Il massacro del Circeo: una storia di violenza politica e di genere (seconda parte)

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Il massacro del Circeo

Lo sguardo di Donatella Colasanti, dopo le ore trascorse nella villa del Circeo prigioniera di Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira, non sarà mai più quello di prima. La sua amica Rosaria Lopez è stata affogata dopo un’interminabile sequenza di sevizie e lei, sopravvissuta fingendosi morta, avrà davanti le immagini delle torture durate un giorno e mezzo fino a quando, a 47 anni, muore di cancro al seno. È il 30 dicembre 2005.

Nel 1976 il processo per i fatti del 29 settembre 1975 è di quelli che tengono l’opinione pubblica incollata alle cronache. In aula si batte come una leonessa l’avvocato Tina Lagostena Bassi, che rappresenta Donatella, e le udienze per la prima volta vengono filmate dalla Rai per quello che diventerà «Processo per stupro», il documentario di Loredana Rotondo. Alla difesa della ragazza contribuiscono anche le associazioni femministe.

Gli imputati, invece, sono quei tre pariolini che sembrano ragazzi per bene. Angelo Izzo, nato nel 1955, soffre di disturbi psichici e il suo nome si lega ai principali fatti di sangue degli anni della strategia della tensione e della violenza neofascista. A fine 2004, in carcere a Campobasso, ottiene al semilibertà e il 28 marzo 2005 uccide Maria Carmela, 48 anni, e Valentina Maiorano, 14, moglie e figlia di un detenuto che Izzo aveva conosciuto in prigione, Giovanni Maiorano. Tutte e due vengono assassinate dopo un calvario simile a quello del 1975.

Gianni Guido nasce invece nel 1956. Dopo la condanna all’ergastolo ridotta poi a trent’anni, non si piega. Nel 1977 prova con Izzo a prendere in ostaggio una guardia del carcere di Latina per evadere, ma fallisce. Ci riprova con successo a San Gimignano e vola in Argentina dove rimane latitante per un paio d’anni. Arrestato di nuovo in America Latina, contrae l’epatite a causa della sua tossicodipendenza e, ricoverato in ospedale, scappa venendo riacciuffato a Panama. Estradato in Italia, dal 2009 è libero per aver scontato la sua pena.

Andrea Ghira è forse il personaggio più ambiguo del terzetto. È considerato il capo della banda, ha precedenti penali ed è anche il più anziano perché è nato nel 1953. Suo padre Aldo è famoso, è un costruttore conosciuto nella capitale e in tanti si ricordano che nel 1948 ha vinto una medaglia d’oro alle Olimpiadi di Londra come pallanotista. Prima della condanna di primo grado, Andrea Ghira è già uccel di bosco. Si arruola nella Legione straniera sotto falso nome, Massimo Testa de Andrés, e ci resta fino al 1993, quando viene congedato per problemi psicofisici. Ufficialmente muore quarantenne un anno dopo per overdose, ma in tanti hanno continuato a credere che fosse una finzione. Dopo due esami del Dna sul corpo, solo nel giugno 2016 si stabilisce che Ghira è davvero morto ed è seppellito nel cimitero di Melilla, in Marocco.

Prima parte

Questo articolo è stato pubblicato sul settimanale In Famiglia

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