Districarsi da 500 mila pagine di atti giudiziari è operazione tutt’altro che semplice. Soprattutto se, a fronte di colpevoli individuati come tali da sentenze passate in giudicato, rimangono aperti molti interrogativi e si infittiscono fronti innocentisti sostenuti, sembra più per ragioni emotive che per cognizione di causa, da personaggi come Furio Colombo, Giuseppe Zamberletti, Paolo Guzzanti o Francesco Cossiga. È la storia contenuta nel libro Tutta un’altra strage di Riccardo Bocca, che parte dalla dichiarazione di una testimone che, fin dal 1982, disse di aver visto Valerio Fioravanti e Francesca Mambro davanti alla stazione, quel 10 agosto 1980, avvalorando così ciò che i tribunali hanno già sancito: i colpevoli sono loro e i loro complici dei Nar.
Ma non si limita a questo. Ripercorre i sei processi e i cinque gradi di giudizio, gli ambienti del neofascismo romano e siciliano, i rapporti con la P2 e Licio Gelli, le ambiguità delle istituzioni e dell’intelligence, le deposizioni contradditorie, le piste alternative a quella ufficiale: l’esplosione accidentale durante un trasporto di materiale detonante, il coinvolgimento della Libia di Gheddafi che collegherebbe la bomba alla stazione al DC9 di Ustica, le insinuazioni introdotte dalla commissione Mitrokin e il terrorismo internazionale e in particolare tedesco. Il tutto documentando, intervistando, citando in un lavoro di ricostruzione scrupoloso che avvalora ogni affermazione.
Ne viene fuori tutta la complessità di una vicenda sulla quale è calato ormai da tempo un processo di revisionismo politico volto a escludere i colpevoli condannati all’ergastolo e oggi quasi tutti tornati in libertà. E se ci fosse bisogno di una conferma di questa tendenza, è sufficiente leggersi l’intervista a Francesco Cossiga, allora presidente del consiglio, che dimostra quanto dice il “non detto” di personaggi istituzionali che non hanno alcun interesse a riconoscere responsabilità e contribuire all’accertamento dei fatti. Eccone alcuni passaggi presi dal libro di Bocca:
A caldo, dopo la strage, ha dichiarato che l’attentato era opera di neofascisti; poi, nel ’91, ha chiesto scusa al Movimento sociale italiano, sostenendo di essere stato «vittima di una subcultura di allora, secondo cui fascismo era uguale a stragismo». Chi, o che cosa, l’ha portata a questa svolta?
I terroristi di sinistra. In particolare la visita che mi ha fatto Anna Laura Braghetti, la carceriera di Moro. «Non vengo a difendere me stessa», mi ha detto. «Sono qui a difendere quei due ragazzi, Mambro e Fioravanti, che soltanto un cretino che non conosce il terrorismo può pensare siano i responsabili della strage di Bologna.
Sta dicendo che ha chiesto pubblicamente scusa all’Msi perché un’ex terrorista, senza prove, le ha detto che a Bologna non erano stati i fascisti?
Credo molto più ai terroristi rossi, che ai magistrati. Tra la loro serietà e quella dei magistrati, lo scriva, c’è un abisso.
[…]
Quindi, secondo lei, chi ha voluto la strage di Bologna? Chi sono i mandanti?
Impossibile rispondere. Tutto è stato pasticciato, e i mandanti non si trovano più.
Così dicendo, però si contraddice ancora. Prima ha sostenuto che non ci sono i mandanti, che la stazione è crollata per l’esplosione accidentale di esplosivo in transito; ora dice che tutto è stato occultato. Qualcosa non quadra…
Non quadra il ruolo dei magistrati; non quadra il fatto che non potevano mettersi contro l’opinione pubblica ed assolvere i neofascisti… Alla fine oltre a Ciavardini, hanno punito Fioravanti e Mambro: persone normali, bravi ragazzi che mi vogliono bene.
Ora, la magistratura può senz’altro – anzi deve – essere oggetto di critiche, ma lo si dovrebbe fare a ragione veduta, prove alla mano senza genericamente tirare in ballo le toghe politicizzate o carrieriste. A meno che queste prove esistano e non le si voglia tirar fuori. E per le parole offensive che l’ex notabile democristiano usa per l’associazione dei familiari delle vittime, auspico che Paolo Bolognesi agisca di conseguenza.
è un libro da leggere sicuramente. ci fu a suo tempo anche un intervista a Carlos, che attribuì la responsabilità del gesto ai fascisti. Tra l’altro un comunista tedesco era uscito dalla stazione pochi istanti prima dell’esplosione : Thomas Kram. Era un insegnante di Bochum, rifugiato a Perugia. Il giorno prima della strage era a Roma pedinato da agenti segreti che lo seguirono anche sul treno per Bologna. Kram aveva solo un sacchetto di plastica con oggetti personali ma se fosse morto nell’attentato sarebbe stato facile attribuirgli ogni colpa….
Sì, infatti, e ora la “pista tedesca” torna d’attualità. Senza soffermarsi troppo sul fatto che – come giustamente rilevi – Kram era seguito più di un sorvegliato speciale.
Un commento a caldo: ho letto l’intervista di Bocca a Francesco Cossiga e sono rimasta sconcertata dal giudizio espresso dall’ex Presidente sui familiari delle vittime: Cossiga dice che vogliono soldi! Ma come fa a esprimere un giudizio del genere proprio lui che, all’epoca, era Presidente del consiglio e che, quindi, era responsabile dell’accertamento della verità?
Mi piacerebbe sapere se i giornali hanno fatto mai riferimento a quest’intervista e se hanno riportato testualmente parole che, a mio avviso, sono vergognose.
Forse val la pena di leggere questi articoli…
Treni strettamente sorvegliati…
http://gabrieleparadisi.splinder.com/post/13949620
http://gabrieleparadisi.splinder.com/post/13775291
Per Federica: da quello che ne so, non è stata ripresa quell’intervista. E concordo con te sulle considerazioni di merito.
Per CortoRevisited: grazie degli indirizzi.
Per Antonella: secondo te, perché i quotidiani non hanno ripreso un’intervista con affermazioni così gravi? Ho cercato con Google e non viene fuori nemmeno un articolo di giornale.
Ciao, Federica
Federica: da un lato è sicuramente un bene che non l’abbiano fatto proprio per le affermazioni ingiuriose (sia verso i parenti delle vittime che verso gli altri soggetti che affronta). Cossiga, con quell’intervista, altera i fatti e, quel che è peggio, lo fa non su dati, ma sulle parole di personaggi che lui reputa attendibili per ragioni di una non meglio precisata empatia. A fronte di questo, non c’è che trovarsi d’accordo con quanto scrive Marco Travaglio nell’introduzione al libro La scomparsa dei fatti. E poi non credo nemmeno che a Cossiga stesso interessi che quell’intervista venga ripresa: i suoi messaggi, le sue stroncature (principalmente all’associazione familiari e alla magistratura), li ha lanciati e tanto basta.