Sul numero di settembre-ottobre di Giornalisti, rivista di categoria edita dell’omonima associazione, si dedica, nella rubrica Tendenze, un articolo a Blog: la politica italiana li scopre solo in campagna elettorale. A firma di Stefano Martello (coadiuvato da Carlo Baldi e Gennaro Pesante), il pezzo suddivide grosso modo in due fronti i blogger di casa nostra orientati alla politica: da un lato i cittadini che si attivano in nome della partecipazione e i politici di professione che utilizzano troppo spesso il dialogo diretto con gli elettori solo come ulteriore veicolo propagandistico. Con rarissime eccezioni, come quella di Antonio Bassolino. Inoltre, fastidioso sarebbe per i candidati e gli eletti confrontarsi con anonimi utenti che lasciano commenti senza assumersene la responsabilitą. Morale dell’articolo? Mancherebbe una reale attenzione da parte del mondo della politica alla comunicazione verso i cittadini, ma altrettanto latitante sarebbe – secondo gli autori – una piena coscienza da parte degli elettori delle modalitą di relazione con i propri referenti politici. Da qui ne deriverebbero alcuni interrogativi al momento senza risposta. Si legge a conclusione infatti del testo:
La presenza di regole di comportamento ucciderebbe la natura stessa dello strumento [il blog, N.d.A.], che č libera e non prevede censure di nessun tipo. Ma, al di lą delle normali argomentazioni giuridiche, quando vale una libertą che sacrifichi contenuti ed efficacia? Quanto vale una libertą che quotidianamente dequalifica uno strumento, riducendolo al rango di moda e non vedendo le enormi potenzialitą partecipative?
Il dibattito in tema č pił che mai aperto.
Ciao a tutti!
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