Col sangue agli occhi

Standard
Spread the love

No G8, Genoa 2001 - Foto di Han SoeteIl testo che segue è il contenuto di una mail ricevuta il 27 luglio 2001. La scrisse Caparossa al suo rientro dopo i fatti di Genova raccontando ad alcuni amici le esperienze vissute nei quattro giorni trascorsi nel capoluogo ligure: l’iniziale aria festante, l’atmosfera che progressivamente cambia, la tensione che sale, l’omicidio di un manifestante. E poi gli scontri, le cariche, le irruzioni. Tutto ciò accadeva esattamente sei anni fa.

Intanto segnalo anche Venti luglio di Sandrone Dazieri.

Faccio un po’ fatica a tirare fuori il groviglio, faccio fatica a riflettere lucidamente, forse non c’è da riflettere lucidamente, forse c’è solo da sentire, da tirare fuori dolore, rabbia, smarrimento.

Ho passato 4 giorni a Genova, che dovevano essere giorni passati con * mi* compagni acar*, con le persone con cui da oltre un anno faccio alcune delle cose che mi danno più gioia, al di là degli schieramenti, in maniera orizzontale, trasparente, non gerarchica.Mi sono trovato a lavorare alla sede del Genoa Social Foum, dove il GSF non c’era, se non per fare le loro cazzo di conferenze stampa. C’erano * medic*, massimo rispetto; c’erano * avvocat*, massimo rispetto.

Fino a giovedì tutto tranquillo, a parte le perquisizioni, a parte il rischio ad andare in giro da sol*.

Giovedì vado con i compagni di radio ondarossa alla manifestazione dei migranti. Tanta genete, tanti colori, ri/vedo compagn* dopo tanti anni; ri/vedo gente che avrei preferito non vedere, ma tant’è.

Giovedì sera si inizia ad organizzare la giornata di venerdì. Io ho deciso che rimango al media center, non ho voglia di mettermi nella sceneggiata, anche se sento qualche affinità con quelli del Network, con cui ho potuto parlare.

Il venerdì mattina sono sveglio alle 7 e si inizia subito lo sbattimento; la maggiorparte di noi si preparano al corteo, chi col Network chi con le tute. Sembra gente che va alla guerra, e la cosa mi atterrisce. Sembra un rituale, una roba funerea. Gli occhi lucidi, i gesti a scatti, una luce strana negli occhi de* compagn*, che di solito sono di/versi, belli, col sorriso in fondo.

Iniziano ad arrivare le notizie delle perquisizioni, al Pinelli, prima, poi all’Inmensa, poi partono i cortei, dai campeggi, che si dirigono verso le piazze “tematiche”.

Parte il Network, verso le 9 e mezza, e si dirige verso il centro. La maggiorparte di noi è lì, e la tensione sale. Si sa che ci saranno gli scontri, ma nessuno immagina.

Alle 10 (circa; non ho la misura di quella giornata) iniziano gli scontri e arrivano le prime notizie, inizia la follia.

Il corteo viene caricato subito, senza che si siano manco iniziati ad organizzare, a freddo. In piazza ci sono anche i “black”, che CON i compagn* del Network iniziano a difendersi. Il corteo è spezzato in due: da una parte riescono a mantenersi compatt*, il resto si sparpaglia e scappano ovunque.

Dopo ore di scontri in Network riesce a sganciarsi, e cerca di tornare verso il capeggio; sono diversi chilometri verso la periferia, fatti di corsa, continuamente sotto lacrimogeni e continue cariche.

Arrivati al campeggio trovano gli sbirri ad aspettarli, che li caricano e li spingono indietro, verso il centro.

Inizia il delirio. Sono le 14, e il corteo cerca di congiungersi con quello delle tute, che da un’ora è partito e poco dopo è stato caricato dagli sbirri.

Le cariche sono continue, i lacrimogeni sono lanciati anche dagli elicotteri. * compagn* si difendono come possono, fanno barricate, si armano con quello che trovano.

Intanto il corteo delle tute è massacrato a sua volta, si spezza in due, con la testa da una parte, e i giovani comunisti dietro. In maggiorparte si tratta di gente che manco gli ha mai visti gli scontri di piazza.

Al Media Center inizia ad arrivare un fiume di gente in fuga. Organizziamo un’infermeria di volata. Apriamo la scuola di fronte, che serviva da Internet Center e che avevamo cablato il mercoledì, che nella sende principale non c’entravamo più. Va lì chi scappa, chi non sa dove andare, chi non vuole rischiare di finire nella rete delle retate, massacrat*.

Iniziano gli scazzi con quell* del GSF, che non vogliono far entrare nessuno. Partono gli insulti. Non pensavo potesse esseci gente così.

Alla fine l* mandiamo a cagare, pigliamo le chiavi e si apre tutto.

Arrivano * primi feriti; la digos è arrivata in massa negli ospedali, e medici e infermieri hanno fatto scappare tutt* da porte laterali, per evitare che se l* bevessero. Massimo rispetto.

Alle 17 e 20 arrivano le prime telefonate. Panico. Hanno ammazzato un compagno, diobastardo. Arriva un compagno di Conchetta, si accascia. Gli è morto davanti, ad un metro.

Mi siedo per terra, blicero è bianco come un cencio, la manu piange,mag-one guarda nel vuoto. Non ci credo, non riesco più a pensare.

