramstein
In passato ci sono stati altri gravi incidenti che hanno riguardato mezzi militari italiani.
Argo 16, 23 novembre 1973. Un C-47 Dakota (nome in codice Aego 16) era partito dalla Libia e aveva effettuato uno scalo a Malta. Giunto sopra Marghera, tuttavia, precipitò uccidendo i quattro membri dell’equipaggio e facendo temere il disastro ambientale per via dell’alta densità di aree industriali della zona. Dal punto di vista giudiziario si tratta di incidente, ma la storia di questo disastro è stata al centro di vicende complicate. Quando precipitò, rientrava da una missione di rimpatrio di alcuni terroristi arabi sospettati di voler sabotare le linee aeree israeliane in Italia (dunque si chiamava in causa direttamente il Mossad). Ma si parlò anche di trasporto di armi di gladiatori e di controllo elettronico del Mediterraneo in funzione anti-jugoslava. Sulla vicenda vige a tutt’oggi il segreto di Stato.
La sciagura del Monte Serra, 3 marzo 1977. Un C-130 Hercules con 43 persone a bordo (38 allievi dell’accademia navale di Livorno e cinque membri dell’equipaggio) decolla da Pisa, ma dopo pochi minuti finisce per schiantarsi sulle pendici del Monte Serra. Non ci saranno superstiti e le successive indagini, condotte sia in ambito civile che militare, hanno attribuito le cause a errore umano (si accertò una virata che fece imboccare all’aereo una vallata) o a un problema del mezzo. Il caso è stato quindi archiviato ed è nata un’associazione dei familiari perché non fosse persa memoria del disastro.
Ramstein (Germania), 28 agosto 1988. Quel giorno è previsto presso la base statunitense del posto l’Airshow Flugtag ’88 e si devono esibire le Frecce Tricolori, ma tre Aermacchi MB-339 entrano in collisione a una quarantina di metri da terra e due precipitano nei pressi della pista. Il terzo, invece, si abbatte sulla folla uccidendo sessantasette persone, cinquantuno delle quali morirono sul colpo. Un migliaio i feriti. Una manovra errata, ufficialmente. Il giudice Rosario Priore, nella sua istruttoria su Ustica, scrisse anche che due dei tre piloti coinvolti nell’incidente di Ramstein sarebbero stati in volo la sera del 27 giugno 1980 fino a pochi minuti prima del disastro del DC9 Itavia.
(Questo articolo è stato pubblicato sul numero di gennaio 2010 del mensile La voce delle voci)
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