Levati quell’espressione atterrita. Nulla di personale, Sconosciuto. È lavoro. No, non so come ti chiami, non l’ho chiesto. Non lo faccio mai. Il Capo mi passa indirizzo e foto. Io mi apposto, osservo, rilevo i dettagli: una questione di poche ore. Fa parte del mio compito, della mia professionalità. Del resto, se non fossi accurato, avrei già chiuso bottega. Invece eccomi qui, Numero 202, è il tuo turno. I motivi? Non chiederli a me. La domanda, piuttosto, dovresti girarla a te stesso. Che hai fatto? Trucchetti che ti avrebbero levato dagli impicci? Non funziona, Sconosciuto. Ne ho visti altri come te: un maneggio qua, uno là e poi siete fottuti. Peccato che ve ne rendiate conto solo quando mi presento io. Se sono un esattore? Non sono venuto per denaro o documenti. Ancora domande? Non è la procedura. A che ti serve sapere? Mi vuoi raccontare la tua storia? Ho capito, la vuoi buttare sul personale. Le ho lette anche io le tue teorie: quando la preda si trasforma in uomo, smette di essere preda. Lascia stare. Ci hanno già provato. Una domanda te la rivolgo io: mi puoi indicare il bagno? No, non ci devo andare ora. È per dopo: sono una persona pulita, oltre che accurata. Mi piace il sapone, mi piace quando la schiuma si fa sempre più fitta. L’igiene è una questione mentale: la realtà si specchia meglio dentro la testa se trova superfici limpide fuori. Girati. Ho detto girati. Grazie.
Da che parte diceva? Sì, in fondo a sinistra. Banalmente scontato. Acqua, sapone, la salvietta trenta per venti che porto sempre con me, una ripassata per le impronte.
Dal quotidiano del giorno, in cronaca. Titolo: Omicidi acqua e sapone. Sommario: Da indiscrezioni degli inquirenti, indizi importanti arrivano dall’analisi degli scoli. Occhiello: La risposta va cercata negli scarichi.
Touché.
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