Intanto arriva la notizia di un altro morto: è una donna, arrivano le conferme de* testimoni, ma poi scompare. * compagn* delle radio vanno a verificare all’ospedale, ma non li fanno entrare. Le facce de* infermier*, però, sono eloquenti.

Ad oggi non se ne sa nulla.

Intanto i cortei riescono tornare ai campeggi. Saranno le 20.

Venerdì notte è il delirio; ferit*, scompars*. Le testimonianze del macello. Arriva un compagno di Indymedia America, che ha le foto dell’assassinio. Arriva un altro che ha un video. Mi butto in questa cosa, più per fare qualcosa che per altro.

Intanto tornano * compagn* e con loro i racconti del massacro.

Iniziano anche le polemiche, con chi dice che è stata tutta colpa del Black Block, e chi cerca di ragionare. Io mi incazzo, ma sto troppo male per discutere.

È sabato, e volevo andare a Varazze. Vado alla manifestazione. Era da… almeno il ’94 che non andavo ad una manifestazione cosi’… preparato. E non mi piace.

Il corteo parte prima, e quando arrivo nella via che porta a P.zza Kennedy c’è già la testa del corteo. Una marea di gente, tutto tranquillo, cerco Marta, che non vedo da giovedì e che si è fatta tutti gli scontri del giorno prima.

Non facciamo in tempo ad abbracciarci che iniziano le danze. Arrivano i fumi, si vedono le colonne di fumo che si alzano. Mi ritrovo negli scontri nello spezzone dei giovani comunisti, diobastardo.

Riusciamo a passare, ci infiliamo in via torino e dopo poco tutto è tranquillo. Telefono a* compagn* del Media Center, e mi dicono che il corteo è stato spezzato in due, con la coda del corteo sotto continue cariche e lancio di lacrimogeni.

Per un’ora tutto è tranquillo, e la rabbia mi sale. Sembra che la gente si sia già dimenticata che il giorno prima un
compagno è stato ammazzato…

Si arriva in vista del palco; vedo agnolotto e compagnia merdante, siamo arrivat*; ma si iniziano a sentire anche i lacrimogeni, e la gente ha paura. La situazione è chiara: non ci saremmo stat* mai tutt* in quel buco di piazza, ma con gli sbirri dietro che sparano lacrimogeni a palla….

Dal palco arrivano le voci de* stronz*: “compagni, amici, proseguite, non fermatevi in piazza. Chi deve andare ai pulmann prosegua verso Marassi, chi deve andare al carlini vada verso S. Fruttuoso”. S. Fruttuoso!?!?!? Ma sono deficent*! Ma come, ci saranno più di 100.000 persone, con scontri ovunque e dicono “andate verso S. Fruttuoso”??? E questa gente pensa di organizzare le Piazze?

Con quell* che mi trovo intorno si parte per raggiungere il Carlini, meta della maggior parte di noi. Ci si inerpica per delle stradine strettissime, con l’elicottero sopra la testa. La gente alle finestre ci indica la strada, ci dice da quale parte andare, da quale parte non andare. Ci danno acqua, cibo, sorrisi. Non mi era mai successo, mi ha commosso.

Arriviamo in C.so Europa, in uno scenario libanese. Sogno ancora il rumore dell’elicottero. Un fiume di gente è per la strada, con * compagn* che fanno i cordoni per non farci finire in trappola. Le notizie da Indy sono allucinanti. Gli sbirri caricano ovunque, chiunque, comunque. Le sirenze delle ambulanza continueranno ad accompagnarmi fino a che non lascierò Genova.

Finamente si arriva al Carlini. Crollo a terra. Mi devo riposare, non riesco a pensare. Devo tornare al Media Center, dove ho lasciato la mia roba, per vedere come stanno * compagn*.

Trovo una macchina, e ci si avvia. È pieno di sbirri ovunque, ma si riesce ad arrivare in zona. Nella traversa sopra il MC, di fronte al bar dove si andava a mangiare qualcosa c’è una retata. Alcuni blindati della polizia, diverse pattuglie, e una folla di gente. Ci fermiamo, e gli sbirri se ne vanno. Ci avviciniamo al bar e la gente è impazzita. Mentre erano lì che riposavano e mangiavano qualcosa, sono arrivati gli sbirri in massa, e si sono bevute tre persone. Così, a caso.

Scendiamo al MC; ci saranno 400 persone per strada, è il delirio. Entro, nella calca, per vedere come stanno * altr*. Un po’ sono fuori, un po’ sono dentro, in tutt* gli occhi sono sbarrati.

Fuori la gente ha i nervi a pezzi, la tensione è alta, gli sbirri sono vicini, intorno. Si racconta della manifestazione, delle retate, del massacro. Si cerca di capire quant* sono * dispers*.

Io devo andare, abbraccio tutt*. Piglio la macchina. È un continuo di pattuglie, di retate. Ne vedo 4 in 10 minuti di macchina dal MC al Carlini. Sono un incosciente, ma ci arrivo. Partiamo verso casa, non abbiamo parole. Siamo stanch*, accasciati psicologicamente. Ma non è finita.

Suona il cellulare: “Stanno entrando al MC”. Cosa? “Sono dentro, ciao”.

2 thoughts on “Col sangue agli occhi

Comments are closed.