Esattamente quattordici fa anni si consumava una vicenda che ho sempre cercato di seguire con attenzione: l’omicidio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, assassinati il 20 marzo 1994 a Mogadiscio proprio mentre i contingenti militari stavano preparando i bagagli e – questione di ore – se ne sarebbero andati senza che in Somalia si fosse risolto nulla. Qualche anno dopo, le indagini su questo duplice omicidio hanno intersecato quelle per una serie di violenze denunciate da un ex maresciallo della Folgore, Francesco Aloi, e compiute, secondo quanto raccontò il sottufficiale, da appartenenti dell’esercito italiano.
A Milano ebbi l’occasione di intervistare i somali che sarebbero stati le vittime di questi atti e, per una rivista con cui collaboravo ai tempi, la pubblicai (in questo periodo sto cercando di ritrovare quel pezzo in qualche vecchio backup). Tra il materiale cartaceo che ho, però, mi è recentemente capitata tra le mani la lettera che segue. La scrisse dopo l’uscita di quell’intervista un militare italiano che, usando le iniziali a titolo di firma, protestava per i racconti dei cittadini somali. E aggiunge – in conclusione – che la verità su certi fatti “è semplice ed è sempre dietro l’angolo”. Può darsi e, se fosse, sarebbe ora di dimostrarlo. Ma ciò non può dirsi per il caso Alpi-Hrovatin, diventato una “piccola Ustica“, e sarebbe utile, se non fondamentale, avere testimonianze autentiche sui fatti che si consumarono in Somalia durante l’operazione Ibis. Peccato che dopo quattordici anni si sia ancora qui a farsi domande mentre c’è chi, a nome delle istituzioni, si è recentemente permesso di mettere in dubbio la professionalità di chi, per il suo lavoro, è stato assassinato. Per l’indagine poi è stata pure chiesta l’archiviazione. Tornando alla lettera, ecco nelle righe che seguono ciò che scrisse il militare italiano.
Gentile redazione,
ho letto nel vostro numero di questo mese l’articolo inerente la situazione attuale in Somalia e sono rimasto male senza aggiungere frasi di indignazione, stupore o altro. All’epoca, tra il luglio del 1993 e il novembre dello stesso anno, mi trovano ad essere impegnato proprio già in Somalia per l’operazione Ibis in qualità di pilota carro, mitraglere, fuciliere assaltatore ed infine furiere con il graod di caporal maggiore presso, prima a Mogadiscio 185° Draghi Parà Folfore, di poi 78° Rgt Lupi di Toscana lungo il confine dell’Etiopia a Baled Uein. Ho partecipato agli scontri dal 9 al 14 ottobre 1993 durante i quali sono rimasto ferito per un incidente tecnico del carro e non per granata o proiettile.
Ho vissuto mille situazioni diverse, drammatiche e difficili e proprio quel 9 ottobre a Baled Uein avemmo 10 feriti di cui uno grave e sul terreno tra guerriglieri e civili rimasti coinvolti del tutto accidentalmente (e non altro) furono raccolto circa 150 morti somali. Tra essi qualche donna e un solo bambino. Pensate che qui capi anziani con i quali avevamo stabilito una pace e costituito un alto Consiglio Governativo che presideva e governava la zona, non portarono alcun reclamo ed anzi si sono sempre complimentati per i nostri metodi moderati, democratici, sensibili, ragionevoli non propri di ogni esercito o reparto operativo.
Ancora oggi porta dentro il cuore il ricordo di quel bimbo e di sua madre rimasti uccisi poiché alcuni proiettili di Browning perforarono le tenere pareti di fango secco di quella specie di case. Ho vissuto anche i momenti drammatici di Mogadiscio con le imboscate, immotivate peraltro, ai nostri soldati e le reazioni dei nostri soldati, sempre, oserei dire, assai contenute. Un po’ di botte e calci; non ho mai visto tortute o mostruosità peraltro mai provate minimamente. Aggiungo, non c’è mai stato uno stupro ed anzi, erano centinaia le donne somale che si volevano prostituire per solo 5$: disposte a tutto, al contrario pochissimi di noi con le dovute precauzioni hanno ceduto alle lusinghe di quelle misere e disgraziate ragazze.
Quindi, visto che ho i miei sensi di colpa per fatti assai e veramente meno gravi di quelli sputati sui giornalisti ed in TV per dilaniare il buon mome dei nostri ragazzi e di un esercito che in epoca di scandali e tangenti era l’unica salvezza del nostro paese e della nostra immagine nel mondo (grazie al nostro intervento umanitario in Albania, Mozambico, Kurdistan e soprattutto in Somalia), vi prego, smettete con queste scemenze decisamente più assurde di Guerre Stellari: e fidatevi una buona volta, credete ad un soldato che ancora oggi lavora per un’importantissima organizzazione di volontariato e solidarietà: pensate che mi reco in Bosnia e in Albania da due anni gratuitamente per portare aiuti a tutti i bisognosi, cristiani, ortodossi e mussulmani,
Cretedemi, se io o qualche mio compagno che proveniamo da ambienti medio-borghesi, ben protetti, sappiamo scrivere e giudicare, avessimo visto alcunché, prendendo le dovute precauzioni e coperture, le avremmo denunciate. Fate quindi tesoro della mia testimonianza e pubblicate la verità, perché questa è la verità e ricordate, la verità è semplice ed è sempre dietro l’angolo, non c’è bisogno di prendere l’elicottero.
Saluti
G.G.
partito per mogadisci a gennaio 1993 sto scrivendo un diario della inutile missione ibis. sui pericoli che ragazzi di 20 anni come me dovettero affrontare in un paese che dio a dimenticato.