Ogni tanto mi avventuro in un giretto per siti che pubblicano annunci di lavoro per giornalisti e professionisti nell’ambito editoriale. E il risultato è spesso desolante. Chi vuole scrivere – o scrive già – può leggere spesso la frase «la collaborazione si intende a titolo gratuito. Garantita massima visibilità». Quando va bene, poi, si assicura l’accesso alla pratica per l’iscrizione all’ordine dei giornalisti. Più in generale, tra i requisiti, c’è chi indica lo «spirito di sacrificio», «disponibilità propria di strumenti» come computer e software (spesso proprietario e dunque con notevoli costi di licenza) a fronte di compensi commisurati con l’esperienza (senza che mai si faccia riferimento a tariffari ufficiali o si indichi che vuol dire «comprovata esperienza»).
Del resto, se qualcuno avesse in mente di iniziare la professione del giornalista, a meno di non vantare santi in paradiso, è bene che rifletta seriamente sul suo avvenire. Nell’inchiesta Giornalisti ieri, oggi. E domani? realizzata da Ugo Degli Innocenti, vengono riportati numeri che sono davvero poco incoraggianti. La percentuale di disoccupati, freelance e precari, secondo l’Inpgi (l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti), comprende al 31 dicembre del 2005 il 26 per cento degli operatori del settore. E sul blog Giornalisti Disoccupati si legge di come la disoccupazione tout court sia del 12,5 per cento.
Se prendono vita nuove associazioni sindacali come Quarto Potere e Giornalisti Oggi per cercare di rispondere in modo più pronto e meno monolitico rispetto a quando fatto finora dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana, sembrano al momento esserci ben pochi strumenti per tutelare i professionisti del settore di fronte alla progressiva avanzata dalla Fieg, l’associazione di categoria degli editori di giornali, e alla disinvoltura con cui si arruolano le nuove leve.
Una situazione piuttosto assurda in un mondo in cui l’ascesa dei contenuti e della comunicazione mirata, a scapito delle iniziative editoriali vetrina (sia cartacee che su web), pare comprovata, soprattutto per quanto riguarda Internet: si parla di nuovi business della Rete, sviluppi e prospettive del mercato dei contenuti digitali, decollo dell’economia elettronica.
Allora, in un annuncio ormai decennale sull’imminente boom delle nuove professioni, dove sta la fregatura? Sicuramente nell’elevarsi del precariato anche nelle professioni legate al mondo dell’editoria, compreso il giornalismo in senso stretto. E una risposta, a mio avviso, non va fiutata più (solo) nella ricerca di un articolo 1, ma in un ampliamento dell’ottica professionale a iniziare dall’informazione dal basso attraverso i blog. E attraverso i libri di approfondimento e/o di inchiesta. Come poter però sbarcare il lunario, in tempi che dicono di transizione, rimane un nodo da derimere.
Ciao Antonella,
mi sembra corretto quanto dici. secondo me chi vuole scrivere, può aprirsi un sito web e scrivere correttamente e eticamente di quanto vede, sente, ascolta.
Insomma il giornalismo cos’è?
(per me) raccontare con occhi vigili, attenti e onesti quanto si vede, si sente, si ascolta.
Non c’è bisogno della approvazione di un direttore o di un capo-redattore.
Il fuoco della scrittura brucia comunque e si spegne solo scrivendo. E si può farlo anche praticando un altro mestiere… non c’è bisogno neanche di iscriversi all’ordine professionale, che speriamo sia eliminato.
ciao
andrea
Diverso però è il problema dei disoccupati.
I nodi si sciolgono, non si derimano.
E le risposte difficilmente si fiutano.
Sarà per questo che molti aspiranti giornalisti sono disoccupati ?
O sarà perchè stanno bruciando nel fuoco della scrittura ?